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Bloccata a Rho-Fiera per l’ennesimo guasto, “La notte dell’imperfetto” di una pendolare

Il racconto di una pendolare la sera/notte del 15 dicembre alla stazione di Rho Fiera a causa di un guasto ferroviario.

Rho Fiera

Riceviamo e pubblichiamo il racconto di una pendolare la sera/notte del 15 dicembre alla stazione di Rho Fiera a causa di un guasto ferroviario. «Ho cercato di attirare l’attenzione su questo ennesimo episodio di guasti e ritardi ferroviari, con scarso successo, e ne sono mortificata. Ci siamo assuefatti alla normalità dell’obbrobrio», è la sua premessa prima di iniziare con il racconto.


Mi ritrovo, la sera del 15 dicembre, alla stazione di Rho Fiera ad attendere il treno per Varese delle 22.49. Con me, un centinaio di altri presto sventurati, con destino Varese o Novara. Non funzionano display né altoparlanti, tocca fidarci dei primitivi cartelli giallognoli. Binario 1. Il treno per Novara è previsto per le 23.04. La temperatura è intorno allo zero.

I treni non si vedono, il freddo è quello proverbialmente pungente. Nessun avviso. Alle 23.09 decido di chiamare il numero di Trenitalia; raggiungo un’operatrice umana dopo aver dribblato con le dita congelate gli innumerevoli risponditori automatici. Ma la competenza è di Trenord. Come ho fatto a non pensarci! Avvio con malcelata impazienza la stessa trafila con il numero di Trenord, e dopo la solita gimkana sui tasti arrivo pure qui ad un intelligente non artificiale. Credo. L’uomo mi comunica di non poterci fare niente, dal calduccio della sua postazione altro non vede che la situazione già nota a noi involontari protagonisti di questa Siberia padana. Nessuno da avvisare, lassù ai comandi? Certo, provo ad avvisare l’ufficio competente, mi dice. L’ufficio competente non risponde, mi informa pochi secondi dopo. Si vede che è un ufficio incompetente, replico. Suggerisco che in questi casi, e con questo clima, forse servirebbero bus sostitutivi. Ah già, ma l’ufficio è incompetente, dicevamo. Chiamo il numero di emergenza, mi passano i carabinieri. Non possono fare niente, chiosano, se non telefonare agli stessi recapiti e invitare noi a chiamare un parente in soccorso. Mi guardo intorno, verosimilmente son tutte persone prive di parenti patentati. E infatti stanno lì, rassegnate e stoiche. Io qualche parente ce l’ho, maresciallo, probabilmente coricato a 55 km di distanza, in quanto sicuramente pronto ad alzarsi alle 5 del mattino successivo, per andare al lavoro percorrendo in senso opposto il mio tragitto. In auto, per non rischiare. Intanto è passata la mezzanotte. Mi viene in mente di chiamare la Polfer, sì, siamo al corrente, c’è un guasto tecnico e si sta cercando di capire di cosa si tratti, respingo ormai esasperata parole come “guasto tecnico” e “si cerca di capire”, aggiungo che qualcuno potrebbe stare male , con queste condizioni climatiche, “chiamassero i sanitari”, mi sento dire. Chiamassero, capito? E’ la notte dell’imperfetto. Imperfetto come il servizio ferroviario, imperfetto come la stazione di Rho Fiera, accogliente come un lager, grigia e gelida perfino a Ferragosto, poche panchine concepite per culi coraggiosi, cessi introvabili, nessun locale tiepido per le non tanto eventuali, interminabili attese. Perché, di fatto, si tratterebbe di uno snodo pensato per i cambi veloci, hop, scendi e risali in pochi minuti. Ma l’evoluzione del servizio non ha tenuto il passo con la costruzione dello scalo.

Mezzanotte e mezzo, i display hanno ripreso a funzionare, segnalando ritardi tra i 90’ e i 150’. Mi rassegno a buttar giù dal letto il parente, intanto il maresciallo dei carabinieri o presunto tale mi richiama ben due volte, non sia mai che quella donna bianca in mezzo a quel popolo oscuro e scuro della notte corra qualche pericolo. Lo rassicuro, mi sono arresa al suo prezioso consiglio, sta arrivando il famigliare. E intanto è arrivato il regionale per Novara; il minaccioso popolo della notte con cui ho condiviso l’attesa mi saluta preoccupandosi per me, mi saluta il ragazzo africano che aveva cordialmente rifiutato il maglione aggiuntivo tirato fuori dalla mia valigia , mi saluta il signore egiziano, gli indovino il sorriso dietro la sciarpa che gli copre il viso a metà, mi saluta la giovane peruviana. Scendo le scale verso l’uscita, nel frattempo è arrivato il mio convoglio a benzina. Mi imbatto nell’ultima insidia -un ragazzo nigeriano che aspetta il primo treno di domattina- correggendogli il buonasera con un buongiorno. Salgo in auto lasciandomi alle spalle il beffardo regionale per Varese. Alle 2.17 mando la buonanotte a mia figlia, da cui mi sono congedata, a Roma, circa nove ore prima. – Anna –

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Pubblicato il 16 Dicembre 2024
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