“Scuola in presenza o scuola a distanza?”, una riflessione dall’Istituto Tirinnanzi Legnano
Paola Balducci, coordinatrice Istituto Tirinnanzi/Scuole La Carovana, affronta la questione, convinta che "la complessità della situazione in cui ci troviamo non ci permette risposte semplicistiche"
In quest’ultima settimana, la drammatica crescita dei contagi ha riproposto l’interrogativo: scuola in presenza o scuola a distanza? Il tema assolutamente d’attualità è oggetto di una considerazione della prof.ssa Paola Balducci, coordinatrice Istituto Tirinnanzi/Scuole La Carovana.
Il governo ha deciso di non retrocedere e, anche se la percentuale di studenti contagiati è la più alta dall’inizio della pandemia, ha deciso la riapertura della scuola in presenza e nel contempo ha emanato delle direttive che, in questa sede, non ci interessa valutare.
La caparbietà e la tenacia con cui si è voluto scegliere per le scuole aperte attestano l’importanza della scuola e il suo ruolo decisivo per la crescita del paese. Come non condividere questa attenzione per la scuola?
Negli ultimi mesi, docenti, genitori, psicologi hanno portato all’attenzione dell’opinione pubblica gli effetti negativi del lungo periodo di DAD, sui nostri giovani. È doveroso, a questo punto, chiederci che cosa è mancato ai nostri ragazzi, che cosa ha procurato loro tanta sofferenza “mentale e sociale”?
La risposta è unanime: è mancata la relazione. “La scuola – si dice – è un luogo di relazioni e per questo insostituibile”.
La scuola è un luogo di relazioni significative (relazione alunni-insegnanti, relazione degli alunni fra loro, relazione dei docenti con i genitori)… ma non solo.
La scuola è innanzitutto un luogo di cultura; la cultura, intesa come patrimonio, eredità, dono che si tramanda da una generazione all’altra, è il contenuto delle relazioni che si vivono a scuola. Senza questa consapevolezza si rischia di svuotare la scuola del suo vero valore e renderla così inutile.
Nel 2016, usciva la prima edizione italiana de “I diseredati. Ovvero l’urgenza di trasmettere” di François-Xavier Bellamy. Il filosofo francese ci metteva in guardia dal rischio di non lasciare i nostri giovani “diseredati”, privati della loro eredità culturale.
È opportuno precisare che la nostra riflessione non intende lamentare le necessarie decurtazioni apportate ai “programmi” a causa della pandemia. A noi preme far emergere che essere in relazione è ciò che costituisce la natura dell’uomo alla ricerca continua del significato delle cose.
La scuola è il luogo in cui questa ricerca si è data una forma, un tempo e uno spazio dove nascono e crescono relazioni generative, dove ciascuno può dare e ricevere allo stesso tempo. Relazioni che non abbiano questa tensione non rispondono allo scopo della scuola; senza questa tensione a comunicare una tradizione, la scuola rinuncia ad essere un luogo di educazione.
A questo punto è d’obbligo chiedersi: come si coniuga l’urgenza di trasmettere con l’urgenza di innovare? Siamo in un’epoca nuova, postmoderna, iper digitalizzata.
La rivoluzione digitale ha cambiato il mondo. In un contesto connotato da continui cambiamenti, che scuola serve?
Serve una scuola tradizionale o una scuola innovativa? La domanda è mal posta, infatti tradizione e innovazione non sono contrapposti e devono coesistere.
Una scuola che non affonda le sue radici nella tradizione non favorisce innovazione: tramandare ai giovani il sapere accumulato dalle generazioni che ci hanno preceduto equivale a consegnare loro le chiavi d’accesso al mondo così come si presenta ai loro occhi, anche il mondo digitale.
Certo non siamo ingenui e sappiamo che su questo aspetto le scuole devono formarsi, crescere, saperne di più.
Siamo pronti a questa sfida, ma non siamo disponibili a ridurre l’insegnamento ad addestramento, il metodo a strategia, il percorso conoscitivo a procedura, la valutazione a competizione, l’uomo a robot.
In un tempo in cui ci sono macchine che senza avere alcuna intelligenza, fanno cose migliori di quelle che potrebbero fare gli uomini, che cosa resta pertinenza dell’uomo e che cosa è chiesto alla scuola?
La complessità della situazione in cui ci troviamo non ci permette risposte semplicistiche, ma siamo certi che la prima caratteristica di una scuola che non vuole rinunciare ad educare è accompagnare i ragazzi alla ricerca del significato di sé e del mondo “costringendoli” a ragionare e a pensare, solo così le macchine potranno essere al servizio dell’uomo e non il contrario.
Il tema è ampio e nessuno ha la risposta giusta, c’è bisogno del contributo di tutti.
Paola Balducci – Coordinatrice Istituto Tirinnanzi/Scuole La Carovana
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