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IL GIORNO DELLA MEMORIA: ANGELO PIETRO CASTIGLIONI

Le celebrazioni per il Giorno della Memoria hanno preso il via con una manifestazione in Sala Ratti riservata agli studenti...

Le celebrazioni per il Giorno della Memoria, a Legnano, hanno preso il via con una manifestazione in Sala Ratti riservata agli studenti del Liceo, Bernocchi e Dell'Acqua, presenti l'assessore Umberto Silvestri e  Luigi Botta presidente dell'Anpi.

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Il giorno della Memoria in sala Ratti 4 di 7

Gli studenti erano accompagnati dai docenti Giancarlo Restelli, Paola Secol e Adriana Stellica

A fondo pagina, la galleria delle immagini dello spettacolo teatrale che verrà ripetuto il 4 e l'11 febbraio.

Di seguito, il secondo racconto del prof. Giancarlo Restelli, relativo a testimonianze dirette delle tragiche vicende della seconda guerra mondiale


"Andate nei campi nei quali sono passato io, e poi vedremo se avrete ancora voglia di fare il saluto romano"

Angelo Castiglioni a un gruppo di naziskin che lo aveva attorniato nel luglio del 2007

Una vita da testimone, dedicata alla memoria delle vittime degli orrori del nazismo e a trasmettere i valori della libertà, della giustizia, della pace ai giovani.
Angelo Castiglioni, per tutti "l'Angioletto", deceduto il 24 maggio 2011 a 87 anni (era nato il 13 agosto 1923) è stato un grande esempio di dedizione ai valori che contano, di impegno civile e di umiltà.
A 22 anni aveva conosciuto la tragica esperienza del campo di sterminio nazista che l'aveva profondamente segnato. Partigiano combattente, Angelo Castiglioni venne arrestato la mattina dell'11 dicembre 1944 nell'azienda dove lavorava, la Ferramenta Marcora. Un delatore aveva fatto il suo nome come capo di un gruppo di partigiani nel rione di San Michele. Portato nella scuola De Amicis, sede della Brigata Nera, fu interrogato e torturato da Alessandro Mazzeranghi.
Non parlò, Castiglioni, nonostante le torture dalla sua bocca non uscì nessun nome dei compagni. Ma quel silenzio lo avviò prima al carcere di San Vittore e poi nel lager di Flossenburg, dove arrivò il 23 gennaio, campo di eliminazione tra i più efferati (qui morirono il magistrato Cosimo Orrù, il fratello di Sandro Pertini, Eugenio, il teologo Dietrich Bonhoeffer).
L'orrore nel lager era quotidiano: violenze, percosse, fame, l'uomo calpestato nella sua dignità, ucciso nella camera a gas, incenerito nel crematorio. In quell'inferno la promessa tra i deportati: chi si fosse salvato avrebbe dovuto testimoniare che cosa lì di terribile era accaduto.
Angelo Castiglioni, matricola 43549 di Flossenburg, sopravvissuto, salvato il 7 maggio 1945 mentre era ormai privo di forze, sfinito dalla marcia della morte, tutta la sua vita ha testimoniato mantenendo fede a quella promessa. Fino all'ultimo anelito di vita ha parlato dei suoi compagni morti nel lager: il loro ricordo era il monito per l'umanità a non ripetere quegli orrori ma ad aprirsi all'amore e alla fratellanza.
Il ritorno a casa non fu facile per Angioletto costretto a lunghe degenze in vari ospedali per le gravi conseguenze dovute alla drammatica esperienza nel lager.
Il dolore, la sofferenza non lo allontanano però dagli altri tanto che in ospedale pensa agli ammalati come lui che hanno più bisogno e promuove iniziative per aiutarli.
E' solo alla fine degli anni Cinquanta che però può cominciare una vita normale accanto alla moglie Maria che ha sposato nel 1952.
E' in questo periodo che inizia ad impegnarsi nell'Associazione Mutilati e Invalidi di guerra e nell'Associazione ex Deportati nei lager nazisti. Diventa assiduo frequentatore del consiglio comunale, che seguirà per mezzo secolo, testimone attento della vita politica cittadina, vigile sentinella dei valori della libertà e della democrazia. Dagli anni settanta è invitato nelle scuole a portare la sua testimonianza. Un impegno che ha continuato fino al 27 gennaio 2011, Giorno della Memoria, quando per l'ultima volta ha parlato ai giovani al Tempio Civico di Sant'Anna. Sono migliaia i ragazzi che lo hanno ascoltato facendo tesoro della sua straordinaria lezione di vita e di umanità. Giovani davanti ai quali ha sempre ribadito l'importanza della cultura per essere uomini liberi.
Per tanti anni Angioletto si è occupato della chiesetta di Sant'Anna – Tempio Civico: è grazie a lui che la piccola chiesa ha aperto le porte tutti i giorni ed è diventata centro di educazione permanente alla pace, conosciuta ormai in tutto il mondo, dall'America all'Asia. Nulla gli dava più gioia che vedere un nuovo visitatore entrare nella chiesetta, guardarsi intorno, fermarsi davanti alle lapidi: lui, Angioletto, era sempre lì, pronto a raccontare la piccola – grande storia raccolta al Tempio Civico attraverso i nomi dei Caduti, la piccola grande storia della sua città nella quale ha lasciato un segno indelebile con la sua testimonianza esemplare di vita illuminata dalla fede e dall'amore per l'umanità
”.

Dal sito “Amici di Angioletto”
http://amiciangioletto.altervista.org/a_castiglioni.html

Angelo Castiglioni
Il diario della matricola: 43.549

"Scendiamo alla stazione di Flossenburg: è una vastità immensa, in una vallata, in fondo, in un campo, degli scheletri umani che trasportano degli enormi sassi, di qua invece una massa di gente che urla, che picchia, che ti inquadra. Cerco solo di state nel mezzo della fiumana per prendere qualche legnata in meno degli altri.
Dopo sette giorni di viaggio su carri bestiame dobbiamo stare in piedi, nudi, in mezzo a campo per la selezione, qualcuno già impazzisce e grida per il freddo e la disperazione perché nevica e la neve entra fin nei pori della pelle, c'è la bufera. Il vento è un’ossessione.
Finalmente dopo più di un’ora o non so quanto ci dicono che dobbiamo andare al bagno: Waschraum… Tutti corrono perché vogliono essere i primi, le SS spingono ma sugli scalini per scendere all'ingresso qualcuno scivola perché i piedi ormai ghiacciati non reggono e qui succede un macello: le SS picchiano, urlano e spingono, i primi che sono caduti urlano anche loro e tirano pedate perché gli altri li calpestano, quelli in mezzo tirano gomitate, insomma è un pigia pigia generale e finché si entra in un salone enorme con le pareti grigie, umide, lisce. In fondo a ridosso di una parete c'è un mucchio di cadaveri accatastati l'uno sull'altro. Non so bene se questa è più una piscina o un obitorio.
Qualcuno comincia a urlare terrorizzato. Siccome nessuno fa silenzio la SS entra nella mischia e comincia di nuovo a menar nerbate a destra e a sinistra; io sono in fondo e la SS quando esce mi dà un forte pugno in faccia, cado a terra, credo di piangere e la SS mi percuote col nerbo, mi rialzo e scappo nel mezzo. Poi c'è un attimo di calma e ci rapano a zero i capelli. Alla fine aprono i rubinetti e con grosse canne ci rovesciano addosso dei forti getti d'acqua fredda.
Il primo me lo prendo in pieno e mi butta a terra: meno male perché intanto quelli dietro d'istinto, tengono sorretti quelli che sono davanti per potersi riparare. Il getto d'acqua è forte e quelli che sono davanti se lo prendono chi in pieno stomaco e chi in faccia. Poi è la volta dell'acqua calda, quasi bollente, ed è peggio perché ai primi si squaglia la pelle, si rilascia pian piano e urlano: qualcuno muore in questo modo ma viene tenuto in piedi lo stesso perché così fa scudo a quelli dietro.
Quando chiudono i rubinetti si è formato uno strato d'acqua perché i capelli rimasti a terra hanno otturato gli scarichi sul pavimento e i cadaveri galleggiano. Alla fine ci guardiamo in faccia l’un l'altro come a dire: qui chi la scampa è fortunato.
Con il compagno Rudoni mi metto a cercare l'amico Augusto Cesana: lo troviamo mezzo trasfigurato e mi racconta di essere finito a terra entrando, anche lui ci stava cercando ma la SS lo aveva visto alzare le braccia e gli si è scaraventato addosso dandogli un calcio al basso ventre, picchiandolo a sangue. Ha il viso rovinato, una ferita al fianco destro e un’altra al ginocchio dove perde ancora sangue.
D'un tratto ci mettono tutti in fila e distribuiscono pane e salame. Dopo il freddo e la paura mi sembra almeno di gustare qualcosa di buono e allora nudo, così come sono, mi siedo per terra…. ma sono passati solo cinque minuti che di nuovo dobbiamo alzarci: è la distribuzione della biancheria e anche questo per un attimo mi dà piacere.
Poi ci ordinano di sdraiarci a terra e dormire ma bisogna dormire con un paio di mutandoni, per terra, e per di più siamo in 500 in quello stanzone così umido.
Cerco di dormire ma non mi riesce e allora comincio a chiacchierare con il compagno Rudoni: ci raccontiamo episodi di vita passata quando eravamo a Busto….. Finalmente arriva mattino: entrano alcuni che consegnano una giubba, pantaloni, camicie e un paio di zoccoli a ciascuno poi ci portano in cortile. Ci sistemano nelle baracche e ci distribuiscono i! rancio: pasta e marmellata. Poi cerchiamo un posto per sdraiarci io e Paolo assieme, Cesana e Dante nella cuccetta a fianco, Italo e Techel sopra.
Ci siamo appena stesi che la SS menando nerbate vigorose ed urlando ci fa capire che bisogna alzarsi in piedi: fanno la distribuzione delle matricole. Il mio nome scompare, il mio numero è il 43.549.
Il capo blocco fa un breve discorso. E' un francese con la faccia feroce, dice che il campo di concentramento non è un posto di riposo né un albergo, dice che bisogna obbedire e lavorare, obbedire e lavorare e chi non starà alle regole verrà eliminato. A sentire come parla vien da accapponare la pelle: qui si parla di morte come fosse una banalità. Chiacchiero un po’ con i miei compagni e dico a Rudoni che bisogna filare diritto perché la pelle è una sola. Non facciamo in tempo a dire quattro parole che dal fondo del blocco sento vociare e menar pugni e nerbate. Tutti scappano fuori e corriamo fuori anche noi: è l'appello.
Il giorno dopo ci cambiano di blocco. Nella nuova baracca si dorme im quattro per cuccetta, i castelli 5 per 5, in modo che quando siamo coricati siamo più di venti su una fila di quattro cuccette. Anche se fuori fa un gran freddo, dentro si soffoca perché siamo tutti ammucchiati e ci tocca dormire nudi ma si dorme poco perché molti hanno la dissenteria e ci sono continui corri corri e non è raro che qualcuno fa a pugni con qualche suo vicino perché lo ha sporcato o perché lo disturba.
Al mattino alle tre bisogna uscire nuovo per l'appello e si esce così come si è, bagnati di sudore. Dopo la dissenteria arrivano anche le pleuriti. Il nuovo capo blocco è un pugile che per tenersi in allenamento si diverte a tirar pugni in faccia a chi gli capita sotto tiro.
Anche quando si lavora, i gabinetti funzionano solo tre ore al giorno e non c’è possibilità di sfogo e allora molti sporcano negli angoli della baracca. Se il capo blocco coglie qualcuno sul fatto gli riserva una punizione atroce: lo mette dentro la vasca del lavatoio, apre l'acqua che piano piano si congela attorno a corpo del disgraziato fino a formare uno strato di ghiaccio col cadavere dentro. A volte succede che il prigioniero riesce a sopravvivere e allora la SS se ha la luna storta lo finisce a bastonate. Tutto questo succede sotto i nostri occhi, è un orrore e penso che da un giorno all'altro potrebbe capitare anche a me.
E' cosi che passa il tempo a Flossenburg fino a che un giorno gli altri compagni del mio gruppo sono destinati a un altro campo di lavoro. E' dall'inizio che siamo assieme e l'unico conforto qui è restare con gli amici.
Nel salutarci ci promettiamo che se qualcuno di noi riesce a tornare a casa deve raccontare quello che ha visto qui, deve dire agli altri cosa sono questi campi, bisogna che si sappia, che tutti sappiano…
“.

Paolo Pozzi, “Quei ventenni del ’43. Appunti di cronaca e storia della Resistenza nell’Altomilanese”, Macchione Editore 1995, pp. 122-124

– La liberazione di Flossenburg
http://www.youtube.com/watch?v=1COz_4qV11U

– Gli studenti dell’ITC “Tosi” di Busto Arsizio ad Auschwitz
http://www.youtube.com/watch?v=LMITuBFtgrc

Giancarlo Restelli
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“Nelle umane cose
non ridere
non piangere
non maledire
ma capire”
Spinoza

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Pubblicato il 22 Gennaio 2013
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