I pilastri di Draghi: pandemia, scuole, donne, euro e ambiente. “L’unità è un dovere”
Il presidente del Consiglio in pectore si è rivolto al senato per chiedere la fiducia delle forze politiche parlamentari
Il presidente del Consiglio in pectore si è rivolto al senato per chiedere la fiducia delle forze politiche parlamentari. Ecco il discorso di Mario Draghi:
Il primo pensiero che vorrei condividere nel chiedere la vostra fiducia riguarda la nostra responsabilità nazionale, il principale dovere cui siamo chiamati tutti, io per primo come presidente del consiglio, è di combattere con ogni mezzo la pandemia e di salvaguardare le vite dei nostri concittadini. È una trincea dove combattiamo tutti insieme il virus che è nemico di tutti, ed è nel commosso ricordo di chi non c’è più che cresce il nostro impegno. Prima di illustrare il mio programma vorrei rivolgere un altro pensiero partecipato e solidale a tutti coloro che soffrono per la crisi economica che la pandemia ha scatenato, a coloro che lavorano nelle attività più colpite o bloccati per motivi sanitari. Conosciamo le loro ragioni, siamo consci del loro enorme sacrificio e ci impegniamo a fare di tutto perché possano tornare nel più breve tempo possibile, nel riconoscimento dei loro diritti, alla normalità delle loro occupazioni. Ci impegniamo ad informare i cittadini con sufficiente anticipo, per quanto compatibile con la rapida evoluzione della pandemia, di ogni cambiamento delle regole.
Il governo farà le riforme ma affronterà anche l’emergenza, non esiste un prima e un dopo, siamo conosciuti l’insegnamento di Cavour: le riforme compiute a tempo invece di indebolire l’autorità la rafforzano ma nel frattempo dobbiamo occuparci di chi soffre adesso di che oggi perde il lavoro o è costretto a chiudere la propria attività.
Nel ringraziare ancora una volta il Presidente della Repubblica per l’onore dell’incarico che mi è stato assegnato vorrei dirvi che non vi è mai stato nella mia lunga vita professionale un momento di emozione così intensa e di responsabilità così ampia. Ringrazio altresì il mio predecessore Giuseppe Conte che ha affrontato una situazione di emergenza sanitaria ed economica come mai era accaduto dall’unità d’Italia.
Si è discusso molto sulla natura di questo governo: la storia repubblicana ha dispensato una varietà infinita di formule nel rispetto che tutti abbiamo per le istituzioni e per il corretto funzionamento di una democrazia rappresentativa. Un esecutivo come quello che ho l’onore di presiedere, specialmente in una situazione drammatica come quella che stiamo vivendo, è semplicemente il governo del paese, non ha bisogno di alcuna aggettivo che lo definisca. Riassume la volontà, la consapevolezza, il senso di responsabilità delle forze politiche che lo sostengono alle quali è stata chiesta una rinuncia per il bene di tutti, dei propri elettori come degli elettori di altri schieramenti, anche dell’opposizione e dei cittadini tutti.
Questo è lo spirito repubblicano di un governo che nasce in una situazione di emergenza raccogliendo la alta indicazione del capo dello Stato.
La crescita di un’economia non dipende solo da fattori economici, dipende dalle istituzioni e dalla fiducia dei cittadini verso di essi, dalla condivisione di valori. Si è detto e scritto che questo governo è stato reso necessario dal fallimento della politica. Mi sia consentito di non essere d’accordo: nessuno fa un passo indietro rispetto alla propria identità ma semmai un passo indietro rispetto alla propria identità ma semmai in un nuovo è del tutto inconsueto perimetro di collaborazione e ne fa uno avanti nel rispondere alle necessità del paese, nell’avvicinarsi ai problemi quotidiani delle famiglie delle imprese che ben sanno quando è il momento di lavorare insieme senza pregiudizi, senza rivalità.
Nei momenti più difficili della nostra storia l’espressione più alta e nobile della politica si è tradotta in scelte coraggiose, in visioni che fino a un attimo prima sembravano impossibili, perché prima di ogni appartenenza viene il dovere della cittadinanza. Siamo cittadini di un paese che ci chiede di fare tutto il possibile senza perdere tempo senza lesinare anche più piccolo sforzo per combattere la pandemia e contrastare la crisi economica. E noi oggi, i politici e tecnici che formano questo nuovo esecutivo, siamo semplicemente tutti cittadini italiani onorati di servire il proprio paese, tutti ugualmente consapevoli del compito che ci è stata affidato.
Questo è lo spirito repubblicano del governo. La durata dei governi in Italia è stata mediamente breve ma ciò non ha impedito i momenti anche più drammatici di compiere scelte decisive per il nostro futuro. Conta la qualità delle decisioni, conta il coraggio delle visioni, non contano i giorni di tempo. Il tempo del potere può essere sprecato anche nella sola preoccupazione di conservarlo. Oggi noi abbiamo, come accadde ai governi nell’immediato dopoguerra, la possibilità o meglio la responsabilità di avviare una nuova ricostruzione. Abbia però la convinzione che il futuro delle generazioni successive sarà migliore per tutti nella fiducia reciproca, nella fratellanza nazionale, nel perseguimento di un riscatto civico e morale. A quella ricostruzione e collaborazione tra le forze politiche ideologicamente lontane, se non contrapposte, sono certo che anche a questa nuova ricostruzione nessuno farà mancare, nella distinzione di ruoli e identità, il proprio apporto.
Spesso mi sono chiesto se noi, e mi riferisco prima di tutto alla mia generazione, abbiamo fatto e stiamo facendo per i giovani tutto quello che i nostri nonni e padri fecero per noi sacrificandosi oltremisura. Loro sono i nostri figli, i nostri nipoti, il nostro futuro. È una domanda che ci dobbiamo porre quando non facciamo tutto il necessario per promuovere al meglio il capitale umano, la formazione, la scuola, l’università, la cultura. Una domanda alla quale dobbiamo dare risposte concrete urgenti quando deludiamo i nostri giovani costringendoli ad emigrare da un paese che troppo spesso non sa valutare il merito e non ha ancora realizzato un effettiva parità di genere. Una domanda che non possiamo eludere quando aumentiamo il nostro debito pubblico senza aver speso investito al meglio risorse che sono sempre scarse.
Ogni spreco oggi è un torto che facciamo alle prossime generazioni, una sottrazione dei loro diritti. Esprimo davanti a voi, che siete i rappresentanti eletti degli italiani, l’auspicio che il desiderio o necessità di costruire un futuro migliore orientino saggiamente le nostre decisioni nella speranza che i giovani italiani che prenderanno il nostro posto anche qui in quest’aula ci ringraziano per il nostro lavoro e non abbiano di che rimproverarci per il nostro egoismo.
Questo Governo crede che l’Euro sia irreversibile
L’Italia è un Paese socio fondatore dell’Unione Europea e come protagonista dell’Alleanza Atlantica nel solco delle grandi democrazie occidentali a difesa dei loro irrinunciabili principi e valori. Sostenere questo governo significa condividere l’irreversibilità della scelta dell’Euro, significa condividere la prospettiva di Unione Europea sempre più integrata che approverà un bilancio pubblico comune capace di sostenere i Paesi nei periodi di recessione. Gli stati nazionali rimangono un riferimento dei nostri cittadini ma nelle aree definite dalla loro debolezza cedono sovranità nazionale per acquistare sovranità condivisa, anzi, nell’appartenenza convinta al destino dell’Europa siamo ancora più italiani, dobbiamo essere ancora più vicini ai nostri territori di origine e residenza, dobbiamo essere orgogliosi del contributo italiano alla crescita lo sviluppo dell’Unione Europea. Senza l’Italia non c’è l’Europa ma fuori dall’Europa c’è meno Italia. Non c’è sovranità nella solitudine, c’è solo l’inganno di ciò che siamo nell’oblio di ciò che siamo stati e nella negazione di quello che potremmo essere. Siamo una grande potenza economica e culturale e mi sono sempre stupito e un po’ addolorato in questi anni del notare come spesso il giudizio degli altri sul nostro paese sia migliore del nostro. Dobbiamo essere più orgogliosi più giusti e più generosi nei confronti del nostro paese e riconoscerne i tanti primati, la profonda ricchezza del nostro capitale sociale, del nostro volontariato che altri ci invidiano.
La pandemia e il sistema sanitario
Da quando è esplosa l’epidemia ci sono stati e i dati ufficiali sottostimano il fenomeno, 92.522 morti, 2 milioni 725 mila e 106 i cittadini colpiti dal virus. Ci sono 259 morti tra gli operatori sanitari a dimostrazione di un enorme sacrificio sostenuto con generosità e impegno. Cifre che hanno messo a dura prova il sistema sanitario nazionale sottraendo personale risorse alla prevenzione alla cura di altre patologie con conseguenze pesanti sulla salute di tanti Italiani. L’aspettativa di vita a causa della pandemia è diminuita nelle zone di maggior contagio. Un calo simile non si registrava in Italia dai tempi delle guerre mondiali.
Le conseguenze economiche e sociali della pandemia
La diffusione del virus ha comportato gravissime conseguenze anche sul tessuto economico e sociale del nostro paese con rilevanti conseguenze sull’occupazione, specialmente quella dei giovani delle donne. Ed è un fenomeno destinato ad aggravarsi quando verrà meno il divieto di licenziamento.
Si è anche aggravata la povertà: i dati dei centri di ascolto Caritas, che confrontano il periodo maggio-settembre del 2019 con lo stesso periodo del 2020, mostrano che da un anno all’altro l’incidenza dei nuovi poveri passa dal 31 al 45%. Quasi una persona su due che oggi si rivolge alla Caritas lo fa per la prima volta. Tra i nuovi poveri aumenta in particolare il peso delle famiglie con minori, delle donne, dei giovanii italiani che oggi sono la maggioranza rispetto anche lo scorso anno, e delle persone in età lavorativa, fasce di cittadini finora mai sfiorati dal indigenza.
Il numero totale di ore di cassa integrazione per emergenza sanitaria dal primo aprile al 31 dicembre dello scorso anno supera i 4 miliardi. Nel 2020 gli occupati sono scesi di 444000 unità ma il calo si è concentrato sui contratti a termine e lavoratori autonomi. La pandemia finora ha colpito soprattutto giovani e donne, e presto potrebbe iniziare a colpire anche i lavoratori con contratti a tempo indeterminato. Sono gravi e con pochi precedenti storici gli effetti sulla disuguaglianza. In assenza di interventi pubblici una misura della disuguaglianza che si chiama il coefficiente di Gini, che misura la disuguaglianza nella distribuzione del reddito, sarebbe aumentato nel primo semestre del 2020 di 4 punti percentuali rispetto al 34% del 2019. In questo momento sarebbe stato maggiore di quello cumulato durante le due recenti recessioni.
L’aumento della disuguaglianza è stato tuttavia attenuato dalle reti di protezione presenti nel nostro sistema di sicurezza sociale, in particolare dai provvedimenti che dall’inizio della pandemia li hanno rafforzati. Rimane però il fatto che il nostro sistema di sicurezza sociale è squilibrato.
Le previsioni pubblicate la scorsa settimana dalla Commissione Europea indicano che, sebbene nel 2020 la recessione europea è stata meno grave di quanto ci si aspettasse e quindi già fra poco più di un anno si dovrebbero recuperare i livelli di attività economica pre pandemia, in Italia questo non accadrà prima della fine del 2022. E questo in un contesto in cui prima della pandemia non avevamo ancora recuperato pienamente gli effetti delle crisi del 2008 2009 e 2011 2013. La diffusione del covid ha provocato ferite profonde nelle nostre comunità, non solo sul piano sanitario economico ma anche in quello culturale educativo.
Piano vaccinale
Questa situazione di emergenza senza precedenti impone di imboccare con decisione e rapidità una strada di unità e impegno comune il piano di vaccinazione. Le case farmaceutiche in solo 12 mesi hanno fatto un miracolo che non era mai accaduto che si riuscisse a produrre il nuovo vaccino in meno di un anno. La nostra prima sfida è ottenerne nelle quantità sufficienti e distribuirlo rapidamente ed efficientemente. Abbiamo bisogno di mobilitare tutte le energie su cui possiamo contare ricorrendo alla protezione civile, alle forze armate, ai tanti volontari e non dobbiamo limitare le vaccinazioni all’interno di luoghi specifici che spesso non sono ancora pronti.
Dobbiamo fare il possibile anche imparando da Paesi che si sono mossi più rapidamente di noi disponendo subito di quantità di vaccini adeguate. La velocità è essenziale. Non solo per proteggere gli individui le loro comunità sociali ma ora anche per ridurre le possibilità che sorgano altre varianti del virus.
La riforma della sanità
Sulla base dell’esperienza dobbiamo aprire un confronto a tutto campo sulla riforma della nostra sanità: il punto centrale è rafforzare ridisegnare la sanità territoriale realizzando una forte rete di servizi di base case della comunità, ospedali di comunità, consultori, centri di salute mentale, centri di prossimità contro la povertà sanitaria. È questa la strada per rendere realmente esigibili quelli che sono chiamati i livelli essenziali di assistenza e affidare agli ospedali le esigenze sanitarie acute e post-acute. La casa come principale luogo di cura è oggi possibile con la telemedicina, con l’assistenza domiciliare integrata.
La scuola
Le ragazze e i ragazzi hanno avuto, soprattutto quelli delle scuole secondarie di secondo grado, il servizio scolastico attraverso la didattica a distanza che pur garantendo la continuità del servizio non può non creare disagi ed evidenziare diseguaglianze. Un dato chiarisce meglio la dinamica attuale: a fronte di un milione 696 mila studenti delle scuole 696300 studenti delle scuole secondarie di secondo grado nella prima settimana di febbraio solo un milione 39 mila studenti, cioè il 61% del totale, ha avuto assicurato il servizio attraverso la didattica a distanza.
Non solo dobbiamo tornare rapidamente ad un orario scolastico normale, anche distribuendolo su diverse fasce orarie, ma dobbiamo fare il possibile con le modalità più adatte per recuperare le ore di didattica in presenza perse lo scorso anno. Soprattutto nelle regioni del Mezzogiorno in cui la didattica a distanza ha incontrato maggiori difficoltà occorre occorre rivedere il disegno del percorso scolastico annuale, allineare il calendario scolastico alle esigenze derivanti dall’esperienza vissuta dall’inizio della pandemia.
Il ritorno a scuola deve avvenire in sicurezza ed è necessario investire nella transizione culturale a partire dal patrimonio identitario umanistico riconosciuto a livello internazionale. Siamo però chiamati a disegnare un percorso educativo che combini la necessaria adesione agli standard qualitativi richiesti anche nel panorama europeo, con il test di nuove materie metodologie e coniugare le competenze scientifiche con quelle delle aree umanistiche del multilinguismo.
Infine, è necessario investire nella formazione del personale docente per allineare l’offerta educativa alla domanda delle nuove generazioni.
Attenzione agli istituti tecnici
In questa prospettiva particolare attenzione va riservata agli istituti tecnici in Francia e in Germania dove ad esempio questi istituti sono un pilastro importante del sistema educativo.
È stato stimato in circa 3 milioni nel quinquennio 2019-2023 il fabbisogno di diplomati di istituti tecnici nell’area digitale e ambientale per questo il programma nazionale di ripresa e resilienza assegna un miliardo e mezzo agli istituti tecnici, ovvero 20 volte il finanziamento di un anno normale pre pandemia. Senza innovare l’attuale organizzazione di queste scuole rischiamo che quelle risorse vengano sprecate.
Ricerca e università
La globalizzazione e la trasformazione digitale e la transizione ecologica stanno da anni cambiando il mercato del lavoro e richiedono continuamente degli adeguamenti nella formazione universitaria. Allo stesso tempo occorre investire adeguatamente nella ricerca senza escludere la ricerca di base puntando all’eccellenza ovvero a una ricerca riconosciuta a livello internazionale per l’impatto che produce sulla nuova conoscenza e sui nuovi modelli in tutti i campi scientifici.
Il mondo dopo la pandemia
Quando usciremo, e usciremo dalla pandemia, che mondo troveremo? Alcuni pensano che la tragedia nella quale abbiamo vissuto per più di 12 sia stata simile a una lunga interruzione di corrente e che prima o poi la luce ritorna e tutto ricomincia come prima. La scienza, ma semplicemente il buon senso, suggeriscono invece che potrebbe non essere così: il riscaldamento del pianeta, gli effetti diretti sulle nostre vite e sulla nostra salute, dall’inquinamento alla alla fragilità idrogeologica all’innalzamento del livello dei mari che potrebbe rendere ampie zone di alcune città litoranee non più abitabili, lo spazio che alcune megalopoli hanno sottratto alla natura, potrebbe essere stata una delle cause della trasmissione del virus dagli animali all’uomo.
Come ha detto Papa Francesco le tragedie naturali sono la risposta della terra al nostro maltrattamento, e io penso che se chiedessi al signore che cosa pensa non credo mi direbbe che è una cosa buona che siamo stati noi a rovinare l’opera del signore.
Proteggere il futuro dell’ambiente conciliando con il progresso e il benessere sociale richiede un approccio nuovo: la digitalizzazione dell’agricoltura, salute energia, aerospazio, cloud computing, scuola ed educazione, protezione dei territori, biodiversità, riscaldamento globale ed effetto serra sono diverse facce di una sfida collettiva che vede al centro l’ecosistema in cui si svilupperanno tutte le nostre azioni.
Anche nel nostro paese alcuni modelli di crescita dovranno cambiare: ad esempio il modello di turismo è un’attività che prima della pandemia rappresentava il 14% del totale delle nostre attività economiche. Imprese e lavoratori in quel settore vanno aiutati ad uscire dal disastro creato della pandemia. Ma senza scordare che il turismo avrà un futuro se non dimentichiamo che esso vive della nostra capacità di preservare l’ambiente, preservare cioè almeno non sciupare città d’arte, luoghi e tradizioni che successive generazioni attraverso molti secoli hanno saputo preservare e ci hanno tramandato.
Economia e lavoro
Uscire dalla pandemia non sarà come riaccendere la luce, questa osservazione che gli scienziati non smettono di ripeterci ha una conseguenza importante. Il governo dovrà proteggere i lavoratori, tutti i lavoratori, ma sarebbe un errore proteggere indifferentemente tutte le attività economiche. Alcune dovranno cambiare anche radicalmente, e la scelta di quali attività proteggere e quali accompagnare nel cambiamento è il difficile compito che la politica economica dovrà affrontare nei prossimi mesi.
La capacità di adattamento del nostro sistema produttivo e interventi senza precedenti hanno permesso di preservare la forza lavoro lavoro. In un anno drammatico sono stati 7 milioni i lavoratori che hanno fruito di strumenti di integrazione salariale per un totale come dicevo prima di 4 miliardi di ore. Grazie a tali misure, supportate anche della commissione europea, è stato possibile limitare gli effetti negativi sull’occupazione. A pagare il prezzo più alto sono stati giovani le donne e lavoratori autonomi. È innanzitutto a loro che bisogna pensare quando affrontiamo una strategia di sostegno delle imprese e del lavoro.
La strategia che dovrà coordinare la sequenza degli interventi sul lavoro, sul credito e sul capitale centrale, sono le politiche attive del Lavoro. Affinché esse siano immediatamente operative è necessario migliorare gli strumenti esistenti come l’assegno di ricollocazione rafforzando le politiche di formazione dei Lavoratori occupati e disoccupati.
Vanno anche rafforzate le dotazioni di personale digitali dei centri per l’impiego in accordo con le regioni e questo progetto è già parte del programma nazionale di ripresa e resilienza. ma il cambiamento climatico, come la pandemia, penalizza alcuni settori produttivi senza che vi sia un espansione in altri settori che possa compensare.
Dobbiamo quindi essere in grado di assicurare questa espansione e lo dobbiamo fare subito, la risposta della politica economica al cambiamento climatico la pandemia dovrà essere una combinazione di politiche strutturali che facilitino l’innovazione di politiche finanziarie che facilitano l’accesso delle imprese capaci di crescere al capitale e al credito e di politiche monetarie e fiscali espansive che agevolino investimenti e creino domanda per le nuove attività sostenibili che sono state create.
Superare la disparità di genere
La mobilitazione di tutte le energie del paese nel suo rilancio non può prescindere dal coinvolgimento delle donne. Il divario di genere nei tassi di occupazione in Italia rimane tra i più alti in Europa. Dal dopoguerra ad oggi la situazione è certamente migliorata ma questo incremento non è andato di pari passo con altrettanto evidente miglioramento delle condizioni di carriera delle donne. L’Italia oggi presenta uno dei peggiori Gap salariali tra i generi in Europa oltre una cronica scarsità di donne in posizioni manageriali di rilievo. Una vera parità di genere non significa un farisaico rispetto di quote rosa richieste dalla legge, richiede che siano garantite parità di condizioni competitive tra generi. Intendiamo lavorare in questo senso puntando al riequilibrio del Gap salariale e un sistema di welfare che permette alle donne di dedicare alla loro carriera le stesse energie dei loro colleghi uomini, superando la scelta tra famiglia e lavoro per garantire parità di condizioni competitive. Questo significa anche assicurarsi che tutti abbiano eguale accesso alla formazione di quelle competenze chiave che sempre più permetteranno di far carriera: digitali, tecnologiche, ambientali. Dobbiamo quindi investire economicamente ma soprattutto culturalmente perché sempre più giovani donne scelgono di formarsi degli ambiti su cui intendiamo rilanciare il paese, solo in questo modo riusciremo a garantire che le migliori risorse siano coinvolte nello sviluppo del paese. L’aumento dell’occupazione in primis femminile è obiettivo imprescindibile.
Il mezzogiorno
Nel mezzogiorno dobbiamo sviluppare la capacità di attrarre investimenti privati nazionali internazionali. Questo è essenziale per generare reddito, creare lavoro, invertire il declino demografico e lo spopolamento delle aree interne. Ma per raggiungere questo obiettivo occorre creare un ambiente dove legalità e sicurezza siano sempre garantite.
Ci sono poi strumenti specifici come il credito di imposta e altri interventi da concordare in sede Europea per riuscire a spendere e spendere bene, utilizzando i fondi che il programma dal mezzogiorno prevede. Occorre irrobustire le amministrazioni meridionali anche guardando con attenzione all’esperienza di un passato che spesso ha deluso.
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