Gemmea l’aria, il sole così chiaro
che tu ricerchi gli albicocchi in fiore,
e del prunalbo l’odorino amaro
senti nel cuore…

Ma secco è il pruno, e le stecchite piante
di nere trame segnano il sereno,
e vuoto il cielo, e cavo al piè sonante
sembra il terreno.

Silenzio, intorno: solo, alle ventate,
odi lontano, da giardini ed orti,
di foglie un cader fragile. È l’estate
fredda, dei morti.

“Novembre”
Giovanni Pascoli, in Myricae (1891)

La morte era sicuramente un argomento che Giovanni Pascoli conosceva bene. Appena ragazzino, a 12 anni, perse il padre, assassinato. Ancora sconvolto dal dolore per un crimine che non venne mai risolto (e su cui lungo tutta la vita cercò di far luce), l’anno successivo Pascoli dovette dire addio anche alla sorella Margherita e alla madre Caterina. Ma il dolore non si fermò: nel 1871 il futuro poeta perse anche il fratello Luigi e nel 1876 il fratello Giacomo. Nonostante questo la voglia di riscatto ebbe la meglio: Pascoli si impegnò nello studio e riuscì a frequentare il ginnasio e infine a laurearsi a Bologna (dove ebbe come professore Giosuè Carducci, altro poeta che scrisse dell’ “estate novembrina” dei morti con la meravigliosa “San Martino”). Vendendo l’oro delle medaglie conquistate partecipando al concorso letterario del Certamen con le sue poesie latine (che vinse 13 volte), Pascoli riuscì a comprare casa a Castelvecchio per sé e per le sorelle, ricostruendo il nido familiare.

Chiara Lazzati