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Omicidio Ravasio, Oliva e Piazza parlano davanti alla Corte d’Assise. E accusano la “mantide”

Oliva e Piazza hanno ripercorso in aula il giorno del delitto, ricostruendo il proprio ruolo e facendo ancora una volta luce su quello della "mantide"

tribunale busto arsizio generica

Adilma che, stanca del compagno, decide di ucciderlo. Adilma e l’auto da riparare per investirlo e portare a termine il suo piano criminale. Adilma e i riti per scegliere il giorno dell’omicidio. C’è sempre Adilma Pereira Carneiro, la “mantide di Parabiago”, al centro delle dichiarazioni degli altri imputati nel processo per l’omicidio di Fabio Ravasio, che uno dopo l’altro – mentre si aspetta l’esito della perizia psichiatrica su Marcello Trifone per le testimonianze vere e proprie – stanno rendendo dichiarazioni spontanee davanti alla Corte d’Assise di Busto Arsizio, ripercorrendo il proprio ruolo nella morte del 52enne di Parabiago e, soprattutto, facendo sempre più luce su quello della “mantide”.

Oliva: “Non pensavo avrebbero davvero utilizzato l’auto per uccidere Ravasio”

Lunedì 7 aprile, sulla scia di quanto aveva fatto Massimo Ferretti durante un mese fa, a parlare sono stati Fabio Oliva e Mirko Piazza, tornando ancora una volta a quel maledetto 9 agosto che ha visto finire troppo presto la vita di Fabio Ravasio sull’asfalto della provinciale tra Parabiago e Busto Garolfo. Per primo Oliva, che ha spiegato alla Corte d’Assise presieduta da Giuseppe Fazio (a latere Marco Montanari) di aver ricevuto una chiamata nel tardo pomeriggio del 9 agosto da Adilma Pereira Carneiro che gli chiedeva di incontrarla in via delle Orchidee, senza precisare il motivo. Una volta arrivato, il meccanico si è poi sentito chiedere di riparare la Opel Corsa nera ferma da due anni per un precedente incidente che sarebbe poi stata utilizzata per il delitto, senza però credere che l’auto sarebbe davvero stata usata per un omicidio: «Non pensavo lo facessero davvero», sono state le sue parole in aula.

Ricollegato il morsetto della batteria e sistemato un faretto posteriore, Oliva da via delle Orchidee se ne andrà, e solo ore dopo, raggiunto il bar di Massimo Ferretti dopo essere stato contattato telefonicamente, si sentirà dire che Ravasio era stato portato in codice rosso all’Ospedale Niguarda, dove si trovava in fin di vita. «In quel momento – ha raccontato in aula Oliva – mi è crollato il mondo addosso». Oliva rivedrà, sempre in via delle Orchidee, l’auto utilizzata per l’omicidio di Ravasio «con chiari segni di investimento», salvo però rifiutarsi di aiutare la banda di Adilma a disfarsene. Verrà comunque ricontattato dalla “mantide” il successivo 22 agosto per ricostruire le date dell’acquisto di un’altra vettura, quella con cui era stata sostituita la Opel Corsa utilizzata nell’agguato a Ravasio, da un altro cliente del meccanico: «Adilma voleva sapere il periodo in cui si era “liberata della corsa – ha spiegato Oliva alla Corte d’Assise -, sostenendo falsamente di averla poi venduta ad un commerciante senza aver registrato il passaggio di proprietà. Cosa ovviamente non vera in quanto la vettura risultava ancora intestata a lei».

«Durante il mio interrogatorio del 22 agosto ho raccontato alcune cose non vere e mi scuso per questo – ha ribadito Oliva -. Il tutto era dovuto a paura e ansia per la situazione. In quel momento ero spaventato». «Durante i tre mesi di detenzione – ha aggiunto il meccanico – ho avuto modo di riflette, pensare e ripensare a quello che ho fatto o avrei dovuto fare: mi sono sentito in dovere di scrivere una lettere di scuse ai genitori di Fabio. È sempre durante la detenzione che sono venuto a sapere degli effettivi ruoli di tutti, chi e che cosa avrebbero dovuto fare, così come, sempre durante la detenzione, ho appreso degli incontri preparatori effettuati antecedenti l’investimento, a cui io non ho mai in alcun modo partecipato. Mi sono impegnato e ho già formalizzato una proposta di risarcimento tramite i miei legali. So di aver sbagliato e su questo non posso fare altro che assumermi e accettare le conseguenze».

Piazza: “Non so darmi pace non essendo riuscito a stare fuori da questo piano così assurdo”

Poi Mirko Piazza, che insieme al fidanzato di una delle figlie più grandi di Adilma Pereira Carneiro era stato “ingaggiato” come “palo” per l’omicidio. «Ritengo doveroso e necessario da parte mia assumermi la piena responsabilità per ciò che ho fatto – ha spiegato l’imputato -. Ho sempre detto, fin da subito, che non posso che condannare me stesso per essere stato coinvolto in questo piano, che mi ha visto partecipe forse per la mia situazione di solitudine e povertà».

Piazza ha raccontato di aver spesso gravitato intorno al bar di Ferretti, all’epoca amante della “mantide”, suo unico amico che lo aiutava per come poteva, anche con lavoretti saltuari. Ed è lì che l’imputato ha conosciuto Adilma Carneiro Pereira: «Un giorno mi disse che non sopportava più il marito e che voleva ucciderlo, chiedendomi di collaborare: io dissi subito di no, anche se non sono riuscito a tenermi fuori da questo piano». Poi gli incontri preparatori – durante i quali per Piazza, come per altri, arriverà la promessa di un posto dove vivere nella cascina da ristrutturare che la “mantide” avrebbe rimesso a nuovo con i soldi dell’eredità -, il rito per la scelta del giorno dell’omicidio e il ruolo da “palo” nel delitto, ripercorso passo dopo passo.

«Ogni giorno penso a quello che è accaduto e al male che ho contribuito a causare ai genitori di Fabio Ravasio – ha sottolineato Piazza -: non so darmi pace, non essendo riuscito a stare fuori da questo piano così assurdo, da cui non sono riuscito a tenermi fuori per la mia situazione di dipendenza affettiva». «Non mi rendevo realmente conto di cosa stesse accadendo ma non avrei mai e poi mai potuto fare del male a nessuno, e chi mi conosce, anche se da poco tempo, questo lo sa bene – ha concluso leggendo una lettera indirizzata ai genitori della vittima . Sono stato letteralmente trascinato in questa storia, in cui non ho avuto abbastanza forza di volontà per dire no. Voglio porgere le mie scuse alla famiglia di Ravasio e a tutti quanti, e spero che un giorno possano accettarle».

Leda Mocchetti
leda.mocchetti@legnanonews.com
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Pubblicato il 07 Aprile 2025
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