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“Ottobrata” del poeta vate Gabriale D’Annunzio

foto rubriche

Ridono tutte in fila le linde casette ne ’l dolce
sole ottobrino, quale colore di rosa, qual bianca,
come tante comari vestite de ’l novo bucato
a festa. Su le tegole brune riposano enormi
zucche gialle e verdastre, sembianti a de’ cranii spelati,
e sbadiglian da qualche fessura uno stupido riso
a ’l meriggio. Seduto su un uscio un vecchietto sonnecchia
pipando, e un gatto nero gli dorme tra’ piedi. Galline
van razzolando intorno; si sente il rumor de la spola
e d’una culla a ’l ritmo di lenta canzone; poi voci
fresche di bimbi, risa di donne; poi brevi silenzii.
Il bel vecchietto russa, inclinato su l’òmero il capo
bianco, ne ’l sole. Io guardo la placida scena e dipingo.

“Ottobrata”
Gabriele D’Annunzio, in “Primo vere”, 1880


Di D’Annunzio si può dire tutto. Tranne che fosse un uomo negli schemi. Nel bene e nel male. La dimostrazione arriva fin da ragazzo. A 17 anni quello che diventerà il Vate pubblica la sua prima raccolta di poesie: “Primo vere” (dal latino: “all’inizio della primavera”). A pagare le spese per la stampa è il padre, Francesco Paolo. E il caso editoriale viene costruito ad arte: viene diffusa la voce (ovviamente falsa) che Gabriele, talentuosissimo giovane romantico abruzzese, è morto a cavallo dopo aver dato alle stampe la sua opera. Il pubblico si appassiona, soffre per un genio venuto a mancare così presto e compra il libro. Il resto è storia.

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Pubblicato il 07 Ottobre 2020
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