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Franco Monaco e la guerra: “La Pace solo attraverso un compromesso ispirato a etica della responsabilità”

Una riflessione del politico legnanese ci porta a una conclusione di mediazione che dovrebbe escludere la capitolazione dell'uno oppure la resa dell'altro

guerra ucraina

In questi giorni, abbiamo sottoposto spesso l’amico Franco Monaco, ex parlamentare legnanese con una lunga esperienza alla Camera e in Senato, a inviti per qualche riflessione sul tragico momento della guerra in Ucraina. Oggi, lo ringraziamo per questo testo, da leggere con attenzione. La sua conclusione (un compromesso ispirato a etica della responsabilità) dovrebbe trovare il parere concorde di quanti auspicano al più presto il ritorno alla Pace, senza la capitolazione dell’uno o la resa dell’altro.

Sia chiaro da subito: c’è un aggressore e un aggredito. É d’obbligo tenere ben ferma la differenza decisiva dalla quale scaturisce il dovere di prendere parte; di soccorrere la vittima e fermare il carnefice. Il problema è come. Le sanzioni sono utili ma insufficienti. La resistenza ucraina è ammirevole ma, stante la soverchiante superiorità militare russa, ragionevolmente è destinata a due soli esiti possibili: la sconfitta o, se si prolunga nel tempo, la carneficina della guerriglia urbana.
Faccio due obiezioni a chi, giudicando impossibile e censurabile ogni negoziato (leggi, ahimè, va ammesso, un compromesso con l’invasore), si limita a sostenere e incoraggiare la resistenza armata degli ucraini: 1) i suoi altissimi costi; 2) una certa ipocrisia del tipo “armatevi e partite”. Avendo premesso che noi – Europa e Nato – ragionevolmente ce ne teniamo fuori. Giustamente, perché siamo ben consapevoli di non poter varcare la linea rossa di una guerra globale dal tenore apocalittico.
Se non avessimo messo definitivamente a verbale questa nostra decisione tutto il ragionamento che segue prenderebbe tutt’altra piega.

Per chi invece considera doveroso esperire sino all’estremo limite la possibilità di una soluzione negoziata (ripeto per onestà e chiarezza: un compromesso con l’ingiusto aggressore) decisiva è la domanda su cosa esattamente voglia Putin. Una domanda la risposta alla quale non è per niente ovvia e che forse è cambiata in corso d’opera, cioè dopo l’invasione, con i suoi costi e i suoi imprevisti, anche per la Russia (dalle sanzioni, all’isolamento internazionale, alla resistenza opposta dagli ucraini). Per rispondere a quella decisiva domanda non sono inutili, sono anzi necessarie, due operazioni: 1) provare a comprendere il punto di vista non solo di Putin, ma degli interessi del popolo russo (troppo facile esorcizzare il problema con la teoria di chi tutto ascrive alle psicopatologie di Putin); 2) indagare circa le cause prossime e remote del conflitto, comprese le eventuali responsabilità dell’occidente. Riflettere su di esse non è operazione dettata da malinteso terzismo o da ingiustificata equidistanza. Semmai il contrario. Comprendere e interpretare con più precisione il punto di vista dell’aggressore e, conseguentemente, verificare con intelligenza e realismo se vi siano margini per un negoziato che non si concretizzi in una capitolazione è cosa saggia. Seguendo il filo di questo ragionamento personalmente, a lume di logica ma potrei sbagliare, mi sono fatto la convinzione che – forse già in origine e comunque nella situazione critica che si è determinata anche per lui – Putin sia guidato essenzialmente da una preoccupazione per la sicurezza nazionale della Russia. Se così fosse, si dovrebbe escludere il proposito di ulteriori mire espansionistiche su altri paesi e pure l’occupazione della intera Ucraina. Ripeto: questo suggerisce la logica.
Se così non fosse, a rigore, saremmo costretti a riconsiderare persino la linea rossa che ci siamo dati. Se invece le cose stessero come immagino, sarebbe facile sin d’ora prefigurare il punto di caduta di una intesa difficile ma non impossibile, le basi di un eventuale accordo (insisto: compromesso): concessioni sul Donbass e sulla Crimea e neutralità dell’Ucraina. Con la definitiva rinuncia alla sua adesione alla Nato compensata semmai dall’avvio di una procedura di adesione alla Ue. Tutto fa supporre che sia difficile discostarsi da un tale esito.
Salvo smentite a questo ordine di riflessioni, perché non orientarsi da subito in tale direzione negoziale, risparmiando ulteriore spargimento di sangue, distruzione, evacuazione di milioni di profughi? Si comprende la resistenza di Zelensky,
ma chi ha più responsabilità e potere – gli Usa, la Ue, altri attori regionali o globali – dovrebbe fare opera di persuasione presso le parti in conflitto, comprese le autorità ucraine, perché si dispongano a un tale negoziato. Interrompendo una spirale di violenza e di guerra che rischia di protrarsi per un tempo infinito e senza sbocco alcuno. La resistenza contro l’oppressore è impresa moralmente nobile, ma essa è pur sempre un mezzo mirato a un obiettivo di libertà e giustizia alla portata che forse (sottolineo: forse) non è impossibile ottenere per via negoziale. Non una resa, ma certo un compromesso ispirato a etica della responsabilità (l’opposto del pacifismo impolitico), cioè a sollecitudine per il bene (o il minor male) possibile nelle condizioni date. Come si conviene a chi – questa la logica iscritta nell’etica della responsabilità – si fa carico delle concrete conseguenze. Per l’Ucraina, per l’Europa, per il mondo. Altre soluzioni non se ne vedono.

Franco Monaco

Marco Tajè
direttore@legnanonews.com
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Pubblicato il 14 Marzo 2022
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