Protesta del terziario e commercio, a Milano anche un centinaio di legnanesi
I lavoratori con i sindacati di Legnano sono scesi in piazza per chiedere il rinnovo dei contratti nazionali di settore in bloccati da tre anni
Un centinaio i lavoratori che con i sindacati sono scesi in piazza a Milano per partecipare allo sciopero indetto venerdì 22 dicembre chiedere il rinnovo dei contratti nazionali di settore in bloccati da tre anni. Ad essere coinvolti nella protesta organizzata dalle tre sigle sindacali Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs sono i settori del Terziario, Distribuzione e Servizi, della Distribuzione Moderna Organizzata, della Distribuzione Cooperativa, e del comparto turistico ricettivo alberghiero, della Ristorazione Collettiva e Commerciale, delle Agenzie di Viaggio e delle Aziende Termali. In prima linea con i lavoratori legnanesi anche il segretario generale della Filcams Cgil Fabio Toriello con il segretario generale della Cgil Ticino Olona Mario Principe.
«I lavoratori sono con i salari al palo e il mancato aggiornamento della parte normativa dei contratti, mentre i settori del terziario e del turismo registrano una ripresa e un aumento dei fatturati – affermano i sindacalisti – Alla base della protesta si denuncia l’indisponibilità delle associazioni dei datori di lavoro del settore (Confcommercio, Confesercenti, Federdistribuzione, Ancc-Coop, Confcooperative-Consumo e Utenza e Agci-Agrital) “a riconoscere alle lavoratrici e ai lavoratori incrementi retributivi in linea con l’andamento inflazionistico».
Meno potere d’acquisto senza il rinnovo del contratto nazionale
Già nei giorni scorsi Toriello aveva spiegato con chiarezza le motivazioni di questa mobilitazione. E lo ha fatto partendo dall0 stallo causato della pandemia, dove «le associazioni datoriali sembrano aver dimenticato i sacrifici fatti dalle lavoratrici e dai lavoratori in quella fase. Sacrifici fatti sia da chi è stato posto in cassa integrazione, subendo un duro colpo a livello salariale, ed ha dovuto fare i conti col rischio concreto di perdere il proprio posto di lavoro, sia da chi, soprattutto nella distribuzione alimentare, ha affrontato la pandemia in prima linea, con il pericolo del virus, sentendosi persino annoverato tra i “lavoratori eroi” che hanno permesso al Paese di andare avanti. Di tali sacrifici non ce n’è memoria, né riconoscimento. A seguire, l’aumento delle materie prime e le incertezze determinate dalla crisi internazionale e dalla guerra in Ucraina, sono diventate ulteriori motivazioni portate avanti dalle associazioni datoriali per non rinnovare i contratti. Nel frattempo, però, l’inflazione è cresciuta a dismisura e le imprese del settore hanno, conseguentemente, riversato sui prezzi di vendita l’aumento dei costi sostenuti. Gli unici che non hanno avuto alcuna leva per affrontare l’indebolimento dei salari sono stati le lavoratrici e i lavoratori del settore, che senza gli aumenti del contratto nazionale hanno perso potere d’acquisto». Secondo Toriello è arrivato il momento di risolvere la vertenza dei quindici contratti aperti «credo che la si debba affrontare. Credo sia necessario iniziare a ragionare in relazione al dopo, al giorno dopo lo sciopero, per comprendere quale è il punto di caduta sostenibile per la Filcams? È un interrogativo di certo complesso già nella nostra discussione interna, nel rapporto tra di noi e soprattutto nel rapporto con le le lavoratrici e i lavoratori. Mi interrogo sul fatto che questa discussione non può portarci a non rinnovare i contratti nazionali o peggio, ad una firma separata. Come del resto la Filcams non si può permettere, in alcun modo, di favorire una ulteriore dilazione dei tempi né di agevolare una situazione di stallo, non prefigurando alcun possibile approdo o prefigurandone uno irraggiungibile».
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