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Dall’osteria sociale al centro anti-violenza: così sono rinati i beni confiscati alle mafie nel Legnanese

In occasione dell'evento nazionale promosso da Libera, anche LegnanoNews ha voluto "raccontare il bene" scegliendo cinque storie di beni restituiti alla collettività nel Legnanese

giornata vittime innocenti delle mafie

Mentre a Roma va in scena “Raccontiamo il bene“, evento su scala nazionale promosso da Libera per un confronto tra associazioni, gestori dei beni e cittadinanza sul tema dei beni confiscati e in Lombardia si firma un protocollo d’intesa per la realizzazione di un osservatorio istituzionale sui beni confiscati alla mafia, l’ombra della criminalità organizzata continua ad allungarsi anche sul Legnanese.

Lo dimostrano le 5mila pagine dell’ultima inchiesta portata avanti dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Milano sul potere mafioso in Lombardia, che mettono nero su bianco che mafia, ‘ndrangheta e camorra si incontravano a Dairago e Busto Garolfo.

Restituire alla comunità quello su cui la criminalità organizzata ha messo le mani, però, si può e si deve. E se non tutti i beni sottratti alle mafie nel Legnanese sono rinati ad una nuova vita, i buoni esempi non mancano anche nel nostro territorio. Qualcuno è noto a tutti, qualcuno magari meno: per questo anche LegnanoNews ha deciso di “raccontare il bene”, scegliendo cinque storie di beni restituiti alla collettività nel Legnanese.

La villa di via Pasubio a Legnano

Casa di seconda accoglienza violenza contro le donne

Da casa di uno dei capi della Locale di Milano a sede di un centro antiviolenza. È questo il percorso di rinascita attraversato in questi anni dalla via di via Pasubio a Legnano, sequestrata nel 2010 e confiscata definitivamente nel 2014 al boss Cosimo Barranca.

Un anno dopo la confisca la villa era stata assegnata al comune di Legnano e da lì Palazzo Malinverni aveva iniziato a lavorare ad un progetto per farne la sede del “Centro Antiviolenza della Rete Ticino – Olona”, mettendo la villa a disposizione della Rete antiviolenza per la realizzazione di una struttura di accoglienza, con successiva partecipazione ad un bando regionale proprio per finanziare gli interventi di adeguamento necessari.

Nonostante l’iter fosse stato poi portato avanti anche dalla giunta Fratus, il futuro dell’edificio è rimasto in stand by fino a dicembre 2020, quando era arrivata un ulteriore delibera per gli ultimi lavori necessari per riqualificare l’immobile. Negli anni intorno all’immobile non sono mancate le polemiche, tra occupazioni abusive e successivi sgomberi e diatribe politiche, ma il 30 giugno 2021 è finalmente arrivato il taglio del nastro per la nuova sede del centro antiviolenza Auser Filo Rosa.

L’osteria sociale La Tela a Rescaldina

la tela rescaldina

L’osteria sociale del buon essere è nata sulle ceneri dell’ex Re Nove, locale sequestrato e poi confiscato alla ‘ndrangheta al timone del quale, attraverso una serie di prestanome, c’erano esponenti della locale di Mariano Comense. Nel 2011, poi, l’immobile era stato destinato al Comune di Rescaldina, che ha puntato sul progetto “Tutto il gusto della legalità” per farlo rinascere ottenendo da Regione Lombardia un finanziamento da 175mila euro.

Per l’assegnazione Piazza Chiesa aveva poi puntato su un bando, vinto da una cordata di associazioni capitanate dalla cooperativa sociale Arcadia, che aveva sottoscritto con il comune un contratto di comodato d’uso per sei anni, rinnovabile per altri sei. A fine 2015, quindi, la riapertura sotto la nuova insegna “La Tela”.

Il locale, però, da subito aveva dovuto fare i conti con le difficoltà di portare avanti con tutti i crismi e i carismi un’attività di ristorazione. Tanto che per i primi due anni di esercizio l’osteria sociale era stata in passivo. Da marzo 2018 erano poi stati applicati una serie di correttivi che si sperava già da settembre avrebbero potuto riportare in pareggio i conti del ristorante, ma a fine estate era arrivato il passo indietro della cooperativa capofila, che aveva deciso di restituire le chiavi de La Tela al comune.

Il momento buio dell’osteria sociale era durato poco più di un anno: poi a fine 2019 – dopo due bandi, il primo dei quali andato deserto – in paese era tornato “tutto il gusto della legalità” e il locale lungo la Saronnese aveva riaperto i battenti. Nessuno allora avrebbe potuto prevedere che un nuovo stop sarebbe arrivato solo qualche mese dopo, ma la pandemia aveva stravolto (anche) i piani de La Tela, creando non poche difficoltà ad un locale appena risorto, ancora una volta, dalle sue stesse ceneri.

Anche una volta passata la parentesi dello “stop & go” per ristoranti e bar, però, La Tela aveva dovuto continuare a fare i conti con non poche difficoltà, tra quelle lasciate dagli strascichi della pandemia e i rincari, anche considerando che si tratta di un locale che ha ormai cinque decadi sulle spalle con attrezzature che hanno a loro volta già un quarto di secolo di storia da raccontare. Così in estate i gestori avevano lanciato una campagna di crowdfunding con l’obiettivo di raggiungere 30mila euro di fondi. La campagna ad oggi ha raggranellato un terzo circa del budget fissato, ma intanto La Tela, ancora una volta, è ripartita, e lo ha fatto nel segno della sua stessa essenza: la cultura della legalità, cui dal 5 al 12 novembre ha dedicato un’intera settimana di eventi.

La villa di via Roma a Dairago

villa confiscata mafia dairago
Foto da Google Maps

Dal 2016 la villa al civico 4 di via Roma sequestrata ad alcune famiglie del campo nomadi di via Chiesa Rossa è diventa la sede della Casa delle Associazioni di Dairago.

La villa era stata sequestrata nel 2009: il decreto di sequestro era diventato definitivo nel giugno del 2011, e a febbraio 2013 l’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata l’aveva assegnata al comune di Dairago: da lì c’erano voluti due anni e 250mila euro di lavori per farla rinascere a nuova vita, fino al taglio del nastro di febbraio 2016 come Casa delle Associazioni.

In questi anni la villa al civico 4 di via Roma ha fatto da sede, tra le altre, alla Protezione Civile di Dairago.

La villa di via Melzi a Rescaldina

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Lo scorso anno Rescaldina ha aperto le porte della villetta di via Barbara Melzi sequestrata alla ‘ndrangheta ai profughi in fuga dall’Ucraina affidandone la gestione alla Fondazione Somaschi, che in paese si occupa già del progetto sviluppato nell’ambito Sistema di Accoglienza e Integrazione, in collaborazione con la cooperativa Il Portico.

La villetta era stata confiscata a Emilio Di Giovine, boss del clan di ‘ndrangheta Di Giovine-Serraino oggi pentito, che era considerato uno degli uomini più potenti dell’organizzazione calabrese, capace di internazionalizzare e differenziare i canali di riciclaggio del danaro sporco e di muovere tonnellate di hashish ed eroina e protagonista nel 1991 di una spettacolare evasione dall’ospedale Fatebenefratelli di Milano. La villa, probabilmente provento di usura nei confronti di un imprenditore della zona, era stata poi assegnata al Comune dall’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata e nel 2016 Rescaldina aveva deciso di farne il perno di un progetto di residenzialità leggera e housing psichiatrico in collaborazione con il CPS di Legnano.

L’immobile, però, quando lo scorso anno lo scoppio della guerra in Ucraina aveva costretto milioni di persone a lasciare le proprie case, non era utilizzato per mancanza di utenza, così su richiesta della Prefettura l’amministrazione comunale si era confrontata con la cooperativa Il Portico, ovvero il gestore, che si era resa disponibile ad aprire le porte della villetta ai profughi in fuga dall’Ucraina.

Il Parallelo di Castellanza

il parallelo castellanza
Foto dalla pagina Facebook de Il Parallelo

Da proprietà di un boss del narcotraffico ad opportunità di lavoro per giovani, rifugiati politici e persone fragili. È questa la storia di uno dei due immobili confiscati di via Montello assegnati nel 2011 al comune di Castellanza, dove Officina Casona nel 2017 ha aperto il laboratorio artigianale “Il Parallelo”.

Lo stabile di via Montello era stato sequestrato ad Antonino Zacco nel 2003 su decreto del Tribunale, diventato irrevocabile nel 2007. Zacco, soprannominato “il sommelier”, era un narcotrafficante, arrestato nel 1990 in seguito all’inchiesta “Operazione Duomo Connection”, coordinata dai giudici Ilda Boccassini e Giovanni Falcone e condotta da Sergio De Caprio, meglio conosciuto come Ultimo.

Anche “Il Parallelo” negli anni non ha avuto vita facile: il laboratorio, infatti, dopo aver sconfitto il virus dell’intolleranza ha dovuto fare i conti con la crisi economica scatenata dal Covid-19. Poi era arrivata una campagna di crowdfunding a fare ripartire i progetti creativi e laboratoriali di falegnameria, officina e sartoria che danno lavoro a richiedenti asilo e persone fragili.

«Siamo un gruppo di giovani artigiani e creativi che nel 2017 ha dato vita a un laboratorio sociale inclusivo e sostenibile, per incidere sulla propria vita e su quella degli altri – è la descrizione che Il Parallelo stesso fornisce di sé -. Siamo partiti con l’idea di fare le cose che ci piacevano, che avremmo voluto fare “da grandi”, e di farle a modo nostro, cioè con un impatto sociale, ambientale ed economico positivo: volevamo cambiare il mondo, partendo da noi. Oggi diamo lavoro a 12 persone e abbiamo creato non solo un’impresa sociale, ma un laboratorio di buone pratiche, in cui vigono accoglienza, inclusione e socialità».

Leda Mocchetti
leda.mocchetti@legnanonews.com
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Pubblicato il 24 Novembre 2023
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