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25 APRILE: IL DISCORSO DI LUIGI BOTTA

Il discorso pronunciato da Luigi Botta, presidente dell'ANPI di Legnano, in occasione del 25 aprile

Nel portare a tutti voi il saluto dell’Anpi legnanese, sento di dover dedicare un pensiero all’Amministrazione comunale, alla scadenza del suo mandato, ricordando il sostegno che ha voluto dare a tutte le iniziative della nostra Associazione.

Quando il 25 aprile esplose l’insurrezione popolare non si trattò solo di un grande fatto militare, ma di un avvenimento di eccezionale portata politica, perché segnava il pieno riscatto pagato a duro prezzo dal popolo italiano nella lotta contro il fascismo, per gettare le basi di una democrazia moderna con la partecipazione ed il consenso dei cittadini. Donne, uomini, anziani e giovani, operai, intellettuali, contadini, professionisti, militari e sacerdoti si unirono al di sopra di ogni differenza, di ceto, di ideologia e di credo, dopo la grande tragedia con le incalcolabili perdite della seconda guerra mondiale voluta ed imposta dal regime fascista. Un grande processo nazionale che vide protagoniste le formazioni partigiane assieme al popolo, assieme ai nostri militari all’estero, dalla Grecia ai Balcani, alle migliaia di civili e militari internati nei campi di concentramento, pagando un alto contributo di sangue. Voglio ricordare con affetto i nostri ragazzi in divisa che per mandato internazionale si trovano oggi nelle varie parti del mondo dove ancora sembra lontana una soluzione di pace.

La guerra di liberazione fu una lotta contro l’occupante tedesco e contro la Repubblica fascista che il tedesco creò al suo fianco, al proprio comando, utilizzandola a fini repressivi contro coloro che volevano la libertà della Patria. Con lo straordinario contributo degli Alleati, con la Resistenza europea impegnata su tanti fronti, la Resistenza italiana ha combattuto una guerra di popolo dichiarata dal basso: da Porta San Paolo a Lero e Cefalonia. Scrisse nelle sue memorie Arrigo Boldrini, il leggendario comandante Bulow, M.O. al V.M.: “abbiamo combattuto per la libertà di tutti, per chi c’era, per chi non c’era, per chi era contro”. Si è firmato un nuovo patto tra cittadini ed istituzioni, stabilendo che la partecipazione alla vita politica vuole anche dire responsabilità, coraggio, decisione, moralità e capacità di incidere sulle scelte che mirano al bene comune.

Dalla Lotta di Liberazione è nata la nostra Costituzione. La Costituzione va difesa, essa ci indica la strada da percorrere, ma soprattutto va attuata. E don Milani, con la sua ansia di giustizia e di eguaglianza, i principi di questa Costituzione li leggeva in classe ai suoi ragazzi considerandoli nell’ambito del più genuino messaggio di Cristo. Ci troviamo oggi in una situazione economica molto grave ed i dettami costituzionali stentano a trovare la loro giusta attuazione. La disoccupazione, il lavoro precario, i bassi salari e le basse pensioni, le troppe morti sul lavoro e via elencando mortificano lo spirito di questa nostra Costituzione e privano il cittadino di quella “libertà dal bisogno” senza la quale anche le altre libertà sono precarie. Se l’uomo cessa di essere cittadino, cioè soggetto di doveri ma anche di diritti e di libertà, tutto il sistema democratico è compromesso. Abbiamo superato momenti difficili quali lo stragismo, l’eversione e il terrorismo che hanno messo a repentaglio la nostra democrazia e, malgrado tante prove pericolose, tanti rischi e tensioni il sistema democratico nato dalla Resistenza ha retto e oggi consente al Paese di affrontare, pur tra contraddizioni, contrasti e tanti sacrifici le sfide che il presente ci pone dinnanzi.

Un fiore, un pensiero, un attimo di silenzio per i nostri morti: i compagni partigiani e gli amici che con loro condivisero la lotta. Un fiore, anche in questo 25 aprile, per i ragazzi massacrati alla Benedicta, per gli oltre 500 civili , vecchi, donne e bambini (uno di pochi giorni di vita) di Sant’Anna di Stazzema uccisi e bruciati con il loro parroco davanti alla chiesa dai nazifascisti, per le 1.836 vittime civili di Marzabotto. Per i trucidati di Boves e dei tanti paesi di questa nostra Italia, dati alle fiamme dall’oppressore in ritirata. Un fiore per gli ufficiali, i soldati di ogni arma, i marinai, i carabinieri, le fiamme gialle, gli agenti di polizia che si ribellarono a tante atrocità e combatterono sotto il tricolore.

Un fiore per i partigiani di varie fedi, i civili, i sacerdoti e gli ebrei innocenti delle Ardeatine. Ed ancora, per i torturati di via Tasso, di Villa Triste, della risiera di San Sabba, e dei cento luoghi di sevizie che il fascismo aveva ideato in ogni città dell’Italia occupata. Un pensiero ed un fiore per i sette fratelli Cervi. E subito mi vengono in mente quelli con le stellette del risorto esercito italiano che morirono a Montelungo per riscattare “la vergogna del mondo”. Avevano formato il “gruppo di combattimento Legnano” (poi Divisione Legnano M.O. al V.M.) e tra questi caduti il nostro concittadino Antonio Branca, cap. magg., medaglia d’argento. Branca riposa ora tra i partigiani nel cimitero di via Magenta. Ricordo con affetto Antonio Trentin, artigliere, anche lui combattente a Montelungo, che fu presidente di quella che oggi è l’Associarma di Legnano. Legnano è gemellata con Mignano Montelungo, e su quel monte il rinato esercito italiano, fregiato col nome della nostra città, diede la prima sconfitta militare all’occupante tedesco.

Un attimo di silenzio ed un fiore per tutti i nostri concittadini caduti nell’aprile del 45, per i legnanesi che soffrirono e morirono nei campi di sterminio nazisti i cui nomi leggiamo sulle lapidi sparse nella nostra città. Ricordiamo la figura di don Mauro Bonzi, vittima di Dachau, che dal Polizeiliche Durchganglager di Bolzano scriveva al Cardinal Ildefonso Schüster: “mi trovo qui con numerosi altri sacerdoti… quello che mi manca di più è la celebrazione della S. Messa“. Nella sua lettera non fa cenno alle privazioni, alle umiliazioni, alle angherie che lui subiva. Ricordando coloro che non tornarono dai campi di sterminio, ognuno di noi nasconde una commozione che forse non appartiene più al costume del nostro tempo, ma che ci esorta ad un rinnovato impegno democratico, nell’attualità del monito di Primo Levi, deportato ad Auschwitz- Birkenau “vigilate, perché le cose che ci sono state si possono ripetere”.

Un comune ricordo per i figli di questa nostra città che parteciparono alla Resistenza nelle formazioni Garibaldi, Carroccio, Alfredo Di Dio, Matteotti, Mazzini, Giustizia e Libertà. Per quella parte del clero legnanese che assistette i partigiani: tra questi don Carlo Riva di S. Domenico, don Francesco Cavallini coadiutore ai SS. Martiri, don Ettore Passamonti, coadiutore a Legnanello. E con loro Giovanni Brandazzi, che dal ’45 al ’47 governò Legnano coi pieni poteri del CLN, il comandante Arno Covini, Filippo Zaffaroni, torturato giovinetto dai fascisti in via Alberto da Giussano, Anacleto Tenconi, Neutralio Frascoli, Castiglioni, Giovanni Parolo, Ernesto Macchi, Natale Bernabè, Luigi Villa, Renzo Bottini, Ezio Gasparini, dipendente comunale, Giuseppe Rossato.

Un fiore per Renzo Vignati e Dino Garavaglia di 19 e 18 anni, uccisi dai fascisti al ponte di S. Bernardino. Un ricordo per il tipografo Costa che clandestinamente forniva volantini alla Resistenza. Per Samuele Turconi che guidò lo scontro contro le Brigate Nere alla Mazzafame, arrestato dai fascisti e torturato, per Alfredo Re, per Francesca Mainini, da poco scomparsa. Per Giuseppe Tomaselli, per Angelo Galliverti, il leggendario “Taccum” che combattè in Valdossola e tanti altri. Per Guido, Pierino, Carletto Venegoni e per tutti i nostri concittadini protagonisti di quella partecipazione di popolo che fu la Resistenza legnanese e che l’inesorabile scorrere del tempo ci ha tolto. E per coloro che ancora sono tra noi a darne testimonianza: Candido Poli superstite di Dachau/Bernau; Teodoro Santambrogio, Achille Carnevali, la staffetta Piera Pattani, ferocemente percossa dalle camice nere col calcio del fucile, e poi Fulvio Bernacchi, Carlo Cezza, Angelo Rota, Angelo Salmoiraghi, Nando Legnani, Giordano Marafon, Giuseppe Stellica, E per Giuseppina Marcora, partigiana col fratello Giovanni diventato poi ministro della Repubblica. Un ricordo ed un fiore per Pietro Sasinini, partigiano “azzurro”nell’Ossola e poi valoroso comandante della “Puecher” in Brianza. Vorrei però volgere il pensiero a Giovanni Novara, che fu la prima vittima legnanese della violenza fascista. Giovane sindacalista venne assassinato a colpi di pistola dalle camice nere. Era il luglio del 1922. La 101° Brigata Garibaldi assunse poi il suo nome.

Carlo Guidi – collaborava a diversi giornali cattolici, tra i quali il Luce, e fondò “La voce di Legnano”, settimanale del Partito Popolare. Spirito libero, criticava il fascismo per le sue scelte liberticide. Il giornale fu sequestrato, la redazione di via Moscova distrutta. Portate le copie de “La voce di Legnano” qui in piazza S. Magno, i fascisti ne fecero un falò, obbligando i passanti ad assistere al rogo. Guidi fu perseguitato, perse il lavoro alla Manifattura. Aveva nove figli. Fu consigliere comunale e consigliere provinciale prima per la DC e poi per il Partito Popolare. Morì nel 1942, senza poter vedere il suo sogno realizzarsi: la sua Italia libera e democratica.

Giuseppe Bollini, fucilato dai fascisti a Traffiume. Aveva 23 anni. Cresciuto nell’Azione Cattolica, frequentatore abituale dell’oratorio di S. Ambrogio, Bollini entrò alla Tosi come apprendista operaio. Aderì al gruppo “Alfredo Di Dio”, e quando fu chiamato alle armi nella marina della R S I non ebbe dubbi e si recò in montagna tra i partigiani della Garibaldi. Catturato, al momento della fucilazione porse la mano al capitano dei militi fascisti in segno di perdono. “ Io non ho rancore per nessuno. Ho sempre avuto questo ideale, gli disse, vedere la nostra povera Patria liberata da tanti odi e da tanta guerra e veramente libera” I fascisti spararono, Bollini cadde sulla neve ma ancora rantolava. Allora il tenente con la pistola gli diede il colpo di grazia al cuore. Poi il capitano, forse per dileggio, gli sparò una sventagliata di mitra sulla fronte. Ma la fede, i pensieri di libertà non si uccidono con le pallottole e due mesi dopo l’Italia risorse libera.

Mauro Venegoni, M.O. al V.M. arrestato più volte per attività antifascista e condannato dal tribunale speciale subì, come i fratelli, carcere e confino. Liberato nel ’43 organizzò squadre di combattimento in Valle Olona, compiendo innumerevoli azioni. Catturato nell’ottobre del 44, i fascisti per carpirgli nomi ed informazioni sulla Resistenza lo torturarono, lo seviziarono, gli cavarono gli occhi e, ormai cadavere, lo gettarono nella brughiera di Cassano. Mauro non rivelò nulla.

Un fiore, un attimo di silenzio per questi nostri concittadini che morirono per una Patria più giusta e libera. E chi vorrebbe oggi riscrivere i libri di storia adattandoli al proprio tornaconto , od equiparare chi combattè per la libertà e chi per sostenere la dittatura a fianco del nazismo, sappia costui che l’ultima parola di questa storia fu scritta definitivamente il 25 aprile del 45, indelebilmente vergata col sangue dei nostri morti. Un pensiero di pietà va certamente anche a coloro che persero la vita dalla parte dell’oppressione. Molti giovani, ingannati dalla retorica fascista, morirono credendo ugualmente di servire la Patria ma , anche se non lo hanno mai saputo, anche loro furono vittime del fascismo. Voglio qui ricordare quanto disse mons. Bottoni al Campo della Gloria: “in nome della mia fede cristiana sono spinto a considerare i morti tutti uguali davanti a Dio. Ma questo non mi sottrae dal senso della cittadinanza per la quale non metterò mai sullo stesso piano né troverei accettabile l’idea di onorare gli uni accanto agli altri caduti, morti sugli opposti fronti della guerra di liberazione”. Questa frase è il sincretismo che molti percepivano da tempo.

Parallelamente al revisionismo dobbiamo purtroppo notare un risveglio, e non solo in Italia, di manifestazioni nazifasciste. Bertold Brecht in un suo scritto ammoniva: “… e voi imparate che occorre vedere e non solo guardare: occorre agire e non solo parlare. Il mostro nazifascista stava una volta per governare il mondo! I popoli lo spensero ma ora non cantiamo vittoria troppo presto; il grembo da cui nacque è ancora fecondo…”

Dobbiamo vigilare: certi fatti e certi atteggiamenti non debbono essere tollerati come espressione di libertà democratica, ma combattuti come veleni della coscienza democratica della nazione. E quando Albert Kesselring, comandante in capo delle forze di occupazione germaniche in Italia, responsabile tra gli altri dei massacri delle Ardeatine e di Marzabotto, ritornato in Germania ebbe pubblicamente a dire che gli Italiani avrebbero dovuto fargli un monumento, pronta fu la risposta con la quale Piero Calamandrei, a nome dell’Italia democratica, reagì all’insulto e che noi da sempre facciamo nostra:

Lo avrai

camerata Kesselring il monumento che pretendi da noi italiani

ma con che pietra si costruirà

a deciderlo tocca a noi

non coi sassi affumicati

dei borghi inermi straziati dal tuo sterminio

non colla terra dei cimiteri

dove i nostri compagni giovinetti

riposano in serenità

non colla neve inviolata delle montagne

che per due inverni ti sfidarono

non colla primavera di queste valli

che ti vide fuggire

ma soltanto col silenzio dei torturati

più duro di ogni macigno

soltanto con la roccia di questo patto

giurato fra uomini liberi

che volontari si adunarono

per dignità, non per odio

decisi a riscattare

la vergogna e il terrore del mondo

su queste strade se vorrai tornare

ai nostri posti ci ritroverai

morti e vivi collo stesso impegno

popolo serrato intorno al monumento

che si chiama, ora e sempre

RESISTENZA


Buon 25 aprile a tutti.

Luigi Botta – presidente ANPI Legnano

Redazione
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Pubblicato il 25 Aprile 2012
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