Dantedì: Dante e l’Arte di navigare
Prosegue il progetto della associazione Liceali Sempre di Legnano dedicata al sommo poeta
E’ un messaggio del dott. Filippo Bonzi la nuova riflessione per l’iniziativa promossa dalla associazione Liceali Sempre di Legnano. Per la locandina originale, cliccare qui
Dante possedeva tutto lo scibile del suo tempo. La cultura universale ed eclettica che permeava gli intellettuali italiani del Basso Medioevo, protagonisti di un’epoca tra le più feconde, dal punto di vista del pensiero. Mitologia e filosofia, geografia e meteorologia, matematica e geometria, astronomia e astrologia, politica e teologia, persino alpinismo e navigazione. Nulla era precluso al suo immenso sapere.
Per correr miglior acque alza le vele
ormai la navicella del mio ingegno,
che lascia dietro a sé mar sì crudele
(Purgatorio, I, 1-3)
Tutti sappiamo a memoria l’incipit del primo canto dell’Inferno, ma non facciamo lo stesso sforzo per l’incipit della Cantica del Purgatorio, con cui Dante anticipa il nuovo percorso e il suo impegno poetico per confermare il sommo ingegno, e lo fa usando similitudini, a lui ben note, del mondo marinaro. Da appassionato cultore della vela non posso non essere affascinato dal fatto che nella poesia di Dante, il mare, le navi e l’arte della navigazione siano molto presenti con funzioni e significati sia reali che simbolici.
Ond’el piegò come nave in fortuna,
vinta da l’onda, or da poggia or da orza.
(Purgatorio, XXXII, 116-117)
Bastano versi come questi per rendersi conto che di navigazione ne sa. Ne sa da marinaio che conosce i termini più corretti e rimasti invariati nei secoli. Ne sa, per aver navigato in altura lungo le coste liguri e nell’alto Adriatico tra Ravenna e Venezia con velieri capaci di aprire il solco e di lasciare la scia.
metter potete ben per l’alto sale
vostro navigo, servando il mio solco
dinanzi a l’acqua che ritorna equale.
(Paradiso, II, 13-15)
Ne sa anche di cantieri e di mestieri legati alla costruzione e alla manutenzione navale: carpentiere, calafato, maestro d’ascia, remolaio, cordaio, velaio. Le loro capacità vengono esaltate in endecasillabi rimati nel famoso brano che descrive l’attività quotidiana che animava l’Arsenale di Venezia:
Quale ne l’arzanà de’ Viniziani
bolle l’inverno la tenace pece
a rimpalmar i legni lor non sani,
che navicar non ponno; in quella vece
chi fa suo legno novo, e chi ristoppa
le coste a quel che più viaggi fece;
chi ribatte da proda, e chi da poppa;
altri fa remi, e altri volge sarte;
chi terzeruolo e chi artimon rintoppa;
tal non per foco, ma per divin’arte,
bollia là giuso una pegola spessa,
che n’viscava la ripa d’ogni parte.
(Inferno, XXI, 7-18)
Filippo Bonzi – Medico Chirurgo
Accedi o registrati per commentare questo articolo.
L'email è richiesta ma non verrà mostrata ai visitatori. Il contenuto di questo commento esprime il pensiero dell'autore e non rappresenta la linea editoriale di VareseNews.it, che rimane autonoma e indipendente. I messaggi inclusi nei commenti non sono testi giornalistici, ma post inviati dai singoli lettori che possono essere automaticamente pubblicati senza filtro preventivo. I commenti che includano uno o più link a siti esterni verranno rimossi in automatico dal sistema.