RESCALDINESI IN RUSSIA SULLE ORME DI SOLDATI DISPERSI
La storia di un soldato italiano, raccontata dal nipote maggiore Giovanni Caironi, presidente Apil...
Nel piccolo villaggio di Basjanovka vicino a Nizhnij Tagil vi è una fossa comune in cui sono morti molti prigionieri di guerra italiani. Nel terzo anno del secondo conflitto mondiale fu sepolto il soldato ventisettenne Ermenegildo Caironi. Sua madre fino alla fine credette che suo figlio era vivo e morì nella speranza che lui sarebbe ritornato. 70 anni dopo la sua morte nella regione di Sverdlovsk sono arrivati i nipoti di Ermenegildo per erigere un monumento in memoria di uno zio di cui non conobbero il volto. La storia del soldato italiano nei documenti della agenzia EAN. Di seguito il racconto in un "diario" curato da Giovanni Caironi, uno dei nipoti del soldato è conosciuto in città anche per la carica di presidente dell'Apil, a destra nella foto scattata durante la visita in Russia. .
Il giorno prima del viaggio intrapreso dagli italiani in direzione Basjanovka il nostro corrispondente ha incontrato i parenti del prigioniero di guerra, ha conosciuto come la guerra colpì la loro famiglia e con quali sentimenti erano arrivati in Russia.
A 22 anni l’italiano Caironi fu chiamato a prestare il servizio militare. Una volta terminato il servizio, tornò a casa. Ma poco dopo avrebbe dovuto di nuovo indossare la divisa militare visto l’inizio della guerra. Ermenegildo Caironi fu mandato al fronte nel 1942.
Quando nostro zio fu chiamato al fronte, noi eravamo ancora piccoli perciò lo ricordiamo solo dai racconti dei nostri genitori e dalle lettere. Egli era molto buono, aperto e sincero. Un uomo che fu costretto a rimanere in guerra per forza. Per capire perché parliamo così di lui, vi leggiamo stralci delle sue lettere.
In questo tempo sua nipote Luisa Mocchetti, figlia della sorella del soldato, si scontra con una pila di lettere ingiallite. Pare che lei sappia il loro contenuto a memoria, velocemente seleziona quei brani necessari e legge ad alta voce.
“…Ecco già pochi giorni e noi andiamo avanti. Andiamo avanti e vediamo gli stessi prigionieri di guerra, vediamo macchine colme di prigionieri di guerra. Per avere dell’acqua, bisogna andare lontano nei villaggi. Là ho visto gente, bambini e adulti, costretta ad abbandonare la propria casa. In seguito loro ritornano ma poi non vi trovano più né casa né tetto”, legge con voce tremante Luisa Mocchetti.
“Io voglio che voi facciate la stessa esperienza che fece Ermenegildo nella sua guerra. Lui fu molto sensibile. Si trovava nelle retrovie del nemico e simpatizzava con questa gente. Poiché non voleva combattere, non voleva uccidere. Ma lui pagò il suo debito lontano dalla propria patria, come gli altri soldati”, dice Luisa, con mani tremolanti leggendo le pagine ormai ingiallite.
Il soldato scrisse non solo alla madre, ma anche alle sorelle, l’intera famiglia ricevette le sue lettere. In queste si percepiva come Ermenegildo amasse i suoi cari. Il messaggio più toccante arrivò prima di Natale. Insieme alle lettere lui mandò anche soldi per i regali dei nipotini. “Io insisto che tu (mamma, ca. redazione EAN) compri regali a tutti i nipotini. Non ho modo di spendere i soldi che guadagno qui, e non voglio spenderli per me stesso. Voglio che loro si comprino qualcosa, qualche regalo per se stessi”, scrisse il soldato Caironi.
Mai nelle sue lettere si percepiva la paura. Ermenegildo scriveva solo su ciò che veramente credeva, che la guerra sarebbe finita con una riconciliazione. “Ermenegildo non raccontava della sua paura e del suo disagio, anche se ci rendiamo conto che non fu facile per lui. I soldati italiani furono colpiti dal gelido inverno russo. Era dicembre ma loro indossavano l’uniforme estiva. Non voleva turbare sua madre. Scrisse solamente che era in ottima salute. Di tutto diceva “Noi sopravviviamo!” Da casa riceveva piccoli pacchetti, chiedeva di mandargli filo ed ago per rammendare i propri indumenti. Ma mai disse che aveva bisogno di maglioni o golfini”, legge Luisa Mocchetti. Parla con orgoglio di suo zio e di volta in volta scendono lacrime dai suoi occhi.
Ermenegildo poteva rimanere in vita e ritornare dalla sua famiglia. Ma vi fu solo un breve cenno di fortuna. Di questo episodio i parenti del prigioniero di guerra ne appresero da un compagno superstite dello zio. “Il suo amico era già molto anziano, ma siamo riusciti a incontrarlo. Lui raccontò che vide lo zio l’ultima volta nella regione di Belgorod. Loro si trovavano in una casetta di due piani e vennero a sapere che nelle vicinanze avrebbero potuto prendere un treno per andarsene. Tuttavia, Ermenegildo ed altri due amici non ci credettero e rimasero in casa. Un amico invece andò alla stazione e prese il treno. Si scoprì poi che in verità si poteva partire e il compagno superstite ritornò dallo zio ma non lo trovò. Molto probabilmente Caironi fu catturato in quel lasso di tempo”, disse esitante il nipote Giovanni.
L’ultima lettera di Ermenegildo fu scritta a venti giorni dalla sua morte, il 10 gennaio. In questa lettera non vi è alcun presagio della tragedia futura. Scrisse che mandava un pacchetto. Il 30 gennaio il soldato morì e solamente nel 1951 la famiglia ricevette la notizia. Nel 1992, ricevettero una lettera simile e un anno dopo l’apertura degli archivi la famiglia seppe che Ermenegildo morì in un campo di prigionia nella regione di Sverdlovsk.
“Quindi noi non avremmo mai pensato di andare in Russia poiché si trovava molto molto lontano. Ma il desiderio di nostra nonna di vedere questo paese ci ha aiutato a decidere. E a 20 anni dalla notizia della sua morte siamo arrivati. La madre di Ermenegildo avrebbe dato tutta la sua vita per il figlio. Per cinque anni interi dalla notizia della sua scomparsa, lei aspettava, aspettava, aspettava che tornasse. Questo è il nostro tributo. Qui abbiamo portato il nostro amore, la nostra speranza”, raccontano i parenti del soldato.
La mamma dello zio, Agnese, era una donna forte ed autoritaria. Era il pilastro della famiglia. Morì cinque anni dopo l’arrivo dell’ultima lettera del figlio.
Quando la mamma morì disse: “Io credo, io so che Ermenegildo ritornerà”. Lei parlava così perché le lettere di suo figlio erano piene di speranza e mai facevano trasparire le difficoltà.
I parenti non sanno come sia morto lo zio. Di Ermenegildo rimangono solo 50 lettere e cari ricordi, che i famigliari tramandano di generazione in generazione. Sperano che un giorno possano ritrovare qualche cosa del soldato, come la sua piastrina militare con il suo nome impresso, da tenere come ricordo. Il mio più sincero augurio è che nessuna madre possa sperimentare un’attesa tanto amara come quella che visse la madre di Ermenegildo. Sulla tomba dello zio hanno portato una lapide con una fotografia e incisa una scritta commemorativa: “Ricordando il sacrificio della tua giovane vita. Noi continueremo a pregare per te”.
Giovanni Caironi
Il link che segue riporta l’eco della stampa locale alla visita che ha visto il prezioso aiuto del Consolato Italiano di Ekaterimburg: http://eanews.ru/news/
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