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Violenze e femminicidi sono all’ordine del giorno: “Quando anche la parola può aiutare”

Rosa Romano, riconosciuta figura di primo piano del volontariato legnanese e apprezzata scrittrice, porta un apprezzabile contributo su un tema di particolare attualità

Femminicidio

“Quando anche la parola può aiutare” è un testo firmato da Rosa Romano, esponente legnanese del mondo del volontariato, pubblicato sul periodico il Semestrale dell’associazione Nestore con il titolo “Contro la violenza anche la parola”. Considerato il periodo, lo pubblichiamo con piacere come un contributo alla causa della lotta contro la violenza sulle donne.


Violenze e femminicidi sono all’ordine del giorno.

Per comprendere fino in fondo il fenomeno della violenza sulle donne è sufficiente leggere i numeri dei femminicidi. Nel 2021, sono state uccise 119 donne, nel 2022 123, nel 2023 – ad oggi, le donne uccise sono 75 donne, con una frequenza quasi periodale. E’ un numero, temo, destinato ad aumentare, e le misure per evitarlo, benché attive, si sono rivelate fino ad oggi insufficienti.

Come nasce la violenza di genere e il conseguente femminicidio? Ho letto da qualche parte che La violenza contro le donne trova origine nei rapporti di potere tra i generi, imposti dal sistema patriarcale. Questa violenza è endemica e globale e limita il godimento dei diritti delle donne e l’uguaglianza legale, sociale, politica ed economica in tutte le sfere della vita.

Ma non sta a me affrontare tale argomento che riservo a persone qualificate e autorevoli.Io posso solo ricordare che ogni unità dei numeri citati sopra rappresenta una donna, con nome, cognome, età e vissuto, a cui è stata barbaramente tolta la vita.

Perché gli uomini uccidono le loro donne? Se entriamo in punta di piedi nella loro vita scopriamo che esse avevano in qualche modo rivendicato il loro diritto alla libertà. Libertà di vivere senza il compagno che per un pezzo di strada si erano trovate accanto.

E invece sono state violate, a loro è stato negato un sacrosanto diritto, perché la libertà è inviolabile. Infatti, l’articolo 13 della nostra costituzione recita che “La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di protezione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’Autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge. “

Forse dovremo cominciare a considerare anche questo aspetto.

Invece per un certo periodo, e in alcuni casi anche adesso, ci siamo perse sul senso delle parole e il dibattito si è consumato sull’opportunità di usare il termine “femminicidio” e non semplicemente omicidio. Persino l’Accademia della Crusca  ha eseguito una lunga disamina sul termine a cura di Matilde Paoli e alla fine ha concluso che per femminicidio si deve intendere non solo “uccisione di una donna o di una ragazza”, ma anche “qualsiasi forma di violenza esercitata sistematicamente sulle donne in nome di una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale, allo scopo di perpetuarne la subordinazione e di annientarne l’identità attraverso l’assoggettamento fisico o psicologico, fino alla schiavitù o alla morte”.

Superato il quesito sul termine, ci siamo ritrovati davanti la crudezza dei fatti, ossia le donne continuano ad essere uccise per mano di chi è loro accanto.

Ho usato volutamente il termine crudezza, perché nella doppia zeta ci sta l’asprezza e il disprezzo che come donna e cittadina provo ogni volta che leggo di un femminicidio o anche solo di una violenza. Questa crudezza è poi diventata sgomento e dolore quando mi è capitato di scoprire che un uomo che conoscevo, cheavevo vistobambino, poi ragazzo e infine uomo sposato, sia pure saltuariamente,di cui apprezzavo la mitezza e la gentilezza, ecco quest’uomo aveva commesso un duplice efferato delitto, perché aveva ucciso la compagna e il figlio piccolo, e dopo vari tentativi, si era tolto la vita in carcere. Il fatto è successo nel gennaio del 2021, ma permotivi diversi e personali, l’ho saputo molto tempo dopo.

La notizia mi ha devastato, ho cercato di capire, ho rovistato tra la stampa di quel periodo e ho trovato diversi articoli tra cui Torino today che concludeva un asettico articolo in questo modo: “Pochi giorni prima di compiere il duplice omicidio Rxxxx aveva scritto un post su Facebook dicendo “Ho rovinato la mia famiglia. Mi farò curare”. La moglie, che lavorava come psicologa, aveva provato a parlargli ma la risposta che aveva avuto era stata la notte di furia omicida costata la vita a lei e a suo figlio. Per tutti a Carmagnola quella era ritenuta “una famiglia normale“.

Una famiglia normale, appunto, anche se i segni di un rapporto difficile c’erano.

Com’è stato possibile? Sia lui sia lei avevano lavorato nell’ambito dei servizi sociali; avevano entrambi conoscenza e contezza del fenomeno, lei soprattutto che da psicologa aveva certamente avuto occasione di seguire qualche donna con relazioni difficili, forse era stata lei stessa testimone di violenze e di minacce. Eppure, mi sono chiesta per giorni e giorni e continuo a chiedermelo, lei non si è accorta. Come ha fatto a non rendersi conto che lui stava maturando una simile decisione? Competente ed esperta dell’animo umano, inserita nell’ambiente socio-sanitario, come ha potuto ignorare i segnali che inevitabilmente hanno anticipato il drammatico epilogo?

E lui? Quale meccanismo scatta negli uomini, anche apparentemente miti come era lui, che li spinge a una simile follia?  Certo il mistero del profondo è imperscrutabile, ma cosa ha offuscato lacoscienza e la razionalitàdi un uomo, che come lui ha sempre indossato la maschera pirandelliana della normalità e mitezza, e gli ha fatto improvvisamente vestire gli abiti un assassino?

Che sia necessario rispolverare Freud, fondatore della psicanalisi che diceva: l’uomo ha istinti aggressivi e passioni primitive che portano allo stupro, all’incesto, all’omicidio; sono tenuti a freno, in modo imperfetto, dalle Istituzioni sociali e dai sensi di colpa?

Forse! E se è così, cosa possiamo fare per interrompere questa vergognosa e macabra catena?

UN Women, l’agenzia delle Nazioni Unite per l’empowerment femminile, ha individuato le azioni che tutti noi possiamo – e dobbiamo – fare per prevenire e fermare gli abusi di genere:
1. Parlare,
2. Riconoscere il problema e i segnali,
3. Denunciare le molestie sessuali,
4. Sfidare le convinzioni sulla mascolinità Riconoscere il problema e i segnali,
5. Finanziare le organizzazioni femminili,
6. Richiedere risposte e servizi migliori,
7. Avere più dati,
8. Spingere per leggi più forti,
9. Sostenere la leadership delle donne,
10. Costruire la solidarietà con altri movimenti.

Ed è questa l’azione su cui vorrei soffermarmi, perché la ritengo fondamentale e universale, che riguarda le donne e non solo. Siamo più forti quando lavoriamo insieme. La violenza contro le donne è intrinsecamente connessa ad altre forme di discriminazione e ingiustizia, tra cui il razzismo, l’omofobia, la xenofobia, l’abilità, la povertà e il cambiamento climatico. Insieme, possiamo resistere all’arretramento dei diritti delle donne, amplificare le richieste dei movimenti femministi in tutto il mondo e spingere in avanti per porre fine alla violenza.

E infine, non posso chiudere questo articolo, senza prima aver ricordato il valore e l’importanza dell’educazione e della formazione nelle scuole. Educare alla non violenza, affrontare i temi dell’educazione e del rispetto fin dalla più tenera età, è condizione indispensabile per permettere alle nuove generazioni di comprendere e contrastare questo macabro fenomeno. Uno degli aspetti fondamentali per educare alla non violenza è quello di sviluppare la capacità di costruire relazioni basate sui principi di parità, equità, rispetto, inclusività, nel riconoscimento e valorizzazione delle differenze, così da promuovere una società in cui il libero sviluppo di ciascun individuo avvenga in accordo col perseguimento del bene collettivo.

Il lavoro di sensibilizzazione e prevenzione necessario per il contrasto alla violenza maschile sulle donne e l’educazione a relazioni non violente potrà offrire alle nuove generazioni la possibilità di riflettere su se stessi e sul rapporto con gli altri, riflessione oggi più che mai necessaria, dato che negli ultimi anni stiamo assistendo a un aumento preoccupante di episodi di violenza tra adolescenti, fenomeno sempre più frequente e diffuso, dalle varie sfaccettature che ha bisogno di un’attenzione urgente da parte delle istituzioni e della società in generale.

E su questo aspetto chiudo con una suggestione, lasciataci da Don Milani, di cui celebriamo il centenario e la cui figura è legata in prevalenza all’esperienza didattica rivolta ai bambini per lo più poveri e disagiati.

“La parola ci fa uguali”, lui diceva, perché parlare e ascoltare, con un ampio vocabolario, significa sviluppare una capacità critica che permette di comprendere il mondo e il senso dell’esistenza.

Rosa Romano

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Pubblicato il 19 Novembre 2023
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