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CAPIRE L'ORGOGLIO MERIDIONALE NON GIUSTIFICA STRAVOLGERE LA STORIA

6 Dicembre 2010


Rispondo volentieri al signor Daniele Berti (qui la lettera), non tanto per difendere quanto scritto da me pochi giorni fa, quanto invece per stimolare l’interesse e la curiosità dei lettori.

Il signor Berti cita il libro “Terroni” di Pino Aprile. È un libro scritto con grande passione civile da un giornalista (nel senso migliore del termine) stanco, come tante altre persone di tutti gli angoli della penisola, delle insolenze e dei pregiudizi che da centocinquant’anni separano le genti del Nord da quelle del Sud. Del resto il titolo di copertina è chiaro: “Tutto quello che è stato fatto perché gli italiani del Sud diventassero meridionali”.

Posso capire e giustificare la nascita di questa sorta di “orgoglio meridionale” che ribatte colpo su colpo a stereotipi razzisti che da sempre hanno infamato le popolazioni del Sud. Ma da qui a stravolgere la Storia ce ne passa!

Dipingere il Sud borbonico come una terra felice che si sarebbe evoluta in forme ancora più civili e moderne se non fossero arrivati i “piemontesi” è davvero antistorico e fuori da qualunque forma di buon senso.

La famosa ferrovia Napoli-Portici (la prima in Italia, 1839) serviva solo per portare rapidamente e comodamente la famiglia reale dalla capitale alla grande reggia in campagna. Ben diverse caratteristiche aveva la Milano-Monza dell’anno successivo.

“Il paese che somigliava di più al Regno delle Due Sicilie era l’Inghilterra, superpotenza del tempo, e solo nell’Ottocento Londra superò Napoli” (Aprile, p.101). Lo stesso Aprile dice che nel 1860 il Sud borbonico era la terza realtà economica dell’Europa. Dopo l’Inghilterra e la Francia va bene, ma davanti addirittura alla Prussia, che avrebbe unificato la Germania dieci anni dopo, e davanti anche al grande impero multinazionale degli Asburgo? E l’Olanda, con il suo grande impero asiatico, dove la mettiamo?

Posso capire che “l’aggressione leghista ha indotto molti a sentirsi meridionali, a riscoprire la propria storia; che i settentrionali preferiscono ignorare…” (Aprile, p.23), ma per favore lasciamo da parte la Storia e prendiamo in considerazione solo i fatti.

A proposito di fatti, tutti conosciamo la novella “Rosso Malpelo” del siciliano Giovanni Verga e attraverso di essa la terribile realtà dei “carusi” siciliani che in cambio di salari di fame lavoravano dai dieci anni in su, per quattordici ore al giorno, finchè non rimanevano vittime di soprusi, incidenti o malattie nelle miniere di zolfo o nella stessa “cava di rena” di Malpelo. Ebbene la novella è del 1878: è credibile che fino a vent’anni prima i bambini siciliani andassero a scuola lindi e puliti e poi sono venuti quei biechi dei Mille e hanno distrutto tutto?

E poi, se il Regno delle Due Sicilie era una realtà fatta di modernità e di elementi di progresso, come è stato possibile che Mille “avanzi di galera” (Aprile, p.8) arrivassero a Napoli dopo pochi mesi dallo sbarco di Marsala determinando il crollo dello Stato borbonico?

Ciò in cui Aprile ha sicuramente ragione (anche se i toni sono sempre esagitati) è nel denunciare l’aggressione che il Sud ha subito dopo l’unità: dalle tasse più alte alla ferma militare di tre anni (con i Borboni l’esercito era a base volontaria), dal crollo della fragile economia meridionale a causa del libero-scambio imposto da Torino alle terribili repressioni attuate da Cialdini e Lamarmora per spegnere il fenomeno del “brigantaggio” (è però totalmente fuori da ogni logica la cifra di un milione di morti (!); Aprile, p.14).

I briganti non erano tutti eroici “partigiani” che difendevano la propria terra dall’aggressione sabauda. Tra di loro c’erano contadini delusi, ex militari dell’esercito borbonico senza lavoro, renitenti alla leva militare obbligatoria e soprattutto tanti briganti veri che spesso uccidevano e depredavano contadini e borghesi che erano stati obbligati ad aiutare i soldati dell’esercito regio.

In realtà l’unificazione, il brigantaggio, l’immiserimento del Sud sono fenomeni complessi e spesso contraddittori che si affrontano con chiavi di lettura parziali quando ci si affida a ricerche di parte condizionate dalla volontà di ribaltare a tutti i costi i soliti stereotipi sul meridionale neghittoso e incapace.

A questo punto vorrei invitare il signor Berti e i lettori che avranno avuto la pazienza di arrivare fino a qui a partecipare all’incontro promosso dall’Anpi di Rescaldina il 17 dicembre. Parleremo di Garibaldi ma senza fare sconti a nessuno.

Accanto alle sue indubbie vittorie frutto di capacità tattiche apprese in Sud America, cercheremo di chiarire i ruoli di Francia e Inghilterra nella caduta della dinastia dei Borboni, vedremo le cause del subitaneo crollo dello Stato borbonico che non fu favorito solo dagli emissari di Cavour che corrompono generali, ammiragli, uomini politici con denaro e promesse di carriera (ma se il Regno di Francesco II era così saldo, come mai buona parte della classe dirigente è salita sul carro sabaudo? Sempre colpa della massoneria?).
 
Ma soprattutto il 17 dicembre parleremo dei fatti di Bronte e della repressione dei moti contadini siciliani attuata da Bixio, con il consenso di Garibaldi e con decine e decine di fucilazioni sommarie ai danni di contadini che avevano creduto con troppa ingenuità che la “Libertà” gridata dai garibaldini volesse dire la proprietà della terra e la fine della loro secolare miseria.

Giancarlo Restelli
giancarlo.restelli@istruzione.it  

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