Il giorno e la storia: Razione straordinaria di marmellata
Prosegue la rubrica dedicata all'anniversario degli 80 anni dallo scoppio della seconda guerra mondiale. Oggi, l'argomento è la penuria di viveri
Il Corriere della Sera del 16 luglio 1943 intitola “Razione straordinaria di marmellata. Il ritiro di 1 chilo di patate”. E’ una notizia magnifica, considerando che siamo in tempo di guerra.
In quel luglio infatti «si temeva un peggioramento della situazione già tanto drammatica – annota Carlo Venegoni in un documento manoscritto conservato presso l’ISEC di Sesto San Giovanni – I lavoratori mancavano di tutto. Anche le misere distribuzioni dei generi tesserati (pane, grassi, zucchero, latte) erano in gran parte sospese. Fioriva la borsa nera, ma la capacità di acquisto dei salari per effetto della inflazione era ridotta a circa un quarto del valore anteguerra».
Evviva dunque la marmellata! Ma questo ben di Dio non è per tutti, non per tutte le età e non per tutte le città!
«La Sezione provinciale dell’alimentazione comunica che per il mese di luglio verrà distribuita agli aventi diritto (giovani fino a 18 anni e adulti oltre 65 anni) nei Comuni di Milano, Legnano, Lodi, Monza, Rho e Sesto San Giovanni una razione straordinaria di 500 grammi individuali di marmellata. Il prelevamento si effettuerà presso l’abituale fornitore usando il buono di prelevamento…». Il chilo di patate è solo per Milano.
Ci si doveva quindi arrangiare, se si riusciva, ad acquistare i prodotti alimentari illegalmente, alla “borsa nera”, pagandoli profumatamente con denaro o in natura con degli scambi di generi vari. Il Cotonificio Cantoni negli anni dell’occupazione tedesca dopo l’armistizio dell’8 settembre ’43 oltre a fornire saltuariamente viveri alle maestranze si adoperò anche per sottrarre ai tedeschi le pezze lavorate bagnandole alla consegna per far risultare identico il peso ricevuto in materia prima: tutte le stoffe in surplus venivano suddivise tra gli operai ed operaie perché potessero utilizzarli negli scambi clandestini.
Una volta mia nonna Eugenia, che tutti chiamavano Génia, è andata in bicicletta ad Uboldo, dove i legnanesi si recavano abitualmente per comperare le patate alla borsa nera direttamente dai contadini. Quella volta non so come è riuscita oltre al chilo di patate ad acquistare ben cinque chili di marmellata di fichi! Una cosa che non vedevano da anni! Com’era dolce, com’era buona!
Nonna Génia iniziò ad assaggiarla pedalando verso casa, un pochino solo, un altro pochino, arrivata a casa solo un assaggino, per pareggiare la cunetta formatasi dalla cucchiaiata e… di pareggio in pareggio nel giro di poche ore i cinque chili di marmellata di fichi non c’erano più.
La mattina dopo la nonna si sveglia e non ci vede più. Panico. Cosa facciamo? Chiamiamo il dottore? Aveva quarant’anni e una figlia adolescente. Ed era diventata cieca.
Il medico capì subito la situazione: un picco di glucosio le aveva provocato un aumento di pressione e la cecità temporanea. Le applicò delle sanguisughe (si usava così, non avendo di meglio) e le ordinò di stare alla larga dalla marmellata per qualche tempo.
Nel giro di pochi giorni nonna Génia si ristabilì completamente e a 96 anni suonati ricordava la paura della cecità, l’imbarazzo della “confessione” al medico e il ribrezzo delle sanguisughe. Ma anche il gusto di quella marmellata: «Cuma l’évadulsa, cuma l’évabòna!»
In un sito specializzato sui menu fascista, abbiamo trovato la ricetta per la marmellata di fichi senza zucchero. Eccola: Mischiate un quantitativo di succo d’uva pari a quello della frutta frullata, mettete a cuocere fuoco lento per circa due ore. Qualcuno, senza usare l’uva, usa qualche grammo di acido salicilico a fine cottura. Mettete nei barattoli, chiudete i barattoli e rovesciateli su di un canovaccio (in modo da sterilizzare e fare il sottovuoto) per un quarto d’ora almeno.
Renata Pasquetto
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