Il giorno e la storia: 5 luglio 1945 – Il ritorno a Legnano dopo la prigionia
Il ritorno a casa di un Internato Militare Italiano dopo mesi di lager tedeschi e un viaggio attraverso l'Europa, per riabbracciare moglie e figlioletto
Questa puntata della rubrica “Il giorno e la storia” a cura della dr.ssa Renata Pasquetto, associata ANPI Legnano, offre una testimonianza diretta del ritorno a casa di un Internato Militare Italiano (i cosiddetti IMI) dopo mesi di prigionia nei lager tedeschi. Un racconto emozionante e carico di sentimenti, firmato dal legnanese Giuseppe Biscardini (1910-1987), tenente di complemento degli Alpini, l’8 settembre del 1943 era di stanza ad Antibes, sulla Costa Azzurra. Arrestato dai tedeschi l’8 ottobre finisce nei luoghi di prigionia degli IMI (Stammlager e Offizierlager). Liberato il 13 aprile 1945, sceglierà con altri ex prigionieri italiani, per evitare di esser trasferito in Inghilterra dalle truppe alleate, di intraprendere di propria iniziativa il lungo viaggio di ritorno. Varcherà il confine italiano il 5 luglio per poi raggiungere Legnano ed abbracciare dopo 21 mesi la moglie e il figlioletto. Qui il racconto del suo ritorno a casa.
In seguito all’armistizio dell’8 settembre 1943, “gli Ufficiali tedeschi – scrive Biscardini nel diario – ci radunano e avanzano delle proposte: combattere al loro fianco oppure lavorare per loro. Caso contrario: la fame nei Lager. La nostra scelta è già fatta: nessuna collaborazione con i tedeschi.” Biscardini diviene perciò un Internato Militare Italiano, deportato in Germania nel lager Stalag 328 di Tarnopol, poi Stalag 366 di Siedlce, dal 28 marzo ’44 nel lager per ufficiali Offlag XB di Sandbostel e dal 30 gennaio ’45 nell’Offlag 83 di Wietzendorf, questi ultimi due insieme a Giovannino Guareschi, il “papà” di Peppone e don Camillo.
«5 luglio 1945. Nelle prime ore del mattino attraversiamo il confine italiano, al Brennero. Pochi minuti di sosta, il tempo necessario per baciare la terra italiana, che tocchiamo dopo diversi anni di assenza. Poi il treno riparte veloce verso il Veneto. Prosegue fino a Pescantina, vicino a Verona, ma lì si ferma senza più possibilità di proseguire: i ponti sull’Adige sono stati distrutti dai tedeschi in ritirata.
… riusciamo a trovare un camion dell’azione Pontificia che va in direzione di Milano. … Salto per ultimo sul camion. …
All’arrivo a Vimercate, siamo accolti da una folla esultante, anzi probabilmente c’è tutta la popolazione. Il camion si ferma davanti al Municipio. Riusciamo a scendere a stento, siamo stretti da una moltitudine di gente, che ci tocca, ci bacia, ci osserva con attenzione, e sembra essere alla ricerca di qualche volto conosciuto. A fatica, facendosi largo tra la folla, il sindaco riesce a raggiungere il nostro gruppo.
… chiedo allora al sindaco di poter telefonare a Legnano e, se è possibile, di essere eventualmente portato alla stazione di Milano. Riesco a telefonare a mio zio Gaspare. La telefonata è più volte interrotta dai miei e dei suoi singhiozzi. Lo zio continua a ripetere che mi credeva morto da tempo. Gli dico di avvisare a casa che sto per arrivare. Presto sarò lì. Lascio Vimercate su un camion, credo messomi a disposizione dal sindaco.
Arrivo alla stazione di Porta Nuova di Milano in tempo per prendere il treno per Legnano. Sul treno la gente guarda con curiosità il mio abbigliamento. Indosso dei pantaloni tedeschi ed un giubbotto di fattura russa. Di dotazione dell’esercito mi è rimasto solo il cappello da alpino, che sono riuscito a conservare in tutti questi anni di prigionia, tra le diverse avventure, gli spostamenti nei lager e bombardamenti. Porto a casa solo il cappello da alpino e questo diario. Alla stazione di Legnano c’è ad attendermi mio cognato Giulio, un ex capitano d’artiglieria e combattente della prima guerra mondiale. Mi stringe la mano con fare militaresco e mi dà una pacca sulle spalle.
Con lui c’è mio figlio Franco. L’avevo lasciato in fasce e me lo trovo ora già un ometto, con i capelli biondi ricciuti. Mi guarda con gli occhi abbassati di chi si trova davanti ad uno sconosciuto. Lo prendo in braccio, lo stringo, lo accarezzo, ma non gli parlo: sento una stretta al cuore che mi blocca la parola.
Mia moglie voleva venire alla stazione, ma poi ha rinunciato. Per non emozionarsi nel rivedermi dopo tanti anni di lontananza, ha preferito rimanere a casa con mia madre ad aspettarmi. Quando arrivo non abbiamo neppure il tempo per gli abbracci. La stanza è piena di persone, venute lì un po’ per trovarmi, un po’ per avere notizie dalla prigionia. Quante domande! Non sono in grado di rispondere per la commozione. Chiedo di poter rimanere solo con mia moglie.
Ci guardiamo intensamente e le lacrime che scendono questa volta dai nostri occhi, sono l’espressione di un’immensa gioia.
Dopo due lunghi anni passati nei lager nazisti sono tornato a casa vivo.
Porterò sempre nella mia mente il ricordo di quei tristi posti e nel cuore quello dei miei compagni morti e rimasti laggiù per sempre. Mi rimane comunque la fiducia e la speranza che i miei figli non abbiano la sventura di vedere mai, come ho visto io, tante atrocità.
In questo momento mi tornano alla mente le parole del giovane partigiano d’Antibes, che due anni fa, parlò, prima ancora della mia tragica esperienza, degli orrori dei Campi di concentramento nazisti»
Renata Pasquetto
FONTE: Giuseppe Biscardini, “Gefangenennummer: 42872. Diario di prigionia”, 1986, riedizione 2015 [richiedibile presso le Biblioteche del Consorzio Nord Ovest ad esempio a Legnano e Provincia Varese ad esempio a Castellanza]
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