Cosa ci ha insegnato la pandemia? Prof. Mazzone:”Dobbiamo cambiare l’organizzazione ospedaliera”
Il direttore del Dipartimento Area Medica dell'ospedale di Legnano riflette sulla pandemia a tre anni dal primo caso di covid-19
Cosa ci ha insegnato la pandemia? A distanza da tre anni dal primo caso di covid-19, il prof. Antonino Mazzone, direttore del Dipartimento di Area Medica dell’ospedale di Legnano, risponde così all’agenzia Adnkronos, in una dettagliata intervista pubblicata oggi sulla edizione online: “Si è fatto giustamente risaltare l’importanza dei ventilatori, ma non dobbiamo dimenticare come anche l’ecografia (vascolare, cardiologica, toracica, addominale) al letto di pazienti difficilmente spostabili ha agevolato la diagnostica e di conseguenza il trattamento. Questo ci deve far cambiare organizzazione. Nelle grandi aree mediche dovranno essere presenti letti ‘High Care’ almeno per il 20-30%, vale a dire letti dotati di tecnologia per il monitoraggio dei parametri vitali con relativa centralina di osservazione e controllo. Tale monitoraggio sarà necessario in pazienti complessi, in pazienti necessitanti trattamenti semi-intensivi o in pazienti affetti da una patologia acuta grave, non solo per guidare il trattamento, ma anche per intercettare in anticipo situazioni di potenziale instabilità”.
Il medico legnanese ha lottato contro il virus, si è ammalato e lotta ancora per migliorare il sistema: ” Non vi è dubbio che l’emergenza Covid ci abbia trovato impreparati, non solo per ciò che riguarda la pandemia vera e propria quanto per quel che è stata la ‘sindemia’ Covid, vale a dire l’impatto globale biologico e sociale che ha avuto sull’organizzazione sanitaria e sulla popolazione generale. Abbiamo combattuto una guerra che ha colpito e colpisce tutti aumentando la mortalità, soprattutto nel setting di pazienti affetti da polipatologie, in polifarmacoterapia e anziani”.
L’emergenza continua ancora, così il prof. Mazzone ricorda che “adesso in questa nuova fase che vede in difficoltà i pronto soccorso e le medicine d’urgenza abbiamo bisogno della stessa elasticità e spirito di collaborazione per affrontare tutti insieme le nuove problematiche sanitarie emergenti. Durante la pandemia abbiamo assistito davvero al concetto di ‘paziente al centro’, fino ad allora restato più una teoria che un fatto. Oggi che c’è l’emergenza dei pronto soccorso, abbiamo la necessità di recuperare quella capacità organizzativa che ha visto al centro il paziente. In grave carenza di personale medico non possiamo tenere aperti dei pronto soccorso che non sono altro che degli ambulatori, che non servono e creano un danno alla popolazione oltre che economico”.
La parte finale della intervista riguarda la formazione: “Le amministrazioni dovranno capire che i medici devono avere a disposizione tempo per formazione e aggiornamento. Solo così potrà essere meglio accettato ciò che in altre parti del mondo è routine, vale a dire la rivalutazione periodica delle proprie competenze. Infettivologi, pneumologi, internisti e gli specialisti di altre discipline intervenivano sul singolo malato ciascuno per le sue competenze, andando oltre quella che fino ad ieri era la singola semplice consulenza. Abbiamo visto esperienze dove tutti gli specialisti vedevano il malato ogni giorno, anche più volte al giorno, una volta acquisita la richiesta per quel malato, facendosi carico interamente della problematica per cui erano stati chiamati. Questo oggi deve succedere nel pronto soccorso e nella medicina d’urgenza: il paziente al centro e gli specialisti che per la loro parte se ne prendono carico”.
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