Medici di famiglia sotto pressione e spesso “sottovalutati”: “Il futuro è il lavoro in gruppo”
LegnanoNews ha intervistato uno dei due giovani medici di famiglia che dal 2023 eserciteranno la propria attività professionale a Nerviano
Sempre sotto pressione e spesso “sottovalutati”. Non hanno vita facile ai tempi della pandemia i medici di famiglia, alle prese con numeri di pazienti sovradimensionati rispetto a quelli indicati dai cosiddetti rapporti ottimali e con un sistema sanitario del quale il Covid ha mostrato con tutta evidenza i limiti. Ma anche se la carenza di medici di medicina generale è ormai un male endemico per il Legnanese come gran parte di Italia, anche oggi – per fortuna – c’è chi sceglie di intraprendere questa strada. Come K.D.L., 36 anni, che dal 2023 sarà operativo come medico di base a Nerviano.
Dottore, fare il medico di medicina generale al giorno d’oggi non è facile…
Il medico di famiglia durante e dopo la pandemia è stata la figura più sotto pressione di tutte, molti colleghi che hanno aperto lo studio post Covid hanno vissuto una forte sofferenza. Il lavoro del medico di famiglia, se non è svolto in gruppo, è anche molto solitario e difficoltoso perché bisogna fare tutto da soli: è un lavoro che dà tante soddisfazioni ma comporta anche tanti impegni e va saputo gestire. Spesso poi la figura del medico di base viene vista come un mero burocrate e viene svilita, è il problema per cui molti colleghi preferiscono la medicina ospedaliera o scelgono di fare altro: in realtà la medicina del territorio è il primo filtro sanitario e molti Paesi la stanno incentivando proprio perché è fondamentale per disincentivare accessi ingiustificati al ps e malasanità e più il filtro si rafforza e meglio è per tutti.
Qual’è secondo lei la soluzione?
Oggi dopo l’università per diventare medici di base è necessario frequentare un corso di formazione specifica di tre anni e poi partecipare ad un bando pubblico regolamentato dal contratto collettivo nazionale in base al quale viene formata una graduatoria e si sceglie la zona: lungaggini burocratiche permettendo, poi arriva l’assegnazione si può aprire lo studio in un determinato territorio. Anche se convenzionati siamo liberi professionisti e quindi è a tutti gli effetti come aprire un’attività: bisogna trovare i locali e farsi carico del personale di studio e di tutto quello che è consumabile. La strada oggi è quella di creare un polo sanitario tra colleghi perché ci sia uno scambio professionale e sia possibile confrontarsi e avere supporto: alcuni territori sono più allettanti di altri proprio in base a questo, mentre altri sono in sofferenza anche perché ci sono pochi medici e separati tra loro. Il progetto avviato a Nerviano è molto positivo perché permetterà di facilitare l’accesso alla medicina di famiglia e valorizzerà il territorio, sarà uno stimolo in un periodo di sofferenza.
Cosa spinge oggi un giovane professionista a diventare medico di famiglia?
Ovviamente serve una grande passione: ci teniamo perché ci crediamo e crediamo in una nuova ottica della medicina generale, fatta di collaborazione e scambio di idee, quello che è sempre mancato alla medicina del territorio. Se riuscissimo a cambiare prospettiva in questa maniera, con la possibilità di confrontarci, lavorare in uno stesso spazio e avere supporto da altre figure come l’infermiere di comunità o l’infermiere di studio, si creerebbe un team che potenzierebbe la medicina del territorio e per noi sarebbe solo un incentivo. La motivazione che spinge ad intraprendere questa strada è la passione e la volontà di migliorare la medicina del territorio per migliorare la presa in carico del paziente e diminuire gli accessi al pronto soccorso, con beneficio per tutti.
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