Hub Move in Cerro Maggiore: “Faccio il vaccino e scopro un’umanità sorprendente”
L'esperienza di Simone che con una lettera ringrazia di cuore «tutte le persone che in queste settimane stanno collaborando a questa importante missione per il bene di tutti, a partire da Cerro e arrivando a tutto il Paese»
Caro direttore, Le scrivo sulla scia dell’esperienza fatta oggi al Centro di Vaccinazione Move-in di Cerro, presso cui mi sono recato per la prima dose di vaccino.
Anche se quello che ho vissuto è un’esperienza semplice penso che possa in qualche modo essere una bella notizia, o comunque un punto di confronto o giudizio.
Alle 9 mi sono recato al centro vaccinale e trovo la prima fila della giornata, in cui mi inserisco, composta principalmente da persone della fascia 30/50, come da pronostico. La convocazione era per le 9.05 e alle 9.05 veniamo chiamati puntualmente.
Sulla porta d’entrata un primo volontario si occupa della misurazione della temperatura corporea. Appena entrato una persona in uniforme della protezione civile mi consegna il foglio dell’anamnesi da compilare e il ticket con il numero per essere chiamato. Una terza signora mi aspetta ad un banco per darmi indicazioni sulla compilazione del documento. Subito dopo ci aspetta un gruppo di tavolini rotondi con biro a disposizione per compilare l’anamnesi e quindi due persone in uniforme della protezione civile ci fanno accomodare sulle sedie. Ci sono una settantina di sedie ben disposte, a distanza regolare con grandissima precisione, probabilmente del numero sufficientemente capiente da comprendere il gruppo di persone delle 9.05 (e di ogni altro orario). Rimaniamo qualche minuto in attesa di essere chiamati uno ad uno per accedere ad un altro desk, dove due signore verificano la corretta compilazione del foglio di anamnesi.
Non sono ancora entrato nell’area dove viene fatto il vaccino ma la vedo a pochi metri. Saranno passati 30 minuti. Fin qui ho incontrato in tutto 7 persone tra volontari, protezione civile, medici e persone che curano l’organizzazione. In queste persone non ho percepito neanche un filo di fastidio, lamento, né da parte della persona all’ingresso all’esterno (alle 9 c’erano già quasi trenta gradi), né della persona all’interno perennemente in piedi, né delle persone ai vari desk e in quelle in piedi a “gestire” l’accomodamento sulle sedie. Tutt’altro: ho percepito da tutti una gentile accoglienza, non di facciata ma vera, autentica. Come se tutti avessero ben in mente lo scopo per cui si erano alzati quella mattina. Dovrebbe essere normale sapere lo scopo per cui ci alziamo al mattino, ma immagino sia un’esperienza di molti, e naturalmente anche mia, lasciarsi portare via dal tran-tran quotidiano senza pensare al motivo per cui ci alziamo e facciamo quel che facciamo. E la conseguenza è nel come ci trattiamo, tra conviventi, tra colleghi. Invece in queste persone, semplicemente nel loro saluto, nella cura con cui mi hanno parlato, nell’attenzione con cui hanno corretto il foglio dell’anamnesi (ebbene sì, dovevo compilare 4 cose ma ho sbagliato la posizione in cui ho scritto la mia età), nella precisione con cui le sedie erano disposte, nello sguardo che avevano si poteva percepire che avevano ben chiaro il motivo per cui erano lì e si poteva capire che tipo di rispetto e di amore nutrono verso il nostro paese e più in generale verso il prossimo.
I due signori della protezione civile si sono prodigati per sdrammatizzare il momento di attesa, in cui forse qualcuno è un po’ teso nel pensare che presto dovrà fare questo vaccino, facendo una serie di battute davvero esilaranti, del tipo “Signori occupate pure le sedie davanti, tanto oggi non chiamiamo nessuno per l’interrogazione!”. Oppure quando tutti eravamo seduti sulle sedie e hanno cominciato a chiamare i numeri dal “71” c’era una signora che giustamente era convinta (non so come facesse a saperlo ma aveva proprio ragione) che la prima a doversi alzare doveva certamente essere lei, che aveva il “77”. Quindi il signore chiama il “71”, nessuno si alza, “72”, nessuno si alza, “73” e così via fino al “76”. La Signora non stava nella pelle, scalpitava per alzarsi perché era arrivato il momento del suo “77”. Clamorosamente come se niente fosse il signore della protezione civile chiama il “78” saltando il “77” e giù una bella risata generale.
Finalmente passo l’ultimo desk, quello in cui 3 dottoresse si assicurano di eventuali particolari situazioni personali per stabilire qual è il vaccino giusto per ciascuno e infine mi accomodo sulle sedie alle porte degli stanzini in cui viene fatto il vaccino, in attesa di essere chiamato, dove due signore, credo volontarie, “gestiscono” le sedie e l’entrata negli stanzini. Tutte queste persone sono sorridenti, di un sorriso che normalmente non trovi in giro e con gentilezza ti chiedono di spostarti da una sedia all’altra.
Vengo chiamato ad entrare nello stanzino per il vaccino e trovo un’infermiera che mi dice: “Guardi oggi sono un po’ lenta perché è il quinto giorno di seguito qua” come a volersi scusare perché non è efficiente al 100%. Continua: “Ero in pensione, ma c’era bisogno… E poi fare questo lavoro mi piace troppo. Mi piace così tanto che anche mia figlia ha fatto l’infermiera di professione”. E mentre mi racconta queste cose mi fa la puntura, Pfizer per la cronaca. Mi dà qualche consiglio per il post vaccino, in caso abbia fastidi o dolori. La ringrazio e la saluto. Aspetto 15 minuti seduto ed esco. Torno in macchina e vado in ufficio. Sarà passata più di un’ora, forse una e mezza, perché la burocrazia è tanta. Però come credo di aver spiegato, ho trovato un’accoglienza, una disponibilità, una gratuità da parte di queste persone eccezionali, sorprendenti, commoventi.
Non so se questa esperienza che ho vissuto oggi sia stata un caso, ma non credo. Ringrazio di cuore tutte le persone che in queste settimane stanno collaborando a questa importante missione per il bene di tutti, a partire da Cerro e arrivando a tutto il Paese.
Simone
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