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QUALI CONSEGUENZE AVREMMO, SE CHIUDESSERO LE SCUOLE PRIVATE?

17 Maggio 2013

Gentile direttore, vorrei entrare nel dibattito sui finanziamento alle scuole private paritarie che da alcuni giorni ha luogo su Legnano News.

Mi permetto semplicemente di sottolineare alcuni dati, incontrati nel mio lavoro di ricerca, che spero possano essere utili a comprendere le questioni in gioco, ai quali desidero anteporre una puntualizzazione relativa al sempre citato articolo 33 della Costituzione. L’articolo in questione, al comma 3, afferma “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato”. Mi concentro sull’ultima parte del comma, quel “senza oneri per lo Stato”, sui cui viene spesso fondata la convinzione che il finanziamento da parte dello Stato alle scuole private sia di fatto incostituzionale.

Se chi ribadisce questo concetto avesse in mente il contesto storico, culturale e politico in cui l’articolo 33 è stato scritto potrebbe sicuramente comprendere la diversa portata di quel “senza oneri per lo Stato”. Questa dizione, infatti, non determina l’impossibilità per lo Stato di sostenere soggetti che, pur non appartenendo al settore pubblico, offrono un servizio di pubblica utilità. Anzi.

Come è possibile leggere negli atti della Costituente, poco prima che si concludesse il dibattito sull’emendamento che sarebbe poi diventato l’attuale articolo 33, numerosi esponenti dello schieramento “laico” – dal comunista Marchesi al repubblicano Pacciardi, dal liberale Corbino all’azionista Codignola, proposero di aggiungere alla fine dell’attuale comma 3 le fatidiche parole: “senza oneri per lo Stato”.

Di fronte alle vibranti proteste dei componenti DC, in particolare di Gronchi, Corbino tenne a sottolineare “Noi non diciamo che lo Stato non potrà mai intervenire a favore degli istituti privati; diciamo solo che nessun istituto privato potrà sorgere con il diritto di avere aiuti da parte dello Stato. È una cosa diversa: si tratta della facoltà di dare o non dare”. Codignola ebbe a precisare che “con questa aggiunta, non è vero che si venga ad impedire qualsiasi aiuto dello Stato a scuole professionali, si stabilisce solo che non esiste alcun diritto costituzionale a chiedere tale aiuto. Questo è bene chiarirlo”.

L’emendamento presentato dai “laici”, dunque, precisava come lo Stato non fosse tenuto a intervenire, ma assolutamente non escludeva che lo Stato potesse erogare dei finanziamenti – come fa tuttora – se gli organi competenti lo avessero stabilito. Alla luce delle intenzioni originali dei padri costituenti non è legittimo definire, come molti erroneamente fanno, come incostituzionale un intervento pubblico a favore delle scuole a gestione privata.

Fatta questa lunga ma doverosa premessa di carattere giuridico, credo possa essere altrettanto utile analizzare alcuni dati Istat, elaborati dall’AGeSC, che indicano come i finanziamenti alle scuole private non siano solo una facoltà costituzionale dello Stato, ma anche un investimento per le casse del Paese.

I dati, riferiti all’anno 2012, indicano come per ognuno dei 7.865. 445 studenti che frequentano le scuole statali siano stati spesi € 7.319 (media delle spese sostenute per scuole d’infanzia, primarie e secondarie sia di primo che di secondo grado). Questo significa una spesa complessiva per lo Stato pari a €57.571.000.000. Per gli studenti delle scuole private, 1.072.560, lo Stato spende invece €476 per ogni alunno, per un totale di €511.000.000, lo 0.88% del costo complessivamente sostenuto per il sistema educativo (€ 58.082.000.000.000).

Alcuni affermano che le scuole private, anche senza il contributo proveniente dallo Stato, potrebbero comunque continuare ad operare come facevano prima che venissero erogati contributi nei loro confronti. Probabilmente aumentando le rette e/o abbassando l’offerta formativa attualmente garantita molte scuole private potrebbero, effettivamente, continuare ad esistere, ma con quali conseguenze? Mi pare ovvio costatare come un’eventuale eliminazione dei contributi alle scuole private non determinerebbe un problema per i soli istituti privati, ma comporterebbe conseguenze importanti anche per i cittadini e per lo stesso Stato.

Da un lato molti cittadini, specialmente quelli meno abbienti, si troverebbero privati della possibilità di scegliere la scuola che ritengono più adeguata all’educazione dei propri figli, vedendo notevolmente limitata la propria libertà in tal senso.

Dall’altro lato, il sistema scolastico del Paese potrebbe trovarsi in una situazione di grave difficoltà sia da un punto di vista economico che organizzativo. Facendo un rapido calcolo si evince come le scuole paritarie private portino un risparmio complessivo per lo Stato che si aggira sui 7 miliardi di euro. Se infatti quel milione di studenti che attualmente frequentano la scuola privata si trovasse costretta a iscriversi ad una scuola statale i costi per le casse dell’erario sarebbero notevolmente superiori, intorno ai 66 miliardi di euro, il 13.5% in più rispetto alla spesa attuale.

Ammettendo tuttavia che non tutti gli alunni delle scuole private si trovino costretti a spostarsi in un istituto pubblico, appare comunque improbabile che il sistema scolastico attuale possa rispondere coerentemente all’aumento di richieste proveniente dagli utenti. Se anche solo il 10% degli alunni attualmente iscritti alle paritarie private (pari a 107.420 unità) decidesse di passare a una scuola pubblica il costo per lo Stato sarebbe pari a €786.000.000, ben 275 milioni di euro in più rispetto a quanto attualmente speso per finanziare il sistema delle scuole private.

A fronte di questi dati nazionali – che si potrebbero facilmente declinare anche a livello regionale raggiungendo le medesime conclusioni – credo risulti meno semplice affermare che lo Stato farebbe bene a eliminare i contributi alle scuole private parietarie, che rappresentano una risorsa per il nostro Paese non solo da un punto di vista culturale ed educativo, ma anche e soprattutto economico.

Lorenzo Bandera

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