Ex Rimoldi Necchi, (s)venduto a meno di 25 euro al metro quadro l’ex colosso delle macchine per cucire
L'area della ex Rimoldi Necchi, che si estende complessivamente su poco meno di 18.300 metri quadri, è stata venduta all'asta per 450mila euro
(S)venduta a poco più di 24 euro al metro quadro la ex Rimoldi Necchi, il complesso industriale di Busto Garolfo che negli anni di gloria ha ospitato quello che era un vero e proprio colosso mondiale nella produzione di macchine per cucire: l’area di via Montebello, composta da quattro capannoni e tre terreni per un totale di circa 18.300 metri quadri, è stata aggiudicata all’asta per 450mila euro, ovvero il “minimo sindacale” fissato dal Tribunale di Busto Arsizio per la vendita.
Dopo cinque tentativi andati a vuoti, per la ex Rimoldi Necchi di Busto Garolfo questa volta è arrivata la fatidica busta – quella busta della quale finora sulla scrivania del delegato alla vendita non si era vista nemmeno l’ombra –, e l’area ha finalmente trovato un nuovo proprietario. Il complesso industriale, il cui stato di conservazione lascia purtroppo a desiderare, negli anni erano già stati al centro di cinque esperimenti d’asta. Il primo a fine luglio 2020, quando si era partiti da una base di 1,6 milioni di euro. Il secondo a febbraio dello scorso anno, con un prezzo ribassato di oltre 300mila euro. Poi a luglio 2021, con ulteriore “sconto” da più di 250mila euro, e a febbraio scorso, con un taglio sulla spesa necessaria di altri 200mila euro. E infine a giugno, con un ribasso di altri 150mila euro circa. In tutti e cinque i casi, però, all’apertura delle buste non ci si era nemmeno arrivati, perché nessun potenziale acquirente si era fatto avanti.
Così il Tribunale di Busto Arsizio nei mesi scorsi ci aveva riprovato con un nuovo ribasso da circa 50mila euro che aveva portato il prezzo base a 600mila euro, anche se l’avviso di vendita dava comunque la possibilità di presentare offerte a partire da un minimo di 450mila euro, cifra già valevole di aggiudicazione qualora non ce ne fossero state altre, non fossero state presentate istanze di assegnazione e non si fosse profilata nemmeno una «seria possibilità di conseguire un prezzo superiore con una nuova vendita». Possibilità che, come era facilmente prevedibile, non si è presentata, e infatti 450mila euro sono bastati alla nuova proprietà per portarsi a casa l’area. Area che ad oggi ha destinazione produttiva anche se Palazzo Molteni, che al momento sta lavorando alla variante al piano di governo del territorio, sta considerando diverse opzioni «per incentivare il più possibile il riutilizzo di tutta l’area, anche in step successivi» e potrebbe ampliare il ventaglio delle possibili destinazioni.
Fino ad oggi, peraltro, più che il prezzo a pesare contro il passaggio di mano della ex Rimoldi Necchi è stata l’incognita relativa ai costi di bonifica dei terreni. L’area occupata dalla fabbrica, infatti, ormai da decenni, a corrente alternata, è al centro di polemiche legate all’inquinamento ed allo smaltimento dei rifiuti, tra provvedimenti del Comune per la bonifica dei terreni ed interventi da parte dell’autorità giudiziaria. Tanto che nel 2021 il comune aveva deciso di affidare una consulenza stragiudiziale ad un legale esperto in materia ambientale per prendere una volta per tutte i provvedimenti necessari a sbrogliare la matassa che ruota intorno al complesso industriale, che negli anni si è fatta sempre più intricata per i diversi passaggi di proprietà che ci sono stati.
Proprio nell’ambito delle operazioni di bonifica nel complesso industriale nei mesi scorsi sono state avviate le attività di caratterizzazione in contraddittorio con ARPA. A seguito degli scavi effettuati per verificare le condizioni del sottosuolo l’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente aveva rilevato «la presenza di terreno frammisto a materiale di origine antropica costituito da mattoni, metallo, stracci e plastica ed a profondità maggiore […] la presenza di frammenti di fusti in ferro ammalorati, di cui uno con “crosta” di colore giallastro e un altro su cui era riportata la scritta “cianuro di sodio”». Visto il «pericolo concreto di contaminazione», quindi, ARPA aveva chiesto la messa in sicurezza immediata dell’area e di procedere alla classificazione merceologica di quanto era stato rinvenuto, e per evitare «rischi di qualsiasi natura» la prima cittadina aveva deciso di emanare un’ordinanza intimando alla proprietà di provvedere a tutte le operazioni necessarie.
Accedi o registrati per commentare questo articolo.
L'email è richiesta ma non verrà mostrata ai visitatori. Il contenuto di questo commento esprime il pensiero dell'autore e non rappresenta la linea editoriale di VareseNews.it, che rimane autonoma e indipendente. I messaggi inclusi nei commenti non sono testi giornalistici, ma post inviati dai singoli lettori che possono essere automaticamente pubblicati senza filtro preventivo. I commenti che includano uno o più link a siti esterni verranno rimossi in automatico dal sistema.