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Don Fabio Viscardi, già sacerdote a Legnano, va in pensione ma resta parroco a Cesano Maderno

Il sacerdote, sempre ricordato con amicizia soprattutto nell'Oltrestazione, dal 15 gennaio scorso è entrato in una nuova stagione della sua missione

don fabio viscardi

Don Fabio Viscardi, parroco ai Santi Martiri di Legnano dal 2011 al 2020, va in pensione. Il sacerdote, sempre ricordato in città e soprattutto nell’Oltrestazione, rimane sempre responsabile nella comunità pastorale Santissima Trinità di Cesano Maderno, ma con il nuovo stato di “pensionato“. La comunicazione ai fedeli è stata data attraverso il bollettino parrocchiale e racchiude una serie di considerazioni meritevoli di attenzione. Di certo, proprio da queste riflessioni emerge lo stato d’animo di un sacerdote, di un uomo tutt’altro che in pensione. Ad ogni modo, tanti auguri don Fabio per la sua nuova stagione.

In data 15 gennaio ricevo dall’Istituto Sostentamento del Clero Diocesano una e-mail dove si comunica che a partire da questo mese l’INPS inizia ad accreditare la pensione sul mio conto corrente. Dopo 42 anni di (onorato?) servizio e ormai festeggiato il 66° compleanno (raggiunta dunque quota 108) ecco che la vita mi introduce in una nuova stagione.
Come sempre in questi casi le sensazioni sono molteplici e anche contrastanti: è un traguardo da festeggiare o il malinconico avviarsi lungo il viale del tramonto? Provo a condividere alcune risonanze.

Sono vecchio

Certo, il politically correct suggerirebbe l’uso del più nobile e dignitoso termine ‘anziano’, ma l’arrivo della pensione è anche l’occasione per guardare in faccia alla realtà. Ormai entro a pieno titolo nel club di quanti arrivati all’ultimo gradino della scala si chiedono perché sono scesi in cantina; idem quando si sale al gradino più alto che conduce in solaio. La notte il sonno è non di rado interrotto (anche per motivi banalmente fisiologici), eppure si sente il bisogno di tempi di riposo più prolungati: il corpo fatica a recuperare le energie e arrivi alla sera stanco. Quando d’inverno osservi i ragazzi allenarsi sotto la pioggia, consideri che alla vigilia dei 70 anni non lo faresti più nemmeno sotto tortura. Inutile aggiungere i piccoli acciacchi segnalati dal frequente aggiungersi di qualche fastidioso dolorino.

Sono saggio?

Qui il punto interrogativo è indispensabile. Perché rileggi il passato e ti chiedi cos’hai imparato dalla vita. Ringrazi per chi ti ha educato e affiancato nel percorso di crescita. Chiedi perdono per i molti (troppi) errori compiuti. Certo, con l’età si diventa più comprensivi e meno intransigenti, di contro per certi aspetti un poco scettici e talora persino cinici. Si cresce nell’attitudine a considerare l’insieme della realtà e meno focalizzati su particolari secondari; si rientra in se stessi e si inizia a far pace con la propria storia e le proprie ferite. Ci si augura di imparare anche ad essere meno lamentosi e più ricchi di sana (auto)ironia: quella del non prendersi troppo sul serio è un’arte che aiuta a sorridere dei propri limiti, e magari anche di quelli degli altri.
Senza dimenticare che quando ti senti guardato come il nonno della situazione, intuisci che i tuoi consigli verrebbero ascoltati con la buona educazione riservata a chi è meglio non contraddire, salvo continuare per la propria strada! Come del resto abbiamo fatto noi nel bel tempo antico della nostra giovinezza: ciascuno la saggezza se la deve conquistare sul campo. Il che non significa ridursi al silenzio, ma acquisire il discernimento per capire dove è opportuno intervenire e quando invece è meglio tace-re.

Sono ricco

La pensione è modesta, ma (udite, udite!) non si sostituisce allo stipendio che rimane (quasi) invariato; salvo ovviamente pagare poi le tasse dovute per il cumulo dei redditi. La scelta della chiesa è infatti quella di favorire i confratelli che in età avanzata potrebbero aver necessità di cure mediche, assistenza domiciliare e quant’altro. Non si tratta di pensioni d’oro e di stipendi faraonici, tuttavia un compenso che pone al riparo dalle incertezze del futuro. E il pensiero corre a chi deve tirare il 27 del mese con moglie e figli a carico o ai giovani in cerca di opportunità lavorative; per non parlare di chi è costretto a fare i conti con pensioni (troppo) basse. Se consideriamo poi che le utenze e la manutenzione della canonica sono a carico della parrocchia, vien da dire che il prete appartiene ad una categoria (per ora) privilegiata. Se ne dovrà tener conto nel momento in cui la carità busserà a chiedere la sua giusta parte di queste entrate.

Sono vivo

A quest’età mio papà era già mancato da 5 anni (deceduto pochi mesi dopo la pensione). È dunque il caso di ringraziare (ogni giorno) il Signore per il dono della vita, magari con la preghiera antica e sempre nuova del “Ti adoro…”. Nel mio caso anche perché tutto sommato godo ancora di una condizione di salute per certi aspetti invidiabile. Ci penso quando ad esempio mi confronto con alcuni confratelli alle prese con gravi malattie anche invalidanti. Certo, oggi la prospettiva di vita si è allungata e ai funerali non è infrequente sentire commenti del tipo “era ancora giovane!” persino in occasione del decesso di persone quasi ottantenni. La vita è un dono prezioso di cui un giorno dovremo rendere conto; ecco perché non è il caso di rassegnarsi alla tristezza del dolce far niente. In ogni stagione della vita possiamo offrire qualcosa a Dio e ai fratelli; magari semplicemente la nostra preghiera o l’accettazione della nostra sofferenza.

Sono eterno

Lo scrivo non con la presunzione folle che “sora nostra morte corporale” eviterà di bussare alla mia porta, ma nella consolante convinzione che la fede dischiude gli orizzonti luminosi dell’eternità. Proprio la fragilità di un corpo che invecchia aiuta a capire che siamo unici e irripetibili: non un frammento get-tato a caso nel marasma dell’universo, ma un’identità preziosa con un compito da portare a termine. Siamo creati per quel tempo senza tempo che si chiama eternità. E questo grazie alla pietra rovesciata del sepolcro vuoto la notte santa della Pasqua. La fede non cancella la paura della morte, il timore di invecchiare male con tutto il suo corollario di deficit fisico e magari anche mentale, lo sconforto del dover dipendere dagli altri e sperimentare la durezza della solitudine…, tuttavia apre alla serenità di chi sa che c’è una luce oltre il tunnel, un abbraccio che ti aspetta, un sorriso che ti introdurrà nella visione beatifica di Dio e nella comunione dei santi.

Sono prete

Non occorre la laurea in Lettere Antiche per sapere che il termine ‘presbitero’ indica la funzione di un ministero che chiede un’età adulta e persino avanzata negli anni. Si prepara dunque una stagione do-ve l’identità di un prete ‘dovrebbe’ dismettere i caratteri giovanili della realizzazione di sé nel successo pastorale per lasciar spazio alla convinzione che solo la croce di Gesù salva il mondo. Il Regno di Dio cresce non quando siamo “in faccende affaccendati” come l’azzeccagarbugli di manzoniana memoria, ma laddove accettiamo che le nostre ferite fisiche e le nostre fragilità spirituali diventano il luogo dove si rivela la luce della Grazia. Senza questa certezza rimane difficile continuare a celebrare l’eucarestia.
Tra l’altro poi almeno fino ai 75 anni poco cambia dal punto di vista meramente ‘professionale’. Fino a quando il vescovo non mi chiamerà a servire la chiesa da un’altra parte, rimango parroco di queste tre parrocchie e responsabile di questa comunità pastorale. Salvo che il buon Dio non mi voglia con sé prima di quella data.

Malinconia

Mi sia permesso concludere con un’immagine che attingo dall’antica Cina, dove in poesia il termine ‘malinconia’ veniva reso con l’incontro di due ideogrammi: quelle del cuore e quello dell’autunno. A differenza della nostra scrittura alfabetica, in quella cinese le parole sono il dipinto della realtà; più precisamente la rappresentazione del suo divenire. Potremmo dire che nell’uso poetico la malinconia è un cuore che entra nel bosco cangiante dell’autunno. Un’immagine suggestiva a indicare che occorre tener vivo il cuore per riuscire a cogliere le mille sfumature di una stagione dai colori bellissimi, dai profumi delicati e dai frutti saporiti. L’autunno: una stagione che ha ancora molto da dare e molto da dire. Chi non lascia spegnere la speranza che arde dentro di noi sa che in ogni età ancora molto possiamo donare e molto possiamo ricevere. Lo auguro a me stesso e a tutti quanti condividono questo tratta di vita.

don Fabio

Marco Tajè
direttore@legnanonews.com
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Pubblicato il 09 Febbraio 2024
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