Lavoratrici più in crisi per la pandemia, Confartigianato Alto Milanese: «Un campanello d’allarme»
L'associazione di categoria crede sia necessario creare le condizioni perché ci sia reale condivisione anche nel lavoro di cura
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In Lombardia le imprese registrate gestite da donne sono in totale 179.630 di cui 38.869, il 21,6%, artigiane. Di queste ultime il 14,3% pari a 5.551 sono gestite da giovani under 35 e il 17,9% pari a 6.947 sono gestite da imprenditrici straniere.
Gli effetti della pandemia si sono ripercossi in modo particolarmente pesante sulle donne, allargando ulteriormente i gap di genere e mettendo ancor più in evidenza le fragilità esistenti. I dati sul trend del fatturato 2020 rispetto a quello 2019, rilevati attraverso il sondaggio “Gli effetti della crisi coronavirus sulle MPI lombarde” realizzato a inizio febbraio 2021 da Confartigianato Lombardia ne forniscono ulteriore conferma. Difatti la riduzione di fatturato 2020 registrata dalle imprese femminili rispetto a quelle maschili risulta più pesante e pari al -29%. Le motivazioni alla base di questa differenza di performance di impresa sono diverse, dalla maggior presenza di donne nei servizi, settore più colpito dalla crisi Covid-19, all’innalzamento del livello di difficoltà nella gestione di attività di cura e di attività lavorative, spesso sovrapposte.
Quest’ultima motivazione trova ancora una volta riscontro nei dati della survey di febbraio: le donne con difficoltà nella gestione dei tempi di cura sono anche quelle che hanno registrato diminuzioni di fatturato più pesanti nel 2020 pari al -31,2%.
I dati Istat sull’occupazione femminile – gli ultimi disponibili fanno riferimento al III trimestre 2020 – indicano che le donne lombarde con un lavoro sono 41 mila in meno, nel dettaglio nel periodo luglio-settembre 2020 rispetto allo stesso periodo 2019 si contano 8 mila lavoratrici indipendenti in meno e 34 mila lavoratrici dipendenti in meno. Nel 2020 sono state 571 mila le donne entrate nel mercato del lavoro, 150 mila in meno rispetto al 2019.
I tre settori in cui si rileva una maggiore presenza di imprese artigiane femminili (63% delle imprese artigiane femminili) sono “Altre attività dei servizi alla persona”, comprensive dell’area benessere (con 18.302 imprese, 47,1% del totale artigianato femminile), “Attività dei servizi per edifici e paesaggio”, comprensive di imprese di pulizie e sanificazione (con 3.375 imprese, 8,7% del totale artigianato femminile) e “Confezioni di articoli di abbigliamento” (con 2.712 imprese, 7% del totale artigianato femminile). Il primo e il terzo sono tra i settori più colpiti dalla pandemia.
I risultati del Sondaggio d’ascolto promosso dal Movimento donne impresa di Confartigianato Lombardia “Verso l’8 di marzo 2021. E molto oltre” permettono di raccontare una parte dell’effetto Covid-19 sul mondo delle donne-lavoratrici-imprenditrici. Le donne imprenditrici a capo di MPI e imprese artigiane “al tempo del coronavirus” si definiscono in prevalenza flessibili, multitasking e problem-solver. Il 38,4% delle imprenditrici ritiene che lo shock pandemico ha reso molto difficile essere donna imprenditrice.
Dalla survey si rileva che gli strumenti digitali sono stati di massima importanza e di elevato supporto per lo svolgimento sia di attività di cura che lavorative, spesso sovrapposte, per il 67% delle imprenditrici. Sono il 59,3% quelle che attualmente hanno difficoltà elevate nel gestire tempi di vita e lavoro, si tratta delle imprenditrici che regolarmente si prendono cura di persone non autosufficienti e quelle con figli.
La rappresentante del Gruppo Donne di Confartigianato Imprese Alto Milanese, Giovanna Mazzoni, commenta così i risultati emersi dalla survey: «Le donne imprenditrici lombarde vogliono che il loro ruolo venga maggiormente riconosciuto, chiedono una reale integrazione, di essere valutate sulla base del merito, delle capacità e delle competenze. Crediamo sia necessario ripartire da una considerazione: per raggiungere la parità nel mondo del lavoro, dovremmo creare le condizioni perché ci sia reale condivisione anche nel
lavoro di cura. È uno degli insegnamenti che ci lascia questa pandemia: la perdita più elevata di lavoratrici rispetto ai lavoratori in un momento di emergenza è un campanello d’allarme, che dovrebbe essere vissuto come un fallimento sul quale interrogarsi. È il segnale che qualcosa, nel mercato del lavoro, non sta funzionando. Vorremmo che questa esperienza potesse essere il punto di partenza per una riflessione più ampia verso un cambiamento, sociale e culturale, che vada nella direzione indicata dal nostro Presidente del Consiglio, la ricerca di una reale parità di condizioni competitive».
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