Legnano – Economia e società nell’800, vecchi mulini, macchinari, caldaie a vapore: la fabbrica prende forma
L’impetuosa crescita dell’industria legnanese sta realizzando una trama commerciale di respiro nazionale e internazionale.
Nel nuovo approfondimento “Legnano – Economia e società nell’800” Gianni Borsa racconta come prendono forma le fabbriche in città.
Gli scritti che ci hanno finora raccontato la nascita della manifattura a Legnano hanno per lo più trascurato alcuni elementi essenziali – anche se apparentemente secondari – per l’avvio della “rivoluzione industriale” sulle sponde dell’Olona. Fra questi la riconversione di edifici rurali a uso fabbrica, l’acquisto e impiego di vari tipi di macchinari, le fonti energetiche… Questi aspetti meritano qualche accenno perché dimostrano le difficoltà che l’industria deve affrontare per prendere piede nell’Ottocento, la ricerca di soluzione ex novo, la “creatività” imprenditoriale, la capacità delle maestranze di adattarsi ai cambiamenti e alle nuove mansioni produttive.
Come abbiamo detto, le prime attività produttive – a partire dai primi decenni del XIX secolo – avvengono in locali fino ad allora adibiti a mulini o magazzini. Il primo isolato caso di costruzione ex novo di locali da utilizzare perla filatura del cotone vede protagonista Costanzo Cantoni. Avendo dato vita nel 1820 a Gallarate a un piccolo stabilimento che raccoglie telai a mano, il Cantoni volge l’attenzione alle rive dell’Olona, per impiantare un opificio che rifornisca i suoi telai di filati cotonieri. «Nel 1828 veniva incominciata la fabbrica ad uso opificio di filatura di cotone; distruggendo il molino a 4 ruote sul fiume Olona, detto Pomponio». Terminati i lavori nel 1829, l’attività prende inizio. Nel 1839 il Cantoni decide la demolizione del mulino dirimpetto, per costruire dei magazzini e altri locali per la filatura[“Elenco delle denunzie per aumenti o riduzioni dei fabbricati nel Comune di Legnano”, 1854-1857, Archivio di Stato di Milano, ASM, Catasto, cart. 9001].
Anche le altre descrizioni, tanto dei locali che della sistemazione dei macchinari, offerteci da documenti dell’Archivio Storico del Comune di Legnano e da quello di Stato di Milano [dichiarazioni scritte rilasciate da Ambrogio Brivio, Eraldo Krumm, Costanzo Cantoni, Saverio Amman, Giò Donato Travelli], mostrano questa faticosa ma progressiva razionalizzazione degli spazi e delle fasi di lavoro. L’opificio (o se si vuole la proto-fabbrica) che nasce in questo periodo a Legnano presenta in genere notevoli dimensioni. È una crescita disordinata; l’imprenditore si trova di fronte alla necessità di aumentare la capacità produttiva, perciò acquista edifici da ristrutturare, macchinari non sempre all’avanguardia, quantità ingenti di materia prima che risulta difficile immagazzinare. Anche il contemporaneo utilizzo di energia idrica e, in minor misura, a vapore non è sintomo di un organico schema di sviluppo produttivo.
Al di là dell’aspetto organizzativo, questo si conferma come un periodo particolarmente fortunato dal punto di vista della richiesta di cotone filato.Fra i problemi da risolvere per il funzionamento della fabbrica èda rilevare quello concernente l’approvvigionamento della materia prima. Documenti d’archivio e pubblicazioni scientifiche (fra cui quelle di Sergio Zaninelli) confermano che il cotone grezzo arriva, almeno fin verso l’Unità d’Italia, dall’Egitto ma, soprattutto, dal Nord America, da quelle piantagioni degli Stati del Sud che impiegano gli schiavi. Ma questo era un aspetto sostanzialmente ignorato nell’Altomilanese…
Per quanto attiene l’utilizzo delle macchine, va notato che la filatura del cotone assume negli opifici di Legnano, sin dal loro sorgere, il ciclo completo della meccanizzazione. Si parte – come già ricordato su Legnanonews – dalle operazioni di preparazione, come la pulitura e sprimacciatura, introducendo le macchine dette del “Lupo” o del “Diavolo”. Nella relazione di un ispettore governativo del 1842 si legge che tra i primi ad introdurle vi è Carlo Martin: queste macchine «al primo esordire erano divenute quasi spaventose, assordanti per fracasso, nocivissime poi alla salute per l’immenso polverìo che svolgevano. In progresso furono man mano migliorate ed oggidì sono ridotte a tale che ben poco o nulla lasciano a desiderare sia per la sicurezza che per la salute come anche per la pronta e bella riuscita del lavoro. Di queste macchine perfezionate se ne osservano già in alcuni stabilimenti della provincia massime di quelli eretti o riformati di recente come ad esempio quello di Turati e Radice pure in Legnano» [“Relazione dell’Ingegner Cadolini in seguito alla ispezione all’opificio C. Martin in Legnano”, 22 agosto 1842, ASM, Commercio, cart. 139].
Nel 1837 la filatura “Sperati-Bazzoni & C.” dichiara invece di possedere la seguente attrezzatura: «N. 2 macchine per filare in fino da fusi 252 cad.; n. 1 per filare in grosso da fusi 126; n. 12 macchine cosidette jeannettes da fusi 100 cadauna», per un totale di 1.830 fusi, per la maggior parte semiautomatici, con una produzione trimestrale di 9.000 kg. di filato.
Nel 1838 la Ditta Turati, Radice e Krumm ha in funzione 1.914 fusi, ripartiti in due stabilimenti; questa azienda ha assunto un certo carattere di concentrazione produttiva, possedendo anche un filatoio a macchina a Castiglione, un filatoio a mano, una tintoria a Castellanza, oltre alla fabbricazione a domicilio, che si svolge a Busto Arsizio, sede della Ditta stessa. Le merci prodotte sono per il 75% spedite in Lombardia, Veneto e Tirolo. Il rimanente è esportato attraverso i porti di Venezia, Trieste e Genova (utilizzati anche per importare il cotone), oppure vendute «a Vigevano, Locarno, Ancona, Modena e Ferrara». Tutti i macchinari provengono, come per le altre filature legnanesi, dalla Francia e dall’Inghilterra [“Relazione circa l’ispezione effettuata dal consigliere dell’I. R. Governo di Milano, Nobile Beccaria, alla Ditta Turati e Radice”, 20 luglio 1838, ASM, Commercio, p.m., cart. 139].
È chiaro che, già in questo periodo, l’impetuosa crescita dell’industria legnanese sta realizzando una trama commerciale di respiro nazionale e internazionale.
Non a caso tra la fine degli anni ’30 dell’Ottocento e l’inizio del decennio successivo, le fabbriche di Legnano aumentano rapidamente di dimensione. Ad esempio lo stabilimento di Costanzo Cantoni, che risulta possedere «nel 1836 circa 500 fusi, [arriva], meno di un decennio dopo, a 3.546, dotandosi di una caldaia a vapore per l’apprettatura delle bombagine, di reparti per la tintoria e la tessitura».Nell’anno 1845 la filatura di Eraldo Krumm, lasciati i soci Turati e Radice, raggiunge la ragguardevole cifra di 8.168 fusi, mentre quella di Andrea Krumm si mantiene costantemente intorno ai 1500 fusi [G. Frattini, Sulla filatura e tessitura del cotone in Lombardia e principalmente nella provincia di Milano nel 1845, Milano 1846, p. 22].
Direttamente collegato all’utilizzo dei macchinari è il problema dell’energia motrice. Essendo stato questo uno dei principali fattori della localizzazione industriale a Legnano, appare ovvio che tutti gli stabilimenti in funzione in questo periodo si avvalgano dell’energia idrica, tratta da alcune ruote poste sull’Olona. L’adozione delle caldaie a vapore resta fino agli anni ’50 una eccezione o tutt’al più ne risulta un’applicazione sussidiaria, in caso di riduzione temporanea della portata d’acqua. Sino a quel periodo si tenta anzi di modernizzare le attrezzature precedentemente installate: «I macchinari della ditta Amman [sono] tenuti in movimento da un’unica ruota idraulica larga metri 2,19 del diametro di metri 3,13, parte in ferro e parte in legno, della ditta Escher, Weiss e Comp. di Zurigo» [G. Frattini, p. 23].
Secondo la “Guida statistica della provincia di Milano” del 1848, funzionano a Legnano tre caldaie; due nelle filande di proprietà Bossi e Paleari, l’altra «venne attivata nel 1837 per servire di sussidio quale motore delle macchine destinate alla filatura del cotone nello stabilimento Krumm»; quest’ultima, costruita a Manchester da V. Fairbairn, agisce «con la forza di 12 cavalli» [Guida statistica della provincia di Milano corredata con una carta topografica della diocesi, Milano 1848, pp. 199-210].[continua]
Gianni Borsa
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