Casa rifugio di Legnano, in sette mesi accolte otto vittime di violenze fisiche e psicologiche
A tracciare il primo bilancio dell'attività svolta in questa realtà, diventata operativa a tutti gli effetti lo scorso maggio, è stata Costanza Bargellini della Fondazione Padri Somaschi
In sette mesi nella casa rifugio di Legnano sono state accolte otto donne maltrattate e tre minori, arrivati al seguito delle loro madri. La violenza sulle donne non si placa. Ma la comunità con la rete anti violenza Ticino Olona (che ha come Comune capofila Legnano) sta cercando di dare risposte concrete. E lo sta facendo non solo attraverso lo sportello Auser Filo Rosa e il telefono donna, ma anche con la recente attivazione di una struttura di seconda accoglienza attualmente gestita dai Padri Somaschi.
A tracciare il primo bilancio dell’attività svolta in questa realtà, diventata operativa a tutti gli effetti lo scorso maggio, è stata Costanza Bargellini della Fondazione Padri Somaschi. L’operatrice è intervenuta, mercoledì 16 novembre a Palazzo Malinverni, durante la presentazione delle attività in programma per la giornata internazionale contro la violenza sulla donne. In questo contesto Bargellini ha spiegato la funzionalità della villa sequestrata nel 2014 alla ‘ndrangheta a Legnano adattata per gestire la seconda accoglienza di donne maltrattate. «Si tratta – precisa Bargellini – di un alloggio temporaneo di accompagnamento delle donne verso l’autonomia». L’edificio presenta quattro camere, una cucina, una sala e una taverna. Ha ben otto/dieci posti letto adattabili a seconda delle situazioni».
Le ospiti che sono passate, sono rimasta nel “rifugio” legnanese per circa tre mesi, poi hanno trovato la loro strada verso l’autonomia. Alcun nuclei, in
presenza di decreto, sono stati accompagnati dai servizi in comunità, servizi adeguati al loro specifico progetto. Tre sono tuttora in accoglienza Quattro le donne tra i 45 e i 50 anni, ma c’è anche chi è sopra i 60 e chi sotto i 25 anni. «Si tratta di donne arrivate fuori dal territorio di Legnano e zona – sottolinea Bargellini -. Per il momento abbiamo accolto donne italiane, cubane, ucraine. E anche vittime provenienti dal Senegal e dalla Romania». Tutte loro hanno subito violenze fisiche e psicologiche: soprusi di ogni sorta. Tutte loro stanno scappando dal loro maltrattante ed ora dovranno ricostruirsi con fatica una vita. «Collocare le vittime al di fuori del loro territorio è necessario per garantire sicurezza. Ma allo stesso tempo significa essere isolati, non poter contare sulle proprie relazioni di vicinato – spiega Bargellini -. Per chi è più fragile significa anche avere timore ad uscire di casa e spostarsi. Il compito dell’educatore dell’accoglienza è affiancare e accompagnare la vittima in un cammino verso l’autonomia. Individuando insieme le diverse aree in cui occorre agire, suddividendo il percorso in più fasi e definendo insieme piccoli obiettivi raggiungibili. In modo che passo dopo passo si possa procedere. Ci vuole tempo e il percorso non è mai lineare, ma sempre molto complesso, fatto di alti e bassi, di scelte e di ritorno sulle scelte fatte, di momenti di forza e di momenti in cui sembra di non riuscire a farcela».
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