Il giorno e la storia – Luigi Nazari, pilota di caccia: partenza per la Libia
Continuiamo a seguire la guerra in Libia del pluridecorato Maresciallo Pilota di caccia Luigi Nazari
16 dicembre 1940 – Luigi Nazari, pilota di caccia: partenza per la Libia
Continuiamo a seguire la guerra del pluridecorato Maresciallo Pilota di caccia Luigi Nazari, nato a Legnano il 15 novembre 1911. Dal 26 aprile 1940 fa parte del 6° Stormo Caccia, II Gruppo, 151^ Squadriglia di Rimini, comandato dal Cap. Fiacchino, e da giugno ‘40 è in forze a Grottaglie.
Il 12 dicembre 1940 «giunge l’ordine che i CR42 arrivati ieri siano da noi trasportati in Libia – racconta nel suo diario Luigi Nazari – e che il personale che li ha portati a Grottaglie deve rientrare a Torino. Non abbiamo finora pilotato dei CR42 e quindi facciamo subito il passaggio. Faccio due voli. L’aereo è estremamente maneggevole rispetto al G50 e lo provo in tutte le manovre acrobatiche.» E saranno veramente acrobatiche le manovre che dovrà fare per raggiungere la Libia…
«16 dicembre. Partiamo per Pantelleria. Appena atterrati portiamo i nostri aerei in una galleria scavata nella montagna. Poco dopo arriva un gruppo completo di CR42 comandati dal Magg. Falconi che era stato il mio comandante di squadriglia in Spagna. Tra i piloti di questo gruppo trovo il Serg. Sironi che è di Legnano, e così facciamo conoscenza. Il tempo è pessimo.
17 dicembre. Le cose vanno molto male in Libia e vi è estrema necessità di rinforzi, ma il tempo è proibitivo. Malgrado la nostra impazienza nulla da fare.
18 dicembre. Le condizioni atmosferiche sono sempre pessime, ciò malgrado tentiamo la partenza. Le nubi sono scure e compatte. Ci infiliamo nei possibili corridoi dalle onde del mare sino ai 6.000, compiamo continue deviazioni. Il mare sotto di noi ha un colore piombo scuro. Pioggia violenta, lampi, turbolenze fortissime. Sono ilo gregario del Cap. Fiacchino e vedo il volto assorto e preoccupato. Si ritorna indietro. La visibilità è molto ridotta. Con i vari spostamenti che abbiamo fatto avremo difficoltà a ritrovare l’isola che è piccola. Siamo a pochi metri sul mare e sulle nostre teste lo strato di nubi è bassissimo. Controllo con il mio orologio i minuti che dovremo impiegare a raggiungere l’isola. Ad un tratto intravvediamo un piccolo lembo di costa rocciosa. Siamo spostati e viriamo a destra. Raggiungiamo la costa con comprensibile sollievo. Il campo è sopra la montagna. Le nubi lo sfiorano e ci lasciano appena lo spazio per infilarci all’atterraggio. Con il motore acceso entriamo in fila indiana nella galleria. Scendiamo. Gli specialisti spingono ogni aereo sull’ascensore che li porta al piano superiore. Un’ora e mezza di volo veramente drammatico.» Tanta fatica per tornare a Pantelleria! Due giorni dopo il tempo sarà più favorevole.
«20 dicembre. Il tempo migliora e partiamo per Castel Benito che raggiungiamo alle tre del pomeriggio. Decentriamo gli apparecchi. Gli hangar esistenti sono notevolmente distrutti dai quasi quotidiani bombardamenti. Alla sera andiamo in città con l’autobus. Ceniamo per dimenticare gli sgombri in scatola che erano il solito menù di Pantelleria. Rimpiangiamo invece il vino di Pantelleria che ci teneva molto allegri. Giriamo per Tripoli che è veramente bella ed alle 22 l’autobus ci riporta al campo. Dormiamo in belle costruzioni stile arabo, ma non appena a letto l’allarme ci fa subito vestire. Durante la giornata sono arrivati molti aerei di rinforzo dall’Italia. Indubbiamente gli inglesi ne sono stati informati e da Malta cominciano ad arrivare i Wellington ed i Blenheim che giungono in piccole formazioni intervallate. Le bombe cadono. Noi siamo in una trincea scavata tra gli eucalipti e seguiamo tutto il movimento. Vediamo numerosi incendi. Un S82 è in fiamme. Nella sua fusoliera vi sono tre siluri. Malgrado l’accorrere del personale nulla da fare. Si cerca di spostare gli apparecchi che sono nelle vicinanze. Fortunatamente vi è un intervallo prima dell’arrivo di altri nemici. L’esplosione dei siluri sull’ S82 è inevitabile. Quando questa avviene è di una violenza inaudita. L’aria freme come un vento di uragano. Schegge infuocate si spargono per centinaia di metri e vanno a colpire molti apparecchi. Arriva un’altra ondata. Il fuoco illumina così bene che permette loro di colpire con precisione. La nostra antiaerea ha fatto quello che ha potuto. Tutto finisce, ma nessuno di noi dorme ed alle prime luci dell’alba possiamo constatare i danni. Più o meno gravemente sono colpiti un S83, un G50 ed una quindicina di velivoli vari fra cui quattro di quelli portati da noi. I nostri però sono facilmente riparabili.» E ora c’è il problema di portare l’aereo a far riparare. Anzi, no. Il problema è… dopo… è tornare al campo!
«21 dicembre. Porto il mio aereo che era intatto in un campo all’interno verso il Garian. Si chiama Bir El Gnem. Mi riporta a Tripoli un bimotore coloniale. Sorvoliamo il deserto, si intravvede solo qualche pista carovaniera. I due piloti del bimotore incominciano a fare delle deviazioni. Hanno seguito una pista che ci porta fuori rotta e poi finalmente puntano a Nord sin quando vedono la costa e la seguono sino a Tripoli. Che navigatori questi ricognitori del deserto!»
Evidentemente non avevano il TomTom né Google Maps Go
Renata Pasquetto
FONTE: diario di guerra del Maresciallo Pilota Luigi Nazari, pubblicato su http://www.asso4stormo.it/arc_02/01Stormo/Nazari_naz/NazariMenu.htm
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