Cento anni di lavoro e storia. Primo Minelli: “Da Legnano potrà nascere una nuova visione industriale”
Primo Minelli presidente dell'Anpi del comprensorio di Milano, già segretario della Fiom e della Cgil Ticino Olona ha sottolineato: «I temi sono diversi, ora si parla di globalizzazione e transizione energetica, ma il pessimismo ha intaccato, come un morbo, anche l'industria divenuta alle volte troppo arrendevole»
C’è stato un tempo in cui i lavoratori riempivano le strade di Legnano, la stazione e le fabbriche. Un tempo in cui le radici industriali erano così profonde e saldamente integrate con il tessuto cittadino da essere un corpo unico; c’era fiducia verso il futuro e anche una visione industriale proiettata al di fuori dei confini nazionali. Poi l’incapacità di governare i cambiamenti, l’impoverimento politico e intellettuale ha portato ad un lento declino ancora oggi in corso. Ne è certo Primo Minelli presidente dell’Anpi del comprensorio di Milano, già segretario della Fiom e della Cgil Ticino Olona che interpellato nell’ambito del centenario della città ha ripercorso il ‘900, tra storia scritta nero su bianco e i ricordi impressi nella mente del suo vissuto: «I temi sono diversi, ora si parla di globalizzazione e transizione energetica, ma il pessimismo ha intaccato, come un morbo, anche l’industria divenuta alle volte troppo arrendevole». Ricordando i tempi della crisi della Franco Tosi ha evidenziato quanto in città fosse forte il legame tra territorio e fabbriche: «Dall’oggi al domani la Tosi, che non riuscì a seguire il cambiamento energetico, decise di lasciare a casa più di mille lavoratori. Eravamo nell’84 e le parti sindacali si sono così subito attivate. È stato un lavoro enorme quello svolto per salvaguardare i diritti dei dipendenti Tosi. Trovo significativo più di tutti un ricordo: dopo i combattuto incontro con l’azienda andavamo al bar in corso Italia davanti al monumento ai Caduti sul Lavoro. Il negoziante prima ci serviva il caffè, poi incoraggiava: “Se la fabbrica vive siamo vivi anche noi”. Proprio così… perché la Tosi con la sua forza lavoro era linfa vitale per le piccole attività». La crisi ha creato un tessuto urbano e sociale profondamente diverso, caratterizzato da un aumento della disoccupazione e da una riduzione delle opportunità lavorative stabili. La storia di Legnano, quindi, non è solo una riflessione sul passato, ma anche un bagaglio al quale attingere per affrontare il futuro fatto di sfide globali in termini di sostenibilità e innovazione tecnologica.
Legnano tra passato e futuro
Nel 1901, le prime lotte operaie in Italia furono principalmente spontanee. Poi nel 1904, tre quarti degli scioperanti partecipavano a scioperi organizzati dai sindacati. In risposta agli scioperi, anche gli industriali iniziarono a organizzarsi, costituendo associazioni provinciali e, nel 1910 ecco la nascita di Confindustria. Arriva la prima guerra mondiale che blocca sul nascere la Belle Époque: l’epoca del positivismo, della fiducia nel progresso e nello spirito dell’uomo. Dopo le battaglie sanguinarie in campo tornano le lotte in fabbrica. Il 20 febbraio 1919 la Fiom, sindacato dei metalmeccanici, raggiunse un accordo storico con la Confederazione degli industriali, ottenendo la riduzione dell’orario di lavoro a 8 ore giornaliere e 48 settimanali. Un obiettivo inseguito fin dalla metà dell’Ottocento, da un capo all’altro del mondo, una utopia che si trasformò finalmente in realtà perché non di solo lavoro si campa. Le rivendicazioni non si fermarono lì: nel biennio successivo, noto come «biennio rosso» (1919-1921), l’Italia fu attraversata da una massiccia ondata di scioperi. «Legnano era una forza industriale, era una città che rispecchiava la potenza nazionale – spiega Primo Minelli storico sindacalista della Cgil attuale presidente dell’Anpi del comprensorio di Milano -. Tale la sua forza da formare una Confindustria autonoma presente e compatta con la quale i sindacati potevano interloquire. Oggi non è più così: dove sono i cosiddetti capitani d’industria? Stiamo assistendo agli effetti della completa assenza di una politica capace di guardare al futuro con un progetto industriale ben chiaro».
Proseguendo nella storia Minelli, ex segretario della sezione Anpi di Legnano, ricorda che nel 1923 venne emanata la prima legge che regolava l’orario di lavoro, e l’anno successivo, nel 1924, Legnano ottenne il titolo di “Città” «certo fu Mussolini che intitolò Legnano città che con il fascismo causò danni incredibili». In quegli anni Legnano era un centro produttivo fiorente, con numerose fabbriche distribuite in tutto il territorio. «Queste imprese, sopravvissute alle due guerre mondiali, rifiorirono durante il boom economico degli anni ’50 e ’60, ma successivamente affrontarono un lento declino». Le fabbriche tessili sono state le prime ad andare in crisi, seguite dalle industrie metalmeccaniche come le due Pensotti e l’ex Comerio negli anni ’74. Durante le crisi industriali, il sindacato ha giocato un ruolo fondamentale, garantendo che i lavoratori non restassero senza reddito. Ogni cambiamento ha richiesto un lavoro costante per riconquistare la fiducia dei cittadini, spesso scossa dai mutamenti. Gli effetti dell’estinzione li vediamo ad ogni angolo della città: camminando per il centro si trovano i resti archeologici di realtà come la Manifattura, Bernocchi, Dell’Acqua e anche di quella che fù la grande Franco Tosi ora operativa, in spazi contenuti, sotto la guida dell’imprenditore Alberto Presezzi.
L’assenza di una politica industriale
«Il passato non è così bello come spesso si pensa – afferma Minelli che mosse i suoi primi passi come sindacalista nella Comerio -. Non serve andare molto lontano nel tempo per dimostrarlo, perché era già impressionante entrare in un’azienda metalmeccanica negli anni 60 o 70: la fatica fisica nella catena di montaggio era sotto gli occhi di tutti. L’ho vista e vissuta. L’evoluzione tecnologica ha sollevato gli operai da tutto questo, nel contempo però la modernità significa rivoluzione e tagli di posti di lavoro. Un fenomeno che i sindacati così come la politica devono essere capaci di governare». Dopo il boom degli anni ‘50 e le conquiste degli anni 60 arriva la crisi economica che segna con forza gli anni ‘70. Poi ‘89: globalizzazione, ristrutturazioni industriali, dumping sociale, espansione ulteriore dell’area del lavoro precario e del «falso» lavoro autonomo. L’ingresso nel libero mercato ha accelerato un processo di ristrutturazione fondato sulla compressione del costo del lavoro e sull’erosione del patto salariale. Ed ora siamo qua, negli anni 2000 a fare i conti con le parole di Karl Marx: «La produzione di troppi strumenti utili si traduce in troppe persone inutili». Per Minelli ciò che realmente manca è «Una visione politica industriale del futuro. Non usiamo la scusa della globalizzazione, agli inizio del ‘900 si guardava già fuori dai confini, ma c’era una progettualità. Oggi appare tutto troppo confuso bisogna reagire a partire da noi, questa città ha la forza per far ciò».
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