Commemorate le vittime di Covid al Memoriale Grande Parentesi di Rho
Il vicesindaco Maria Rita Vergani: “Valorizziamo quanto di buono è emerso durante la pandemia e i servizi che ancora proseguono”
Memoria, commozione, valorizzazione di quanto di buono è emerso durante la pandemia. Questi i temi chiave della commemorazione delle vittime di Covid svoltasi questa mattina, lunedì 18 marzo, a Rho, davanti al Memoriale “Grande Parentesi” ai Giardini Giovanni Pesce lungo corso Europa, realizzato dall’artista Grazia Varisco.
Dopo la posa della corona, il silenzio suonato alla tromba e gli onori alle vittime, la cerimonia presentata da Paola Cupetti, responsabile dell’Ufficio Cerimoniale del Comune di Rho, ha visto gli interventi di alcune figure chiave.
Il dottor Vincenzo Maerna, coordinatore dei medici di medicina generale di Rho, ha ricordato il collega Alberto Santoro, morto per Covid a due mesi dalla pensione, come pure il dottor Daniele Rizzi di Cornaredo. «Ricordo – ha detto – le vestizioni per strada, i dispositivi di protezione introvabili, l’incertezza sulle terapie. Oggi tutto appare così lontano, come il giorno in cui ho dovuto persino scavalcare il cancello di una abitazione per raggiungere una paziente che non riusciva ad alzarsi dal letto. E’ stata una guerra contro un nemico invisibile, che abbiamo cercato di dimenticare, mentre altre guerre combattute con le armi oggi occupano la nostra mente».
In ricordo di tutto quanto venne messo in atto da parte di Caritas cittadina e delle parrocchie, è intervenuto il prevosto don Gianluigi Frova. Ha ricordato le “cellule vive della comunità” emerse in quell’occasione, la generosità dei giovani e tante iniziative rimaste in essere anche se non nel modo eclatante di allora: «L’esperienza, depurata dal dramma, ci ha fatto comprendere come la società e la Chiesa siano piene di cellule vive che sono il nostro futuro. Quel periodo, di fatto, ci ha anche permesso di toccare con mano la nostra parte migliore».
Il direttore generale di Asst Rhodense, Marco Bosio ha parlato di «un momento eccezionale da affrontare a mani nude con la voglia di farcela: abbiamo assistito a tante perdite, su quel male terribile avevamo poche informazioni. Ricordiamo il senso di solitudine estrema, la paura e la sconfitta. Ma la collaborazione tra quanti operavano dentro e quanti agivano fuori dall’ospedale ha permesso che emergesse il senso di comunità. Non c’erano eroi ma professionisti che hanno svolto la loro funzione, come sanno fare ogni giorno. La nostra sanità pubblica, nonostante venga spesso criticata, sa reagire. Siamo rinati con le vaccinazioni ma abbiamo lavorato al meglio in emergenza e ne sono orgoglioso. Manifesto grande rispetto verso chi non ce l’ha fatta, oggi guardiamo avanti con orgoglio rinnovato».
Maria Rita Vergani, vicesindaco e assessore a Partecipazione e cittadinanza attiva, ha chiuso la cerimonia con il suo intervento, ringraziando tutti i medici (tra cui il consigliere comunale Fulvio Caselli) e le forze dell’ordine presenti, oltre alle associazioni di soccorso e alle associazioni d’arma.
«Abbiamo combattuto tutti insieme contro un nemico invisibile, che è entrato nelle nostre case mentre non bastava restarci chiusi per essere sicuri di evitare il contagio. Bisognava stare attenti anche ai nostri familiari. Ci ha colpito nel cuore e nello spirito, ciascuno come individuo doveva difendersi da tutti gli altri, anche da amici e persone care – ha ricordato Vergani, allora anche assessore alla Protezione civile -. Quel male ha mostrato la nostra fragilità come esseri umani e al contempo ha dimostrato la nostra forza come comunità. Rho, come tutte le altre realtà, ha cercato di capire quali risposte dare a un nemico davanti al quale eravamo disarmati. Il Covid ci colpiva negli affetti e occorreva ricostruire una rete tra le persone, tutte abbandonate, tutte sole. La comunità ha risposto benissimo. Ho recuperato una copia di Rho Città in cui erano raccolti i volti di chi si è speso per gli altri in quel periodo per la spesa agli anziani, l’acquisto di farmaci, la distribuzione di cibo a chi faceva fatica, la costruzione di reti di solidarietà, l’adottare un vicino cucinando un piatto in più. Si lavorava fino a tardi, la sera, per capire cosa dicevano i decreti governativi, dove trovare le mascherine da distribuire… E’ stato un grande lavoro e la comunità ha dimostrato di essere forte».
Il vicesindaco ha evocato due momenti chiave: le salme condotte ai forni crematori sui camion dell’esercito il 18 marzo 2020, immagine rimasta nella mente di tutti come simbolo della tragicità del momento, e la preghiera di papa Francesco da solo sotto la pioggia in piazza San Pietro. «Tutti – ha detto – ci siamo sentiti soli come lui a rivolgere l’attenzione a qualcosa di più grande di noi, chiedendo che la pandemia finisse, tornasse la possibilità di stare insieme con le nostre famiglie e non si morisse per qualcosa di così pesante e così invisibile. Ora cosa rimane? Il ricordo di chi è venuto a mancare non si riduce a una cerimonia che si compie una volta all’anno. Il Comune ha mantenuto in essere alcune misure, come il progetto Soli Mai, a favore degli anziani. Tante persone hanno trovato motivazione per uscire di casa ed essere utili agli altri. Come istituzione confermiamo l’attenzione a una sanità territoriale che è stata lasciata davvero sola e disarmata e di cui ci rendiamo conto di avere sempre più bisogno. Continuiamo a coltivare uno spirito di comunità, quello che ci consente di superare ogni male».
Accedi o registrati per commentare questo articolo.
L'email è richiesta ma non verrà mostrata ai visitatori. Il contenuto di questo commento esprime il pensiero dell'autore e non rappresenta la linea editoriale di VareseNews.it, che rimane autonoma e indipendente. I messaggi inclusi nei commenti non sono testi giornalistici, ma post inviati dai singoli lettori che possono essere automaticamente pubblicati senza filtro preventivo. I commenti che includano uno o più link a siti esterni verranno rimossi in automatico dal sistema.