Una famiglia saluta un ricoverato dalla finestra, il prof. Mazzone: «Il virus ha cambiato i rapporti»
Dopo aver visto una famiglia salutare un congiunto ricoverato con il binocolo dalla finestra, il primario di Medicina interna dell'Ospedale di Legnano riflette su come il virus ha cambiato i rapporti
Un anno fa Legnano, come tutta l’Italia, affrontava la prima ondata della pandemia. Quella che ci ha portato a vivere situazioni fino ad allora impensate e impensabili. Quella che ci ha messo di fronte ad un cambio drastico della nostra quotidianità, togliendoci la possibilità di vedere liberamente amici e familiari e di abbracciarli ogni volta che ne sentiamo il bisogno. Quella che ha stravolto la routine degli ospedali e non solo per i nuovi reparti Covid e le terapie intensive piene, come sa bene chi da più di un anno è “in trincea” per vincere la battaglia contro il virus.
Come il prof. Antonino Mazzone, primario di medicina interna all’Ospedale di Legnano, che in questo anno il Covid l’ha vissuto non solo sulla propria pelle ma anche, e forse soprattutto, su quella dei tanti pazienti che sono passati dal suo reparto. «Oggi che finalmente dopo mesi cominciamo a chiudere reparti Covid-19 per poterli utilizzare per le patologie di medicina interna, sono contento – racconta Mazzone -. Anche se è domenica sono al lavoro, e mentre svolgo le mie attività per cercare di far funzionare bene le cose mi accorgo dal mio studio che una famiglia, sicuramente un padre, una madre ed una figlia, è sulla strada dove affaccia il mio reparto con un binocolo cannocchiale, per salutare con questa metodologia inusuale la propria congiunta o congiunto che è ricoverato nel reparto di Medicina A che ho l’onore di dirigere. Ad un certo punto vedo che salutano e si passano il cannocchiale uno con l’altro. In ormai più di un anno non mi era mai capitato. Il bisogno di vedersi, anche a distanza, riempie il cuore e dà speranza sia a chi è nel letto del reparto, sia a chi guarda dalla strada con il binocolo».
Quello che potrebbe sembrare solo un episodio curioso ma tutto sommato nemmeno troppo insolito ai tempi del Covid, ha però innescato nel medico anche una profonda riflessione su come siano cambiati nell’ultimo anno i rapporti tra medici e pazienti e quelli con i familiari, passati «dai rapporti umani alla mediazione di telefoni, I-pad, binocoli». «Spero che sia l’ultimo periodo e con le vaccinazioni si ritorni ai rapporti umani – sottolinea il primario -. Anche perché la relazione medico-paziente è centrale e non rimane rinchiusa nel campo dell’etica e della deontologia o della buona educazione, ma partecipa alla dinamica del processo di cura e non può essere mediata da tute simil-astronautiche, dove la comunicazione non verbale, che è la parte più importante del rapporto medico paziente viene a mancare».
«Noi medici dovremmo aggiornarci ascoltando quello che dicono di noi i malati nelle sale d’aspetto dei nostri ambulatori -conclude Mazzone -. Un buon comunicatore non è tanto un buon oratore quanto un buon ascoltatore, coglie i messaggi non verbali, è capace di un ascolto attivo, sa decodificare i messaggi di feedback del paziente: l’insuccesso terapeutico spesso deriva dalla mancata accettazione dell’intervento, perché comunicato male o in maniera insufficiente o percepito come superficiale. Una comunicazione diventa efficace quando c’è una reciproca consapevolezza di responsabilità. Tutta questa parte fondamentale del rapporto medico-paziente è stata esclusa dai dispositivi di protezione individuale, che non permettono quella comunicazione non verbale che però rappresenta oltre il 37% nel rapporto medico-paziente. Per dirla con Talete da Mileto, noi abbiamo due orecchie ed una bocca per ascoltare il doppio e parlare la metà. Ci stiamo incamminando verso la normalità tra vaccinazioni e immunità di chi ha contratto il Covid: manteniamo sempre il comportamento degli ultimi periodi con prudenza e serietà e ne verremmo fuori. Il cuore piange tutte le persone che abbiamo perso in questo periodo terribile ma ce la faremo».
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