Moni Ovadia e Gianni Vacchelli al Teatro Civico di Rho: “La pace è responsabilità di ciascuno: urgente un risveglio interiore e sociale”
Nella serata della rassegna “Riflessioni”, sul tema “Palestina: parole di verità”, è emerso un forte richiamo alla responsabilità personale di ciascuno e alla urgenza di un “risveglio interiore e sociale"

Un Teatro Civico colmo di cittadini ha accolto mercoledì 26 marzo l’artista di origine ebraica Moni Ovadia e il professor Gianni Vacchelli, docente e scrittore che i rhodensi ben conoscono per i tanti incontri culturali animati a Villa Burba. Nella serata della rassegna “Riflessioni”, sul tema “Palestina: parole di verità”, è emerso un forte richiamo alla responsabilità personale di ciascuno e alla urgenza di un “risveglio interiore e sociale”. La serata, moderata da Angela Grassi, si è aperta con il saluto dell’assessora alla Cultura Valentina Giro, che ha inquadrato l’evento in una serie di iniziative che l’Amministrazione comunale sta portando avanti da mesi sul tema della pace: “Da quando abbiamo fissato questa data, 4 mesi fa, sono successe tante cose: una tregua che sembrava uno spiraglio di pace, il rilascio degli ostaggi, la rottura della tregua e la ripresa dei bombardamenti, con un bilancio di vittime devastante. Perché parlare di Palestina? Riprendo le parole dell’israeliano Yuval Ambraham, uno dei quattro autori del film “No other land” premiato anche agli Oscar. Lui dice “Abbiamo fatto questo film, palestinesi e israeliani, perché insieme possiamo essere una voce forte. Quando vedo Basel, vedo mio fratello, ma viviamo in un regime in cui io sono libero e lui non lo è. C’è una soluzione politica che non prevede la supremazia etnica, che può riconoscere i diritti di tutti. Siamo tutti interconnessi, la mia gente è al sicuro solo se la sua gente è al sicuro e libera. Non è troppo tardi. Portando la storia dei villaggi della Cisgiordania in tutto il mondo non abbiamo voluto suscitare dolore o pietà, ma spingere le persone a fare qualcosa ed esortarle a unirsi alla lotta contro le ingiustizie”. Ecco, siamo qui per riflettere, per cercare di capire cosa stia accadendo, per rilanciare la battaglia dei diritti. Bello vedere il Teatro pieno di persone per un confronto aperto e condiviso”.
Quindi la parola è passata a Moni Ovadia, ebreo fortemente legato alle proprie radici: “Io non sono uno studioso ma un attivista per i diritti sociali. Quello che il popolo palestinese sta subendo da decenni è un genocidio – ha esordito– Non lo dico io, lo dice Amos Goldberg, professore di Storia dell’Olocausto presso il Dipartimento di Storia Ebraica dell’Università Ebraica di Gerusalemme. Lui dice: “Gli obiettivi militari sono quasi incidentali mentre uccidono civili e ogni palestinese a Gaza è un obiettivo da uccidere. E’ in corso un meccanismo di negazione di quanto accade: distruzione, sfollamenti, cancellazione di istituzioni culturali e religiose, disumanizzazione. Un deliberato annientamento di una collettività”. Cerchiamo di capire cosa sia il sionismo, che non è ebraismo. A mio parere il sionismo è una ideologia colonialista e criminale, perché nasce con l’intento di dare un paese agli ebrei che non ne avevano uno e subivano persecuzioni. L’idea della Palestina prevalse per la presenza dei riferimenti biblici. Lo slogan ai tempi del mandato britannico fu “una terra senza popolo per un popolo senza terra” ma in Palestina un popolo c’era, il colonialismo occidentale non lo volle vedere. Il colonialismo è il più grande crimine nella storia dell’umanità. E’ passato il concetto di terra nullius: non perché non ci fosse nessuno, ma perché quegli uomini non contavano per il colonialismo. Una soluzione ci sarebbe, uno stato binazionale, anzi plurinazionale per tutti gli abitanti di quella terra ma gli israeliani non l’hanno mai preso in considerazione. Anche l’Europa continua a parlare di due popoli in due Stati, ma la colonizzazione non è mai finita e il sionismo revisionista da cui viene Netanyahu vuole togliere più terra possibile ai palestinesi”.
Ovadia, ricostruendo la storia dello Stato di Israele e dell’appoggio statunitense, ha concluso: “L’Occidente è complice del crimine sionista e questo è ripugnante. Senza opposizione, il sionismo prosegue il suo piano a scapito dei palestinesi innocenti. Continua una narrazione piena di bugie e uno dei più grandi crimini è strumentalizzare la Shoah per giustificare una infamia. Ci sono sopravvissuti alla Shoah che chiedono di fermare lo sterminio dei palestinesi. Mobilitatevi, perché la questione palestinese è quella su cui si gioca il futuro di una umanità che voglia avere uno statuto morale, diritti e pace. Se questa storia finirà con la deportazione del popolo palestinese, non sperate più di avere giustizia, di avere diritti, di avere rispetto dell’umanità. Il mondo sprofonderà nel peggiore degli incubi. Quello che sarà fatto ai palestinesi verrà imbracciato da tutte le canaglie del mondo: sparirà il diritto internazionale, sparirà il rispetto della persona umana nella sua sacralità. Stare dalla parte dei palestinesi non ha niente a che vedere con le proprie opinioni politiche, è scegliere tra l’umanità o la barbarie, la vita o la morte”.
Gianni Vacchelli, nell’intervento dal titolo “Dalla selva oscura bellica a nuove visioni di risveglio, resistenza e pace”, ha ribadito come “questa tragedia indicibile sia uno spartiacque”: “Il momento che stiamo vivendo è inedito. E’ una crisi di civiltà senza precedenti. Siamo chiamati a un risveglio interiore, sociale e politico perché siamo a un guado. Citerò spesso il mio maestro Raimon Panikkar, un uomo di luce. Era catalano e indiano, aveva Occidente e Oriente in sé. Il suo è uno sguardo essenziale oggi. Così dice: “L’alternativa è ineluttabile. O l’umanità entra in una nuova fase, che potremmo definire post storica, o una minoranza farà esplodere il pianeta provocando un aborto cosmico”. Si torna a parlare di guerra atomica come fosse un gioco, ma sarebbe la fine dell’umanità. Abbiamo bisogno di maestri e maestre, questo viaggio è anche una discesa agli inferi e Dante ci ha insegnato che non si scende agli inferi da soli. C’è una possibilità inedita di distruzione, ma l’umanità può entrare in una possibile trasformazione. Il ritorno della guerra è demenziale, perché oggi la guerra sarebbe assoluta e totale distruzione: abbiamo abdicato alla ragione. Tutti noi diventiamo ago della bilancia, non è vero che possiamo fare poco, dobbiamo recuperare un senso contemplativo della vita che ci fa recuperare la dignità di esistere. Serve una scelta di campo: sto con il popolo crocifisso palestinese o sto con un main stream che mente costantemente? E’ in gioco la stessa sopravvivenza dell’umanità. Abbiamo autoprogrammato la rovina finale. Se riusciamo a raggiungere un altro stato di coscienza abbiamo la possibilità di salvarci. Il punto focale è rendersi conto, perché viviamo tra propaganda e manipolazione. Tornano le ombre del passato. E infuriano come demoni. E’ necessario scendere dentro questi abissi che stanno dentro e fuori di noi. Uso l’immagine della epifania del popolo crocifisso, usata da Ignacio Ellacuria: se non prendiamo coscienza che qualcosa di rivelativo sta avvenendo in Palestina e non prendiamo parte attiva per questo popolo crocifisso, che potrebbe essere la salvezza perché rivela la mostruosità di un sistema, tutto si ritorcerà contro di noi. Inoltre, i popoli crocifissi crescono sempre più: il rapporto Oxfam rivela che la forchetta tra ricchi e poveri diventa sempre più tragica. Ci sono 2.700 ipermiliardari che possiedono il 44 per cento di quello che possiede il resto dell’umanità. Una sproporzione pazzesca. E’ un sistema che aumenta le iniquità. Esiste una oligarchia miliardaria, la cui ricchezza è per lo più ereditata e generata da sistemi clientelari. Intanto, nelle guerre il 90 per cento dei morti civili e le parole di guerra si moltiplicano. Ci sentiamo scissi, impauriti, disperati. E’ una guerra alla vita stessa”.
Vacchelli ha rilanciato il “bisogno di riscoprire coscienze critiche che aiutino a capire e di bloccare un sistema autodistruttivo”. Ha citato Henry Miller, Elsa Morante, “Il dottor Stranamore” di Stanley Kubrik, il mahatma Gandhi, Nelson Mandela, Simon Weil, Dietrich Bonhoeffer, scrittori e studiosi. Del filosofo Günther Anders ha citato I comandamenti dell’era atomica: “ La possibilità dell’Apocalisse è opera nostra ma noi non sappiamo quello che facciamo”. Terzo comandamento è “non avere paura di avere paura”, quarto “la bomba non è un mezzo ma un fine ed è inarrestabile”. Infine Panikkar, per riacquistare fiducia con i suoi nove sutra sulla pace: “La pace è partecipazione all’armonia del ritmo dell’essere. La cultura ipertecnologica è senza pace. Vogliamo pensare alla vigliaccheria di una guerra con i droni a confronto con un duello dell’Iliade? E’ difficile vivere senza pace esterna, impossibile senza pace interna. La pace è un dono non una conquista: non si combatte per la pace ma per i propri diritti. La vittoria ottenuta con la sconfitta non conduce mai alla pace. Il disarmo militare richiede un disarmo culturale. Nessuna cultura, religione o tradizione può risolvere i problemi del mondo: abbiamo bisogno di tutte le culture. Perdono, riconciliazione e dialogo sono gli unici a condurre alla pace. L’innocenza perduta esige la redenzione, la storia umana esige il perdono, necessita dell’amore pilastro dell’universo. Ecco il passaggio di civiltà cui siamo chiamati. Vedere le mostruosità di questo mondo può annichilirci, ma siamo in questo grandioso passaggio di trasformazione”. Intenso il confronto finale partito dalle domande del pubblico. E’ emerso ancora più forte il richiamo alla responsabilità personale: “Dobbiamo essere milioni a reagire altrimenti saremo responsabili davanti alle generazioni future. Quando dopo il diluvio universale viene scelto un solo uomo, è emblema del fatto che ciascuno di noi deve sentirsi responsabile del mondo intero”, ha chiosato Moni Ovadia.
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