L’angolo della poesia: “La mia gente” di Langston Hughes
Ieri era il #blackouttuesday. Tutto il mondo della rete si è spento. L’immagine ricorrente era una schermata nera. Un modo, l’ennesimo, per chiedere giustizia per George Floyd
Bella è la notte,
e il volto della mia gente.
Belle le stelle,
e gli occhi della mia gente.
Bello, anche il sole,
Bella, anche, l’anima della mia gente.
The night is beautiful,
So the faces of my people.
The stars are beautiful,
So the eyes of my people
Beautiful, also, is the sun.
Beautiful, also, are the souls of my people.
“La mia gente” di Langston Hughes, 1923
Ieri era il #blackouttuesday. Tutto il mondo della rete si è spento. L’immagine ricorrente era una schermata nera. Un modo, l’ennesimo, per chiedere giustizia per George Floyd, il 46enne afroamericano ucciso soffocato dalla polizia a Minneapolis. E per dire basta alla brutalità della polizia nei confronti degli afroamericani.
Anche l’angolo della poesia fa qualcosa nel suo piccolo omaggiando un grande della letteratura afroamericana: Langston Hughes, un poeta che ha saputo fondere perfettamente i ritmi della musica jazz e blues ai versi. Hughes nacque nel 1901 in Missouri e fu una delle figure di spicco del Rinascimento di Harlem. Animo cosmopolita, Hughes viaggiò molto tra America, Africa ed Europa. Il suo curriculum era un caleidoscopio di mestieri: fu anche cameriere, cuoco, marinaio, buttafuori e contadino. Con i suoi primi guadagni si iscrisse all’università. La sua poesia diretta gli portò successo: fu il primo afroamericano a riuscire a vivere grazie alla sua attività letteraria (oltre che poeta, scrisse anche short stories, racconti, saggi e rappresentazioni teatrali). Hughes fu una vera e propria pietra miliare della letteratura americana, tanto che spesso è paragonato a Walt Whitman.
Un consiglio: per chi volesse approcciarsi alla letteratura afroamericana, il progetto letterario “La sette dei poeti estinti” ha pubblicato una diretta su alcuni dei suoi grandi poeti.
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