Il dramma della piccola Elena del Pozzo – Cosa si scatena nella mente di un individuo?
La tragedia di Catania nell'analisi del nostro consulente psicologo
Il recente drammatico fatto della confessione da parte della giovane madre Martina Patti dell’omicidio della figlia Elena di 5 anni ci spinge con forza di fronte al lato oscuro della mente, dove le domande non trovano risposte che giustificano tale gesto, almeno per il senso comune.
Possiamo però, fare alcune riflessioni, aiutati e supportati dalla letteratura scientifica psichiatrica, psicologica e sociale.
Nel caso in questione, secondo la Procura, la 23enne in preda ad una folle gelosia non tollerava che “la figlia si affezionasse all’attuale compagna dell’ex convivente” e padre della piccola, Alessandro Nicodemo Del Pozzo, 24 anni. Il padre e la madre della piccola Elena non stavano più insieme da tempo.
La letteratura clinica inerente alla “fenomenologia e antropologia del figlicidio”, ci dice che le ragioni che possono portare ad un atto del genere sono varie, sempre tenendo conto che per “ragioni” si intendono spiegazioni cliniche spesso incomprensibili ed inaccettabili da una logica “sana” e dal buon senso comune.
Stiamo parlando quindi di madri che portano con sé una enorme fragilità e labilità psichica, spesso anche latenti dove il delirio e la paranoia prendono il sopravvento sulla lucidità, sulla razionalità e sull’istinto materno di una sana protezione e salvaguardia della vita del proprio figlio.
Cosa quindi può spingere una madre ad un gesto così folle e contro natura?
Nel caso in questione con molte probabilità ci troviamo di fronte a ciò che in letteratura viene definita “la “sindrome di Medea” e cioè la vendetta della madre nei confronti del compagno.
L’idea di vedere la figlia affezionata all’ altra donna e di essere messa in secondo piano ha probabilmente scatenato un istinto psicotico nella madre di possesso della vita della figlia a tal punto di autorizzarsi a toglierle la vita stessa. In sostanza ti ho dato la vita e te la tolgo, in un delirio di possesso e di inaccettabilità che la figlia potesse provare affetto per un’altra figura femminile pseudomaterna al di fuori di lei.
Siamo ai margini della follia, come suggerito da un testo del noto psichiatra Vittorino Andreoli “delitti”.
Tante sono le domande che non trovano risposte… Ci si chiede innanzitutto: si possono prevenire tali tragedie? Ci sono segnali premonitori? Come porsi giuridicamente e clinicamente di fronte ad una madre che commette un atto del genere? E il padre? Riuscirà a riprendersi da un trauma del genere? Di sicuro i segni di un trauma del genere sono indelebili. Una riflessione più allargata in relazione a fatti del genere deve interrogarci su come ancora una volta si pone al centro l’importanza di politiche volte alla tutela e alla prevenzione della salute mentale che partendo dall’ individuo lo portino a rinforzare un senso di appartenenza alle istituzioni e al territorio che rappresentano quel legame sociale che rassicura la nostra identità, il nostro Sé e che dovrebbero fungere da bussola salvavita nei momenti più bui e disperati.
Dott. Francesco Fisichella Psicologo Psicoterapeuta individuale e familiare
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