Legnano ricorda i deportati della Franco Tosi: “Non c’è progresso senza diritti e democrazia”
Ad 81 anni dalla deportazione dei lavoratori della Franco Tosi a Mauthausen, le porte della storica fabbrica di Piazza Monumento si sono riaperte per ricordare uno degli episodi più drammatici della Resistenza in città
È il 5 gennaio 1944. Le SS del generale Otto Zimmerman entrano alla Franco Tosi di Legnano con camionette e mitragliatrici per un’azione di rappresaglia finalizzata a stroncare uno sciopero, culminata nella deportazione di otto lavoratori, quasi tutti membri della commissione interna: Pericle Cima, Alberto Giuliani, Carlo Grassi, Francesco Orsini, Angelo Sant’Ambrogio, Ernesto Venegoni, Antonio Vitali e Paolo Cattaneo, che furono deportati al lager di Mauthausen e nei sottocampi, dove persero tutti la vita ad eccezione di Paolo Cattaneo, che si suicidò un paio d’anni dopo la fine della guerra.
Ottantuno anni dopo, come ogni anno, a Legnano le porte della storica fabbrica di Piazza Monumento si sono riaperte per ricordare uno degli episodi più drammatici della Resistenza in città con le parole del presidente nazionale ANPI Gianfranco Pagliarulo – cui poi ha fatto eco dal cimitero il presidente provinciale Primo Minelli -, del sindaco Lorenzo Radice, dei rappresentanti della RSU della Franco Tosi Meccanica e degli studenti della scuola secondaria di primo grado Dante Alighieri, del Liceo Galilei e dell’ISIS Bernocchi, oltre che con la deposizione della corona alla lapide in fabbrica, al monumento del Partigiano e al cimitero monumentale.
La RSU: “Non c’è progresso senza diritti e democrazia”
Dal palco allestito nella sala montaggio della Franco Tosi Meccanica gli esponenti della RSU hanno richiamato «gli ideali di libertà e giustizia, che poi convergono in una sola parola, democrazia» per cui persero la vita i lavoratori della Franco Tosi deportati nel ’44. «Libertà e giustizia, due semplici parole che nel loro vero e pieno un significato sono macigni che mai dovremmo sottovalutare, eppure sono date per scontate – ha ricordato uno dei componenti della rappresentanza sindacale unitaria -. La democrazia non è mai acquisita in maniera definitiva: se non la si fa vivere quotidianamente, la libertà si restringe in modo preoccupante, si restringono i diritti di chi lavora. La libertà, i diritti non dovrebbero essere considerati alla stregua di variabili di mercato: non c’è progresso, non c’è crescita se si riducono i diritti e la democrazia nelle fabbriche. Non c’è progresso e nemmeno crescita se si riduce il potere d’acquisto di salario».
«Non c’è progresso né civiltà se continuiamo a contare i nostri morti sul lavoro – hanno aggiunto dalla RSU -: definirle morti bianchi è solo ipocrisia, i morti sul lavoro non sono quasi mai incidente, quasi sempre sono il risultato di una società che valorizza il lavoro umano al servizio esclusivo della ricerca e del profitto di pochi. Non c’è progresso e civiltà se continuiamo ad ascoltare il grido di aiuto di quei popoli che fuggendo dalle proprie terre devastate da guerre interne e carestie cerca chiedono rifugio alle società più evolute e più forti, ma che restano sorde. Dobbiamo essere le sentinelle della democrazia, della libertà, difendendo strenuamente la nostra Costituzione che in tanti oggi auspicano di cambiare».
Il sindaco: “Vivere la città come antidoto all’indifferenza”
Il sindaco Lorenzo Radice, invece, ha stigmatizzato le «tante analogie fra gli anni ’20 del Novecento e i nostri anni ’20», in primis «l’indifferenza che sta alimentando la potenza di chi controlla le infrastrutture dell’informazione e del consenso». «In un mondo dove la gran parte delle informazioni che creano la “coscienza collettiva” e “lo spirito del tempo” passano da immagini e testi slogan scrollati sui nostri smartphone, chi controlla i social e gli algoritmi che determinano ciò che piace e ciò che “non fa tendenza” possiede la nuova ricchezza e il nuovo potere – sono state le parole del primo cittadino -: quello dei dati. Pertanto è pauroso vedere come sempre più apertamente si dichiari l’alleanza fra la tecnocrazia con movimenti, gruppi e leader sempre più estremisti e populisti per conquistare le menti tramite quelle piattaforme e quel nuovo strumento, dalle possibilità ancora inesplorate, che è l’intelligenza artificiale: strumenti, apparentemente di comunicazione, ma sempre più usati come strumenti di distrazione di massa. È una sfida enorme quella che ci troviamo ad affrontare, inimmaginabile fino a qualche anno fa e per cui dobbiamo ancora attrezzarci».
«I social sono lo strumento ideale per veicolare e imporre interessi giganteschi – ha aggiunto Radice -: non fatti, non notizie, ma interessi, specie se si hanno le chiavi per governare i suoi meccanismi, per spacciare fake news fabbricate ad arte come verità, per demonizzare gli avversari, ma anche per creare indifferenza, disimpegno, disinteresse verso i problemi reali, magari verso gli ultimi, che non sono persone che hanno dei problemi, ma che spesso sono loro stesse trasformate in problemi, addirittura nel nostro unico problema. A questo stato di cose, al pericolo di questa deriva noi dobbiamo dire no. Quel no che pronunciarono gli operai della Tosi di fronte alla prepotenza di chi voleva richiamarli al lavoro e che costò loro la deportazione».
«A chi manovra i social servono soltanto due tipi di persone: follower- consumatori e follower-sudditi. Ma noi non dobbiamo essere né gli uni, né gli altri: dobbiamo e vogliamo essere cittadini liberi. E si è liberi soltanto se si è menti libere, se si pensa con la propria testa, se si sanno ascoltare gli altri e, dopo averli ascoltati, se si sceglie in modo consapevole. Per questo sono convinto che il miglior antidoto al rischio di finire triturati da queste nuove macchine del consenso sia vivere la dimensione reale, la dimensione della propria città, sia costruire insieme con gli altri una città intesa come polis, come spazio delle relazioni, come luogo della vita e della cosa pubblica. La città delle relazioni quindi come luogo di tutti, e di cui tutti, e sottolineo tutti, dobbiamo prenderci cura. Perché è proprio la cura la peggior nemica di quell’indifferenza e di quel “me ne frego” che era il motto dei vecchi fascisti e che continua a essere, nei fatti, l’atteggiamento che accomuna le nuove tecnocrazie alle destre estreme come ai populismi».
Pagliarulo: “Pace e lavoro solo con la partecipazione dei cittadini”
Il presidente nazionale dell’ANPI Gianfranco Pagliarulo, invece, si è soffermato sull’importanza della partecipazione per “riconquistare” pace e lavoro. «I cardini su cui si regge l’intera impalcatura repubblicana, il nostro Paese, sono la pace e il lavoro. Rispetto al tempo di ferro e di fuoco della Resistenza, e rispetto agli anni successivi della Costituente della Costituzione, viviamo in un altro tempo, direi irriconoscibile – . Eppure quei due pilastri costituzionali, quei pilastri delle lotte di fabbrica del ’43 – ’45, non sono mai stati così attuali: buio sull’industria, produzione in calo da 21 mesi consecutivi, incremento del prodotto interno in Italia oggi stimato all’0,5%, poco più che una stagnazione, Germania che chiude il 2024 con -01%, in recessione, e sappiamo tutti quando la tenuta della Germania conti per l’andamento dell’economia italiana. Le sconvolgenti notizie di guerra, dall’Ucraina alla Palestina, rendono incerto il futuro del mondo, reso ancora più cupo da recenti dichiarazioni che nel mettere in discussione l’autonomia nazionale di interi Paesi, come il Canada e la Groenlandia, sembra alludano a una sostituzione della forza della legge con la legge della forza».
«In questo scenario, francamente devastante – ha aggiunto Pagliarulo -, la memoria di quel tempo e del sacrificio di quegli uomini ci è di stimolo e direzione. Pace e lavoro devono essere ancora una volta, oggi, una conquista che richiede fatica, impegno civile, visione del futuro, e si possono conquistare solo con una rinnovata partecipazione dei cittadini alla vita sociale e politica, con la più ampia unità popolare e con il risveglio delle nuove generazioni. In questo 2025, 80 anni dopo la Liberazione, vorrei ricordare i deportati della Franco Tosi pensando al passato, certo, ma immaginando il futuro, per un’Italia, un’Europa, un mondo liberi e liberati da tre mostri: il mostro del nazifascismo, il mostro della fame e il mostro della guerra».
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