“Il vaccino non va fatto a chi ha avuto la malattia”, i ricercatori israeliani danno ragione al prof. Mazzone
Dai laboratori d'Israele, punto di riferimento mondiale sulla lotta al virus, la tesi per cui "i guariti sembrano essere meglio 'equipaggiati' contro una nuova infezione rispetto a quelli che sono stati solo vaccinati"
«Il numero di anticorpi anti covid diminuisce sia nei pazienti precedentemente contagiati che nelle persone vaccinate, le prestazioni migliorano però solo per gli anticorpi sviluppati dopo l’infezione e non per quelli post vaccinazione». Questo un passo di una ricerca israeliana secondo la quale «avere all’attivo un contagio Covid fornisce potenzialmente una protezione a lungo termine. E potrebbe spiegare perché i guariti sembrano essere meglio ‘equipaggiati’ contro una nuova infezione rispetto a quelli che sono stati solo vaccinati».
La tesi è da sempre sostenuta dal prof. Antonino Mazzone, direttore del Dipartimento Area medica dell’Asst Ovest Milanese: «Nelle persone che si sono ammalate possiamo dosare gli anticorpi anti-Covid e quantificarli – affermava ancora di recente il medico legnanese– . Pertanto è come se si fossero immunizzati o avessero fatto il vaccino. Con le conoscenze attuali il vaccino non va fatto a chi ha avuto la malattia. Sono necessari anni di osservazione per verificare se una persona perde l’immunità umorale e/o cellulare».
Il pensiero del prof. Mazzone, che aveva già trovato riscontro nel pensiero del Consiglio Superiore di Sanità, è avvalorato in un altro passo della nota dell’agenzia di stampa Adkronos, riferita al lavoro dei ricercatori israeliani, spesso considerati tra i più preparati a livello mondiale: «Mentre la protezione contro la reinfezione dura a lungo nelle persone che hanno avuto Covid, le infezioni che fanno breccia nello scudo vaccinale sono sempre più comuni 6 mesi dopo il vaccino».
Il Consiglio Superiore di Sanità dà ragione al prof. Mazzone dell’ospedale di Legnano
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