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I mali della Giustizia: Gherardo Colombo non salva nessuno

Perché in Italia la giustizia non funziona? A questa domanda scomoda ha risposto il magistrato invitato dalle Acli...

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Conferenza sulla Giustizia con Gherardo Colombo - ottobre 2014 4 di 10

Perché in Italia la giustizia non funziona? A questa domanda scomoda ha risposto il magistrato Gherardo Colombo, durante l'incontro tenutosi nella Sala degli Stemmi del Comune di Legnano. Un dibattito a cui hanno partecipato l'Agenzia Culturale di Milano, il circolo ACLI (sotto la direzione di Cecilia Passuello), e l'Amministrazione comunale (rappresentata dall'assessore Gian Piero Colombo).

In Italia la giustizia non procede come sarebbe auspicabile: lo sa bene l'ex Pm, che ha trascorso sedici anni in Procura e due in Cassazione, prima di dimettersi. Il malfunzionamento della macchina giudiziaria è un tema molto discusso nel nostro paese da diverso tempo. C'è da chiedersi cosa impedisce – o inibisce – una volontà di cambiamento, che riguarda non solo aspetti interni alla magistratura, ma anche esterni. Partendo da queste premesse, Colombo ha individuato quattro diversi responsabili.

Primo, il Parlamento. “Non è in grado di modificare le regole. Del processo in primo luogo, ma anche una serie di regole sostanziali”. Fondamentalmente, le regole o mancano, o sono inadeguate.

Il primo dato a stupirci deriva da un'analisi che l'UE ha svolto sulla produttività dei paesi Europei, analisi in cui i giudici italiani sono risultati i più produttivi. Perché allora il sistema si inceppa? Questione di numeri: in Francia la magistratura deve smaltire l'equivalente di un terzo delle cause italiane. Nessuna sorpresa che i tempi per noi diventino biblici.

Sia nel campo penale che nel civile, è necessario che il processo sia organizzato per svolgersi in tempi rapidi e nel rispetto dei diritti del cittadino. Il problema di oggi è che la necessità di bilanciare esigenza pubblica e collettiva, l'urgenza di attribuire delle conseguenze alle violazioni nel campo penale, e di dare ragioni e torti nel civile, ci fa dimenticare un’altra esigenza fondamentale nella democrazia, cioè il rispetto dei diritti della persona.

Diventa difficile pensare a una riforma in questo senso, quando un processo civile può durare anche 10, 12 anni, e i processi penali si concludono spesso con la prescrizione. E in campo penale la questione è più complicata: nel processo civile gli avvocati costituiscono le parti attive, mentre nel penale è il Pubblico Ministero che conduce le indagini, e deve avere a disposizione gli strumenti per procedere correttamente. Se gli strumenti sono appannaggio del Governo, le regole sono responsabilità del Parlamento: e il Parlamento o non le definisce, o lo fa disordinatamente. Esiste un codice penale, ma perché si possa parlare di codice è necessario che le norme siano inserite in un sistema coerente.

E a proposito di difetti esterni alla magistratura, Colombo denuncia "l'atteggiamento da parte dei cittadini italiani a sfruttare la giustizia come strumento per ottenere ingiustizia". Diventa necessario creare dei filtri: nel concreto, penalizzare i ricorsi penali, o fermare coloro che perpetrano una causa pur sapendo di avere torto e danneggiando il sistema.

Secondo, il Governo. "Perché la giustizia funzioni, è necessario che esistano mezzi adeguati. Alla corte suprema degli Stati uniti ogni anno arrivano circa un centinaio di cause penali: quando ero in Cassazione, il numero era intorno ai 4-5mila. I giudici della Cassazione italiana sono circa 300, 20 volte tanto quelli della Corte statunitense. Il problema non è che i giudici siano pochi, è che sono tante le cause". Una sproporzione che porta a complicazioni notevoli: succede non infrequentemente che nella stessa sezione della Cassazione vengano emessi provvedimenti in contrasto tra loro. Il che incentiva la tendenza degli Italiani ad abusare della giustizia, insieme al fatto che l'abuso non costa molto: quando la corte dichiara l’inammissibilità del ricorso, il contendente è condannato a pagare una cifra. Ma quest'ultima, spesso, non viene riscossa.

Terzo, la Magistratura. "Per quanto produttivi, anche i magistrati italiani hanno una responsabilità. Nell’ufficio della Procura di Milano lavora almeno un migliaio di persone (sostituti, commessi, autisti, nuclei di polizia giudiziaria, ecc); gestirle richiede capacità organizzative e dirigenziali, ma chi le insegna ai magistrati?"

La nomina di un candidato tra i concorrenti al ruolo di magistrato viene decisa dal Consiglio superiore della Magistratura. Tradizionalmente, il criterio di assegnazione è fondato soprattutto sull’anzianità e sulla capacità di scrivere sentenze o effettuare indagini: tutte e tre non riguardano la capacità dirigenziale. E così succede che molto spesso gli uffici siano disorganizzati.

Alla base dei problemi di comunicazione tra Procura della Repubblica e Tribunale, sta il concetto essenziale dell’indipendenza, spesso travisato: l'indipendenza viene intesa come il diritto ad essere assolutamente insindacabili nel proprio operato e nelle proprie scelte, svincolati dalla necessità di coordinarsi con gli altri uffici. Ma é un'interpretazione controproducente.

Quarto, gli avvocati. "Nel Lazio esistono tanti avvocati quanti ne esistono in tutta la Francia. Gli avvocati devono lavorare: e tra questi ci sono quelli che sconsigliano al cliente di fare una causa che sicuramente perderanno, ma anche quelli che ci giocano".

In conclusione, secondo Colombo, è necessario intervenire in modo puntuale: il Parlamento con nuove regole, il Governo mettendo a disposizione mezzi adeguati, la Magistratura curando la capacità gestionale e amministrativa dei magistrati.

"Io credo che la giustizia in Italia non funzioni perché agli Italiani darebbe fastidio se funzionasse. Perché la giustizia è controllo." La giustizia non va pensata solo in termini di carcere, criminalità, evasione fiscale: la giustizia si applica e rispetta anche con l'etilometro e i limiti di velocità. "È un problema di cultura. Siamo stati educati a pensare che le regole si debbano osservare per evitare la sanzione. Finché funziona così, da una parte diventa necessario un sistema di controllo pervasivo, e dall’altra, appena manca il controllo, inevitabilmente le regole vengono violate – e aumenta il numero delle controversie. Le regole invece andrebbero osservate perché le si condivide, perché si è convinti che sia bene rispettarle".

Non serve aspettarsi un cambiamento dall'oggi al domani: la riforma comincia dentro all'individuo, al singolo cittadino. Cominciamo a riconoscere e conoscere noi, per primi, cosa è giusto: "Il primo passo per andare verso un paese in cui la giustizia funziona, sta nel leggere la Costituzione: conoscerla. Dipende da noi. Da quello che pensiamo. Se dipende da noi si può fare, se dipende da altri no."

Marta Benetti

Fotografie di Luigi Frigo

Redazione
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Pubblicato il 07 Ottobre 2014
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