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25 aprile: il discorso dell’amministrazione

Oggi, lunedì 25, celebrata la Festa della Liberazione a Cerro Maggiore e Cantalupo...

Di seguito pubblichiamo integralmente il discorso letto dal sindaco Teresina Rossetti e dal vicesindaco Piera Landoni in occasione delle celebrazioni della Festa della Liberazione.


Un caro saluto a voi tutti che avete voluto celebrare oggi il 71° anniversario della Liberazione del nostro Paese dall’occupazione nazifascista Ringrazio, a nome della Giunta e del Consiglio comunale, le mie concittadine e i miei concittadini, le autorità politiche e religiose presenti, i rappresentanti delle forze armate, i carabinieri, la polizia locale, le associazioni presenti, per la partecipazione a questa celebrazione.

Sono passati 71 anni da avvenimenti, che hanno segnato la storia italiana e non, come la fine della Seconda Guerra Mondiale, la fine del Nazismo, la cattura e la morte di Mussolini, di Hitler, senza dimenticare la liberazione dai campi di sterminio. Ma con la Resistenza e il 25 Aprile, questa data ha assunto per il nostro Paese un significato ancora più profondo, un orizzonte di senso e di valori sui quali si è poi costruita la nostra democrazia. Le nostre radici, il senso profondo della nostra identità e della nostra unità nazionale sono lì, in quel tempo. Dalla spinta verso la libertà e la democrazia, che animò la scelta di tanti giovani, nacque la Repubblica. Grazie a uno spirito di concordia e ad un senso delle istituzioni, che riuscì ad essere più forte delle rispettive ragioni, fu scritta la nostra Costituzione, furono sanciti i principi e i valori grazie ai quali l’Italia è cresciuta ed è diventata un grande Paese.

Per oltre vent’anni, il violento totalitarismo fascista aveva oppresso l’Italia privando gli italiani della democrazia, dei diritti civili, sopprimendo la libertà di stampa, di riunione, di espressione, togliendo ogni ruolo al Parlamento, ai partiti e ai sindacati, promuovendo il militarismo nelle scuole. Il Fascismo aveva varato l’abominio delle leggi razziali e portato a una sciagurata guerra di aggressione a fianco del nazismo, fino a cedergli la sovranità avviando la tragica deportazione nei campi di sterminio di uomini, donne, bambini e di chiunque non si fosse omologato.

La lotta Partigiana fu un’autentica presa di coscienza dal basso, un movimento popolare animato soprattutto da giovani ricchi di coraggio e di ideali. Giovani che seppero vincere la passività, uscire dalla storia (con la “s” minuscola) ed entrare nella Storia (con la “S” maiuscola), diventando attori e combattendo per un mondo, che non avevano mai conosciuto ma potevano solamente immaginare, con la forza della loro passione civile e del loro ardore giovanile. E il sacrificio di questi giovani uomini si è intrecciato con il destino di molte donne, il cui contributo nella Resistenza si è perso, o tenuto sottotraccia.

Le donne vi parteciparono in prima persona: si occupavano della stampa e distribuzione dei materiali di propaganda, svolgevano funzione di collegamento, curavano il passaggio delle informazioni, trasportavano e raccoglievano armi, munizioni, viveri, indumenti, medicinali, fungevano da infermiere, preparavano rifugi e nascondigli. Hanno svolto ruoli di prima linea, hanno imbracciato le armi, ma soprattutto erano animate dal medesimo forte spirito di appartenenza e sacrificio per una causa collettiva: la ricerca della democrazia. Fu nell’esperienza resistenziale che le donne seppero mostrare una volontà forte di protagonismo personale e di cittadinanza. Furono la guerra e la Resistenza a provocare una rottura dei tradizionali confini che separavano sfera privata e sfera pubblica provocandone la fusione e portando nel ’46 le donne al voto. Conquista questa di cui quest’anno festeggiamo i 70 anni.

La Resistenza non fu l’unica arma, sul piano strettamente militare, a sconfiggere il nazifascismo che allora aveva inquinato quasi tutto il mondo. La Resistenza fu però decisiva sul piano etico e morale per sconfiggere quel buio morale, servile ed opportunista, quella colpevole banalità del male, che aveva generato e alimentato il fascismo in Italia, plasmando cittadini in uomini passivi e indifferenti, che si erano lasciati usare come ingranaggi di una macchina diabolica.

Per meglio riflettere sul significato di quella lotta e rendersi conto di quanto coraggio, quanta umiltà e quanto amore siano serviti per affrontare il nemico e la morte, basta leggere la preziosa e commovente raccolta delle “lettere dei condannati a morte”. Una su tutte, la testimonianza di Achille Baratti, giovane partigiano di 22 anni che, prima di essere fucilato, scrisse a sua madre "Muoio per la mia idea. Non vergognarti di tuo figlio, ma sii fiera di lui. Non piangere Mamma, il sangue non si verserà invano e l'Italia sarà di nuovo grande. Viva l'Italia libera!"

Ma perché questo momento celebrativo non rappresenti solo un rituale ripetuto di anno in anno rischiando l’allontanamento temporale da un evento sempre più sfocato nella memoria collettiva, è fondamentale andare al cuore di quella esperienza e, innanzitutto, interrogarci sul nostro presente, sulle sfide che si pongono di fronte a noi come comunità nazionale, sulla nostra capacità di realizzare, sia individualmente che collettivamente, i valori e le promesse che il movimento della Resistenza ci ha lasciato.

Come ha avuto modo di ripetere, in più occasioni, Don Ciotti “La Resistenza di ieri deve essere di stimolo e di esempio alle resistenze di oggi e, oggi come allora, resistere vuol dire non limitarsi ad assecondare il corso della storia, ma avere il coraggio di deviarlo quando vediamo che sta prendendo una direzione contraria alla democrazia e alla dignità delle persone”.

Questa è l’eredità che ci hanno lasciato le donne e gli uomini che hanno scritto la Costituzione. Sta a noi, ogni giorno trasformare quei preziosi articoli in responsabilità personale e collettiva, in impegno civile! La Resistenza oggi è essere genitori e cercare di insegnare ai propri figli, nonostante tutto, valori come pace, democrazia, uguaglianza e libertà. Resistenza significa avere trent’anni, una laurea, non avere né un lavoro né una certezza economica, ma continuare a non abbandonarsi a quel pensiero debole che porta a credere di aver sbagliato tutto. Resistenza è decidere di restare quando tutti vanno via. La Resistenza, oggi, è denunciare chi ti chiede il pizzo per lavorare. E’ resistere a corrotti e corruttori. La Resistenza è non essere asserviti alla logica che tutela i bisogni della finanza, ma è cieca di fronte a quelli delle persone. La resistenza è non girarsi dall’altra parte di fronte alle ingiustizie e ai soprusi. La resistenza è il coraggio delle donne di denunciare la violenza degli uomini che stanno loro accanto e la consapevolezza del genere maschile di non subire la logica della prepotenza e del machismo. Resistenza è la forza di combattere contro le logiche del branco che ti vuole solo e sottomesso ad abusi e prevaricazioni. Resistente è chi decide di non sacrificare la trasparenza sull’altare del compromesso. Resistenza è riconoscere che troppe persone accanto a noi continuano a non essere libere. Resistere significa realizzarsi perché si conosce qualcosa e non qualcuno. La Resistenza è far prevalere i sentimenti sui risentimenti.

Resistere oggi significa imbracciare le armi della conoscenza, della cultura e del dialogo. Resistere, oggi più che mai, significa scegliere a testa alta e schiena dritta, SEMPRE, la difesa della dignità e della vita umana contro ogni forma di qualunquismo, populismo e difesa dell’esistente.

Le immagini agghiaccianti delle stragi di bambini, donne e uomini nelle acque del Mediterraneo e dell’Egeo, gli attentati di Parigi e Bruxelles, le verità nascoste sulla morte di Giulio Regeni, sono lì a dirci quanta ingiustizia e quante violazioni dei diritti umani dobbiamo ancora combattere. I muri di cemento e i chilometri di filo spinato che si stanno innalzando nel cuore dell’Europa, a 27 anni della caduta del muro di Berlino, sono oggi il simbolo più potente (insieme a Lampedusa, Calais e al fiume Evros tra Turchia e Grecia) dell’inizio di una lenta, progressiva disgregazione dell’Unione Europea e dell’avanzata di un nuovo pericoloso oscurantismo Mentre noi celebriamo l’anniversario della liberazione dal nazifascismo migliaia di persone muoiono affogate mentre fuggono da moderne e spietate dittature, vittime di guerre fintamente religiose e di armi spietate, come la fame, la povertà e la schiavitù. Loro oggi, sui barconi della morte, non possono vincere alcuna resistenza se non cercare uno scoglio al quale aggrapparsi e trovare poi del filo spinato da strappare con le mani… Ma è davvero l’Europa dei confini spinati quella che vogliamo? Se è questa l’Europa che siamo diventati, abbiamo fallito nell’impresa sognata dai padri fondatori e viviamo nell’illusione che questo possa servire a salvare gli Europei, mentre invece li si condanna a ripercorrere errori passati. Se invece questa Europa vuole essere protagonista nel futuro del mondo può esserlo solamente come federazione di città, di popoli, non di Stati-Nazione. Deve saper essere faro di libertà e diritti civili e non diventare una Fortezza , un luogo che possa accogliere persone che diventino, a loro volta, ambasciatori di civiltà e motore di cambiamento nel paese d’origine.

Fare il possibile per evitare i “muri” e fare, al tempo stesso, tutto il possibile per costruire “ponti” come ci ricorda Ivo Andric’ scrittore proveniente da una terra martoriata dalle guerre come i Balcani: «nessuno può immaginare che cosa significhi nascere e vivere al confine fra due mondi, conoscerli e comprenderli ambedue e non poter fare nulla per riavvicinarli, amarli entrambi e oscillare fra l’uno e l’altro per tutta la vita, avere due patrie e non averne nessuna, essere di casa dovunque e rimanere estraneo a tutti, in una parola, vivere crocefisso ed essere carnefice e vittima allo stesso tempo… ma di tutto ciò che l’uomo costruisce ed erige, nulla è più bello e più prezioso per me dei ponti. Appartengono a tutti e sono uguali per tutti, sempre costruiti sensatamente nel punto in cui si incrocia la maggior parte delle necessità umane, più duraturi di tutte le altre costruzioni, mai asserviti al segreto e al malvagio».

Su questo terreno, la Lotta di Liberazione espresse un concentrato di coraggio, sacrificio, assunzione di responsabilità, coinvolgimento, da ricordare con grande rispetto. La Liberazione insegnò al nostro Paese, e a tutti noi che vi abitiamo, che anche di fronte a quella che potrebbe sembrare la catastrofe di tutta una Nazione, un gorgo che rischia di trascinarne a fondo tutti i suoi membri, è possibile e doveroso reagire alla rassegnazione, sviluppare anticorpi che si oppongano al disimpegno, battersi per un futuro migliore.

Ebbene, la Liberazione rappresentò un forte e commovente sussulto di dignità, contribuì alla crescita di un popolo impaurito, e aprì per esso un percorso di maturazione e consapevolezza. I partiti e le forze sociali di allora, pur nelle grandi differenze politiche , seppero comprendere, sia pure tra molte difficoltà, l’importanza di ripartire, con un grande sforzo congiunto, da una tavola di valori valida per tutti. Una tavola di valori che già camminava sulle gambe delle forze e delle persone che avevano partecipato alla Resistenza e che si concretizzò nella stesura della nostra Costituzione. Un carta fondativa che ha rappresentato uno scenario di rottura rispetto al passato sull’importanza dell’eguaglianza, personale, familiare, politica, sociale e religiosa. Ma il messaggio assolutamente attuale che sbocciò dal pensiero resistenziale e dai lavori della Costituente fu che: pur nelle gravi difficoltà del presente, pur nella preoccupazione di difenderci e di difendere i perseguitati nel mondo, non si deve mai smarrire la dimensione, assolutamente prioritaria, dell’incontro su quella dello scontro nell’affrontare, non solo, i problemi di politica internazionale, ma anche di convivenza tra popoli e culture all’interno di una stessa realtà nazionale e di rispetto e confronto civile anche nella politica locale.

Chi ci ha preceduto declinò certi valori nel momento storico in cui visse. Sta a noi non lasciarli deperire o dimenticare ma affermarli, inserendoli nell’agenda delle sfide che stiamo vivendo, consapevoli del molto che quei valori (espressione non solo di ragione, ma di sacrificio, di affetti e di emozioni) hanno da dirci sulla strada della democrazia, della libertà e della giustizia. In questi anni purtroppo la politica non ha dato buona prova di sé: gli scandali, la corruzione, la crisi economica che ha colpito molte famiglie, hanno alimentato e diffuso sentimenti di scoramento e disillusione e hanno allontanato i cittadini dalla politica e dalle istituzioni nate proprio dal sacrificio di tanti partigiani Purtuttavia, se vogliamo che il tributo di sangue e lacrime, che anche la nostra comunità ha versato nella lotta partigiana, continui a illuminare il nostro presente. Se vogliamo poter guardare negli occhi i bambini, che abiteranno il nostro futuro, senza abbassare lo sguardo, dovremo unirci, oggi come allora, e recuperare quel sentimento di solidarietà e di speranza che unì il Paese per ridare, ciascuno per il proprio ruolo e con le proprie responsabilità, onore e dignità a quelle istituzioni nate dalla Resistenza e dalla Costituente e migliorare così il nostro Paese.

Con questo impegno nel cuore, stringo in un abbraccio simbolico le partigiane e i partigiani figli di questa nostro territorio, per ripetere con loro:

Viva la Resistenza! Viva l’Italia Libera! Buon 25 Aprile a tutti!

Redazione
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Pubblicato il 25 Aprile 2016
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