Dal oltre un secolo “Fossati Arreda” le case dei legnanesi: “Dietro ogni mobile c’è una storia”
Il mobilificio, aperto da Giovanni Fossati a Monza, è stato poco dopo trasferito a Legnano. Elisabetta Fossati, insieme al marito Marco Marmondi, porta avanti l'attività con i figli Giuditta e Amos
«I mobili per noi non sono semplici mobili, dietro ad ognuno c’è una storia», spiega Elisabetta Fossati, attuale titolare di Fossati Arreda. Una storia, quella di Fossati Arreda, partita da lontano, iniziata nel 1866 all’ombra della Villa Reale di Monza, quando il fondatore Giovanni Fossati, falegname talentuoso in anni in cui nella zona, proprio per la costruzione della villa, il lavoro per gli artigiani non mancava, aprì una bottega.
Suo figlio Umberto non ci mise molto ad accorgersi che a Lissone la concorrenza era tanta, e decise così, pur mantenendo la storica bottega lissonese, di ampliare l’attività, facendo di Legnano la sua nuova casa. Quasi 160 anni dopo, la vetrina della famiglia Fossati è ormai diventata iconica per la città del Carroccio.
Inizialmente aperta in via Ferruccio, dopo un primo trasferimento in via Resegone la vetrina di Fossati Arreda nel 1966 si è spostata in via Volta, dove è rimasta fino ad oggi. Di generazione in generazione, dopo gli anni passati affiancando papà Giulio e mamma Rosita, gli zii Giovanni e Mario e i cugini, oggi al timone dell’attività c’è la bisnipote del fondatore, Elisabetta Fossati.
Un lavoro “sartoriale”
«Da questa vetrina abbiamo visto cambiare la città – racconta Elisabetta Fossati -. Abbiamo avuto tanti clienti arrivati dal Sud con la proverbiale valigia di cartone per tentare la fortuna qui, dove ci sono sempre state fabbriche importanti. Ricordo ancora quando al cambio turno della Cantoni o della Franco Tosi vedevo passare gruppi di operai in bicicletta, o quando i telai del cotonificio entravano in funzione e si sentivano tremare le finestre di casa. Noi stessi abbiamo arredato le case di villeggiatura della Franco Tosi a Sestri Levante e abbiamo fornito le brandine alla Caserma Cadorna».
In parallelo alla città, Elisabetta Fossati ha visto cambiare anche il mestiere. «L’attività è cambiata completamente – sottolinea la titolare -. Ai tempi di mio padre si iniziava ad abbozzare qualche progetto; oggi, invece, utilizzando la tecnologia, cerchiamo di dare al cliente non solo un’idea di arredamento, ma una progettazione completa per impreziosire il servizio. Studiare un arredamento è un lavoro sartoriale, si entra nell’anima delle persone, non solo nelle loro case».
«Abbiamo sempre puntato moltissimo sul rapporto umano sia con i fornitori che con i clienti – aggiunge Elisabetta Fossati -, rimanendo con i piedi per terra, vendendo il nostro nome prima del prodotto e cercando di dare un servizio e di permettere a tutti di dare forma alla propria casa. Proprio per questo ci avvaliamo di aziende non brandizzate che però riescono a sposare la nostra filosofia, basata sull’attenzione al cliente e sulla qualità».
La nuova generazione
Ormai da una decina di anni in negozio insieme ad Elisabetta Fossati, oltre al marito Marco Marmondi, ci sono i figli Giuditta e Amos, nati e cresciuti tra le vetrine di via Volta. «Crescere in un negozio di mobili è stato bellissimo – racconta Giuditta Marmondi -: con la creatività di un bambino in uno spazio come questo qualsiasi cosa era possibile, da fingere di guidare il camion ad improvvisarsi cuochi nelle cucine, fino a trasformarsi in baristi facendo un caffè per un cliente. È bellissimo anche avere clienti che non dicono “Vado a comprare i mobili” ma “Vado dalla Betty”, e che passano in negozio anche solo per un caffè. Sentiamo una grande responsabilità per la storicità che ci portiamo sulle spalle, ma ci dà anche la carica e la motivazione per andare avanti».
«Mi colpisce sempre che ci siano ancora oggi clienti che entrano in negozio dicendoci di aver acquistato mobili da nostra nonna – aggiunge Amos Marmondi -. Ricordo che, durante una delle mie prime consegne, la mamma della cliente mi mostrò un armadio che le aveva venduto mio nonno, costruito dal mio prozio e montato dall’altro prozio. Respirare l’affetto con cui le persone parlano di chi ci ha preceduti è emozionante».
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