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Il giorno e la storia: Legnano lavoratrice e di fede (non del tutto…) fascista

All'inizio della guerra, erano 32mila gli operai nel Legnanese rappresentati dall’Unione fascista dei lavoratori dell’industria

Generico 2018

«Legnano lavoratrice ha vissuto ieri [7 settembre ‘40] un’intensa giornata di fede e di fervore fascista in occasione di uno dei convegni di dirigenti sindacali che l’Unione fascista dei lavoratori dell’industria periodicamente indìce nei centri industriali» si legge a pag. 4 del “Corriere della Sera” dell’8 settembre 1940.
Tre anni più tardi anche a Legnano la prima reazione degli operai subito dopo la caduta del fascismo del 25 luglio ’43 fu proprio di esautorare il sindacato fascista e indire libere elezioni per le Commissioni Interne (liberi sindacati) in tutte le principali fabbriche. Ma… perché?

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Il giorno e la storia - settembre 4 di 25

Se proseguiamo nella lettura sembrerebbe un controsenso: «nella mattinata, il cons. naz. Montagna aveva visitato lo stabilimento Franco Tosi, accolto dal direttore generale ing. Carlini, e aveva parlato a 4000 lavoratori adunati in un capannone. Il segretario dell’Unione, fra manifestazioni di entusiasmo, aveva accennato alla battaglia intrapresa venti anni or sono dal Fascismo sotto la guida del Duce per l’instaurazione di una più alta giustizia sociale.»

Ma… se la giustizia sociale era più alta con i sindacati fascisti perché allora appena hanno potuto gli operai li hanno sciolti? Forse un “aiutino” c’è nello stesso articolo: «nel pomeriggio ha avuto luogo il convegno dei dirigenti sindacali rappresentanti i 32 mila lavoratori della zona legnanese. Dopo la relazione del delegato di zona, Franchetti, hanno parlato vari camerati lavoratori, i quali hanno trattato problemi inerenti le categorie». Oh, ecco, hanno parlato i “camerati” lavoratori: “fascisti” lavoratori. Beh – penserete – quasi tutti erano fascisti in quegli anni quindi è logico che siano dei fascisti a parlare. Ok, ma… i non fascisti? Potevano esprimere il loro pensiero? Portare in discussione i problemi della loro categoria di lavoro? Rappresentare i loro compagni nel sindacato?

Facciamo un salto indietro. Alle elezioni del 1929 dove c’era un unico listone fascista e potevi solo votare “sì” (se eri a favore del Fascio) o “no” (contro, ma senza poter eleggere un tuo rappresentante di idea politica differente) chi aveva votato “no” era stato facilmente individuato dalle commissioni scrutinatrici, segnalato e licenziato. Anche a Legnano, Franco Tosi e Cotonificio Cantoni in testa. Gli operai che avevano guidato gli scioperi nel ventennio erano stati licenziati e perseguitati: basti pensare agli anni di prigione e di confino che hanno subìto Carlo e Mauro Venegoni e in minor misura anche il fratello Pierino, condannati dal Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato per “ricostituzione di Partito Comunista” che, come tutte le organizzazioni non fasciste (boy-scout compresi), era stato dichiarato fuorilegge. In realtà, sosteneva Carlo Venegoni, l’accusa vera sarebbe stata “ricostituzione di sindacato e di Camera del Lavoro clandestine”, ma la Magistratura non poteva scriverlo chiaramente perché ne avrebbe implicitamente dichiarato l’esistenza e questo avrebbe costituito una sconfitta del Regime.

Le Camere del Lavoro con l’avvento del Fascismo erano state per legge sciolte e fisicamente distrutte nelle loro sedi. La stessa cosa era accaduta per i sindacati liberamente eletti dai lavoratori. E i sindacalisti malmenati, “oliati” (l’olio di ricino era piuttosto diffuso come “incentivo alla persuasione”), licenziati, incarcerati. Il sindacalista legnanese Giovanni Novara (nella foto il suo funerale) era stato assalito da un commando fascista la sera del 13 luglio 1922 mentre usciva con la sua fidanzata dal negozio di barbiere in via XXIX maggio (dove ora c’è una targa in memoria), gravemente ferito da numerosi colpi di rivoltella era morto quattro giorni più tardi. Lo sciopero non era più considerato un diritto ma un atto illegale lesivo dell’ordine e della sicurezza dello Stato, da punirsi con la reclusione. In tempo di guerra con le fabbriche militarizzate lo sciopero era assimilabile all’ammutinamento e punibile addirittura con la fucilazione.

Quindi gli operai e i contadini durante il fascismo non avevano sindacati? Non avevano più modo di portare le loro rivendicazioni ai “padroni”? In sostituzione degli organismi eletti dai lavoratori vennero istituiti i sindacati fascisti, non eletti, questi, ma imposti dall’alto, che rappresentavano insieme operai e industriali, contadini e proprietari terrieri e finivano per fare gli interessi della classe dirigente a scapito della classe operaia e contadina. Potere decisionale a chi già aveva potere economico e politico. E, ovviamente, i non fascisti erano esclusi.

E se gli operai nonostante la “più alta giustizia sociale“ hanno stipendi da fame? Di chi è la colpa? Ce lo spiega «il Prefetto, che, giunto inatteso … ha preso poi la parola per esaltare le virtù del lavoratore italiano, virtù che meritano il premio di quella ascesa morale e sociale e di quel benessere materiale che le plutocrazie ingorde gli hanno sempre conteso». Ah, ecco: la colpa è delle plutocrazie ingorde. E’ un giochino che funziona sempre: individuare un “nemico esterno” per sviare l’attenzione dai problemi interni. E se c’è un nemico da combattere è una conseguenza naturale la guerra per il diritto a «quel benessere materiale … che ora la certa vittoria delle nostre armi, imponendo al mondo le concezioni mussoliniane, varrà a conquistargli per sempre.»

Per fortuna il Prefetto si è sbagliato e le concezioni mussoliniane, così poco democratiche, così poco amanti della giustizia sociale, non sono state imposte anche alle future generazioni e al mondo intero. E rispetto alla miseria di allora non possiamo negare d’aver raggiunto lo stesso un certo benessere materiale. Ma per una cosa dobbiamo dargli ragione: nell’aver esaltato le virtù dei lavoratori italiani. In particolare, per puro campanilismo, penso a quella Legnano lavoratrice, a tutto l’indotto e ai 4000 lavoratori della Franco Tosi e ai 32 mila del legnanese citati nell’articolo del “Corriere”.

Renata Pasquetto

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Pubblicato il 07 Settembre 2020
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