L’angolo della poesia: “Tedio invernale” di Giosuè Carducci
Chiara Lazzati, nella rubrica "L'angolo della poesia", ci propone "Tedio invernale" di Giosuè Carducci
Ma ci fu dunque un giorno
Su questa terra il sole?
Ci fur rose e viole,
Luce, sorriso, ardor?
Ma ci fu dunque un giorno
La dolce giovinezza,
La gloria e la bellezza,
Fede, virtude, amor?
Ciò forse avvenne a i tempi
D’Omero e di Valmichi:
Ma quei son tempi antichi,
Il sole or non è più.
E questa ov’io m’avvolgo
Nebbia di verno immondo
È il cenere d’un mondo
Che forse un giorno fu.
Giosuè Carducci
“Tedio invernale” in “Rime nuove”, 1887
È il 12 gennaio 1875. L’inverno, a Bologna, pare non finire mai. Un insofferente professore universitario prende carta e penna e scrive una lettera alla sua amante, Lidia: “Tornerà la primavera? Tornerà la speranza? […] Ho paura che l’inverno abbia cominciato a regnare solo ed eterno per tutto”. Il professore era Giosuè Carducci, primo italiano a vincere un premio Nobel per la letteratura, l’amante la giovane aspirante poetessa Carolina Cristofori. Tra i due è rimasto un epistolario di oltre 600 missive. Tra cui quelle dell’inverno 1875, il periodo in cui Carducci scrisse “Tedio invernale”. Di quelle lettere il clima non è l’unica traccia a diventar poesia. Anche Valmichi, poeta vedico indiano a cui è attribuito il Ramayana, è uno degli argomenti toccati tra i due. Lidia chiede a Carducci chi fosse Valmichi, lui, con un po’ di spocchia, le risponde “mi riposa molto la tua ignoranza”. La storia con Carolina terminò pochi anni dopo.
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