HIV, aumentano le diagnosi tardive in Città Metropolitana. L’appello del prof. Stefano Rusconi: «Fate il test»
Nel 2020 secondo Ats Milano c'è stato un aumento delle infezioni sessualmente trasmissibili. Anche per il prof. Rusconi il timore è quello di assistere nei prossimi mesi ad un aumento delle diagnosi tardive
La paura del domani enfatizzata dalla pandemia, l’attenzione che si abbassa e la conseguente mancanza di prevenzione. Oppure la tendenza a sottovalutare le malattie sessualmente trasmissibili. Ma anche l’angoscia di sentirsi dire «sei positivo». Tanti i fattori che stanno giocando nel ritardo della diagnosi dell’HIV (virus dell’immunodeficienza umana), perchè la sua presenza è silente sino a quando non scoppia la malattia, l’AIDS. Purtroppo, come confermano i dati dell’ATS Milano, la sua presenza non smette di diminuire: in un recente Report si legge che anche nel 2019 la Lombardia si è tristemente «confermata tra le regioni con la più alta incidenza di nuove diagnosi HIV (4,9 per 100 mila abitanti) e il comprensorio dell’ATS Città Metropolitana di Milano comprende il 60% delle nuove segnalazioni».
Il timore generale, confermato dal prof. Stefano Rusconi alla guida del reparto Infettivologia dell’ASST Ovest Milanese, è quello di «assistere nei prossimi mesi ad un forte e netto aumento delle diagnosi tardive. Dopotutto in quest’anno e mezzo ne abbiamo già registrate il 70% in più rispetto agli anni scorsi».
In questo periodo di emergenza sanitaria le persone si sono sentite ancor più incerte e la sfera sessuale è apparsa una “via di fuga”. A questo si aggiunge il fatto che l’uso del preservativo nei rapporti occasionali rimane raro o assente (secondo ATS il 72% non ne fa uso nelle fasce d’età tra i 19 e 34 anni ). «Nessuno incrimina o giudica coloro che non sono stati attenti – commenta l’infettivologo Rusconi -. Quel che è fatto è fatto. L’importante è che le persone che hanno avuto rapporti a rischio, aggiungano alle analisi del sangue il test dell’HIV. Perchè, se l’infezione viene presa subito, è contenibile». Dall’HIV non si guarisce, si sa. Si diventa «pazienti cronici, ma si può convivere e rendere la sua carica virale così debole da riuscire a limitare fortemente il rischio di diffusione e di progressione clinica».
Le terapie per tenere a bada il virus si sono evolute così tanto da rendere ottimale la qualità di vita del contagiato. Dall’altro canto resta «complesso» il percorso di cura contro l’AIDS. Di fatto, come sottolinea Rusconi, «prendersi cura di un malato con infezione da HIV/AIDS può essere problematico» Perchè il corpo si indebolisce così tanto da sembrar vero di «avere un cancro che non si può stabilizzare». Nelle persone infette da HIV, il virus «distrugge le cellule CD4, indebolendo il sistema immunitario – spiega l’infettivologo -. Perciò, se i pazienti iniziano ad assumere antiretrovirali quando la loro conta di linfociti CD4 è minore di 350 cellule per microlitro, abbiamo già perso tempo rispetto alla fase iniziale dell’infezione».
Le diagnosi tardive sono tra gli aspetti che più preoccupa il mondo sanitario, basti pensare all’allarme lanciato recentemente dal dottor Fava sulle mancate diagnosi di tumore. Nel campo delle infezioni sessualmente trasmissibili ha influito anche la difficoltà nel poter accedere liberamente agli ambulatori. Come ha rilevato, infatti, ATS ( in particolare durante il lock-down nel 2020) c’è stato un aumento delle infezioni sessualmente trasmissibili nella popolazione ambulatoriale (22% contro il 18% nel 2019): «Questo – si legge nel report di ATS – è dovuto, presumibilmente, ad una maggiore selezione dell’utenza non più ad accesso libero ma tramite appuntamento».
L’attenzione mediatica è ancora focalizzata sul virus SARS-CoV-2, ma, per il prof. Rusconi, è arrivato «il momento di permettere il libero accesso ai test ed avviare campagne di sensibilizzazione per rinnovare l’invito alla prova dell’HIV in questi mesi, un’azione responsabile verso gli altri e un bene per se stessi».
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