Il giorno e la storia – Francesco Crespi, giovanissimo partigiano
Francesco Crespi racconta la sua esperienza di giovanissimo partigiano
7 aprile 1945 – Francesco Crespi, giovanissimo partigiano: «la vera paura l’ho provata il 7 aprile del ‘45»
Francesco Crespi, grazie ad un’intervista effettuata da Alberto Centinaio, ci racconta la sua esperienza di giovanissimo partigiano.
Partiamo dall’8 settembre 1943. «Un po’ di giorni dopo incontro un comandante di Milano (ho saputo dopo che era il comandante Negri): lui mi spiega che il compito principale delle formazioni di città sarebbe stato quello di recuperare armi, materiali e viveri da mandare ai partigiani che stavano in montagna. Le destinazioni erano la Val d’Ossola o la Valsesia, a seconda delle necessità segnalate dal CLN [Comitato di Liberazione Nazionale].
Da quel momento sono entrato a far parte di una brigata, la 101esima (poi entrerò nella 182esima), mi hanno dato il nome di battaglia e ho conosciuto gli altri tre partigiani con cui avrei mantenuto i contatti. Tutto questo si è svolto con molta lentezza e molta cautela, tanto che a un certo punto ho pensato che si fossero dimenticati di me…o che non avessero bisogno.»
Si trattava di Brigate Garibaldi, di impronta comunista. «Vista la giovanissima età – commenta Centinaio – i suoi comandanti della 101^ e della 182^ gli hanno evitato gli scontri a fuoco. Il suo compito era quello, importantissimo, di sabotaggio, supporto e copertura: fare la staffetta, consegnare armi, sequestrare materiale» a fianco di comandanti quali Samuele Turconi e Giuseppe Rossato.
«Ho fatto anche azioni di sabotaggio sulla linea ferroviaria – racconta Crespi. – Si andava, sempre di sera, a distruggere gli scambi che ci sono prima della stazione di Busto: questo per impedire il passaggio dei treni che andavano in Val d’Ossola.
La vera paura l’ho provata quando mi hanno arrestato, il 7 aprile del ‘45.
Da gennaio mi ero dato alla macchia: dormivo dove capitava, nelle cascine, nei lavatoi, nelle cantine. A un certo punto però mi sono ammalato e così sono stato costretto a rientrare a casa. Erano 3 o 4 giorni che ero a casa, quando una notte bussano alla porta. Mia mamma chiede chi è e sente la voce di un nostro conoscente (il “Giuanìn”). Così apre e insieme a lui si trova davanti due o tre fascisti col mitra (ho saputo dopo che gli avevano arrestato il figlio partigiano e poi lo avevano obbligato a venire da noi). Io ero a letto, avevo una pistola sotto il cuscino, ma per fortuna me ne sono stato tranquillo e così mi hanno portato via.
Mi portano in prigione in via Calatafimi dove mi fanno il primo interrogatorio. Poi mi portano a Parabiago e lì ci vanno sul pesante: pedate, cazzotti, pugni. In quel momento ho avuto davvero paura. Non del male fisico, ma di non farcela a resistere e fare i nomi. Per fortuna non è andata così, forse perché non sono passati alle torture vere e proprie: probabilmente non ero nella loro lista dei più cattivi…Comunque il 23 mi lasciano andare. Mi chiamano nel parlatorio e poco dopo sono libero. Ma non è finita. Verso le sei di sera (poco dopo che a Castellanza avevano ucciso Montagnoli) i fascisti tornano a casa mia: questa volta però riesco a scappare. Salto giù dal balcone dietro la casa (abitavo nelle case della Cantoni) e vado a Busto Garolfo, dove c’è il mio comandante. Là rimango, nascosto in una cascina, fino alla mattina del 25.
Il 24 sera il comandante mi raggiunge in cascina. Aldo, mi dice, ci siamo: c’è l’ordine di attaccare. La mattina del 25 , alle sette, veniamo a Legnano, alla Scuola Carducci, dove c’è un deposito degli avieri: la occupiamo e ne facciamo la nostra caserma. Più tardi alcuni di noi ricevono l’ordine di andare a dare una mano alla Canazza, altri all’Olmina. Ci sono stati tanti morti, alcuni giovani, forse, sono andati un po’ allo sbaraglio. A qualcuno, probabilmente, mancava un po’ la preparazione e la prudenza che noi avevamo imparato ad avere».
Renata Pasquetto
Foto d’archivio in copertina, con le violenze subite dai partigiani nella caserma di via Rovello a Milano
FONTE: intervista rilasciata da Francesco Crespi ad Alberto Centinaio, che ringraziamo per averla messa a disposizione dal suo archivio personale.
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