Il messaggio di don Burgio agli allievi dell’Istituto Melzi di Legnano: «Non esistono ragazzi cattivi»
Don Claudio Burgio cappellano del carcere minorile Beccaria di Milano, nonchè guida della comunità Kayròs a Vimodrone, ha tenuto una conferenza alla presenza degli studenti dell'Istituto Melzi e del preside Flavio Merlo
«Non esistono ragazzi cattivi, nessuno di loro è perduto. Vanno solo ascoltati». Don Claudio Burgio, cappellano del carcere minorile Beccaria di Milano, nonchè guida della comunità Kayròs a Vimodrone, è intervenuto (martedì 13 dicembre) nella chiesa di San Domenico a Legnano alla presenza di oltre 400 studenti dell’Istituto Melzi e del loro preside, prof. Flavio Merlo. Incontro seguito in diretta streaming anche dagli allievi delle medie, radunati nell’aula magna del complesso scolastico.
Con un linguaggio immediato, capace di catturare l’attenzione generale, don Burgio ha raccontato la sua esperienza di vita, il percorso di educatore e i gli incontri capaci di «cambiare il modo in cui si guarda il mondo», perchè si impara sempre dagli altri, «non si cresce se si resta sempre con chi la vede come te. La realtà va ascoltata tutta intera se vuole capire il mondo». In questa narrazione, composta da parole semplici ed incisive, è stato spiegato un parte del disagio giovanile, quello di ragazzi che non avendo un posto protetto dove ritrovarsi crescono in balia della fatica del vivere degli adulti, della violenza di una parte della comunità lasciata da sola, quella della periferia composta dagli ultimi: cittadini stranieri oppure senza occupazione e quindi privi di una collocazione sociale. Una condizione difficile alla quale si aggiunge la presa di coscienza del divario tra il “povero” e il “benestante” che si delinea già nell’ambiente scolastico.
«La povertà in Italia sta crescendo e sta diventando assoluta in alcune situazioni. Questo crea rabbia». In una società capitalista e consumista in cui, come ha precisato don Burgio, vige ancora una sola dittatura, quella del denaro, non è facile crescere. «Tutti sono convinti che per riuscire nella vita, per avere successo bisogna avere soldi – afferma don Burgio -. Ma non è così. Solo chi ha una passione e la coltiva si può realizzare. Tutto il resto arriva di conseguenza».
Per dare concretezza ai messaggi lanciati agli studenti legnanesi, don Burgio ha raccontato le storie di ragazzi che ha incontrato e che hanno vissuto nella sua comunità. Tra i volti delineati c’è quella di Daniel che da bullo violento tra i banchi di scuola, con alle spalle anche una rapina in banca, si è poi laureato ed ora è un educatore. E poi Zaccaria Mouhib, noto come il trapper Baby Gang: «Ascoltando la sua canzone “Tre occhi” ho iniziato a capire che la musica, in questo caso la trapper, è un mondo per raccontarsi. In questa canzone, la meno conosciuta, c’è la sua storia». Tra gli altri anche Simba La Rue, ossia Mohamed Lamine Saida, che con Zaccaria è tra i protagonisti della sparatoria avvenuta tra il 2 e il 3 luglio scorso in via di Tocqueville a Milano durante la quale due senegalesi sono stati gambizzati. Nessun giudizio sulle azioni, solo attesa: «Nessuno di loro è perso. Ricordatevi, ci vuole tempo».
Tutti questi giovani, alcuni ormai adulti, hanno rafforzato una convinzione in don Burgio, quella che i sogni non vanno «spezzati», sono linfa vitale per “rinascere” come una fenice perchè «non importa se vengono realizzati, essi sono comunque una forza cui attingere». In questi desideri ci sono speranze e da lì si può iniziare a tracciare un percorso: «Siamo fragili – afferma don Burgio – siamo deboli e magari veniamo sconfitti dalla vita ma ci rialziamo. Non si cambia, ma, come mi hanno fatto capire i miei ragazzi, si migliora». Ma non sono solo i giovani che crescono nei quartieri difficili come quello di Quart’Oggiaro o San Siro a vivere momenti complicati, ci sono anche quelli visti dalla comunità come “bravi ragazzi”: gli studenti intelligenti con voti brillati che per adrenalina o per noia finiscono per spacciare, oppure per delusioni iniziano ad assumere droghe o buttarsi nell’alcol. Tutti loro però, secondo don Burgio hanno «una maschera con la quel intendono dare un’immagine di sé grandiosa, dura, forte, vincente. Vogliono avere soldi, potere oppure semplicemente essere visti. Spesso nell’ambiente della comunità le maschere cadono a terra. C’è chi capisce subito, altri si ribellano. Ma prima o poi tutti si rendono conto di voler fare un passo in avanti e allora tornano e chiedono aiuto». Dunque, l’unica parola chiave è saper «ascoltare», sentire l’altro, accoglierlo, capire e imparare a guardare con i suoi occhi: «Mai giudicare».
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