Omicidio Maltesi, minacce in carcere a Davide Fontana
Dopo le minacce Fontana, il 43enne che ha confessato l'omicidio di Carol Maltesi, si trova in isolamento per garantire la sua stessa sicurezza
Minacce in carcere a Davide Fontana, il 43enne che a marzo dello scorso anno ha ucciso la vicina di casa ed ex compagna Carol Maltesi facendone poi a pezzi il cadavere. Fontana, detenuto nel carcere di Busto Arsizio, nelle scorse settimane è stato minacciato più volte da altri carcerati e si trova ora in isolamento, formula individuata per garantire la sua stessa sicurezza in un istituto penitenziario che non dispone di una sezione di alta sicurezza dopo le segnalazioni del 43enne e del suo difensore, l’avvocato Stefano Paloschi.
I legali di Fontana, dopo gli episodi di minacce denunciati dal 43enne, hanno chiesto che venga valutata la possibilità di un trasferimento. Intanto venerdì 3 febbraio prenderanno il via gli accertamenti necessari per la perizia finalizzata a stabilire se Davide Fontana era capace di intendere e di volere al momento dell’omicidio di Carol Maltesi. Al perito spetterà il compito di accertare la capacità di intendere e di volere del 43enne al momento del delitto, la sua capacità processuale e l’eventuale pericolosità sociale. La professionista, inoltre, dovrà pronunciarsi sulla necessità di cure per l’imputato e, in caso affermativo, individuare il percorso terapeutico più idoneo.
Quando è stata uccisa Carol Maltesi si era trasferita da poco meno di un anno a Rescaldina, andando a vivere in una casa di corte in via Barbara Melzi dove poco dopo sarebbe andato ad abitare anche Davide Fontana, l’uomo che sarebbe diventato il suo carnefice. Lui stesso lunedì 28 marzo, ad oltre due mesi dalla morte della donna, si era presentato dai Carabinieri offrendo informazioni che da subito sono risultate contraddittorie agli occhi degli inquirenti rispetto a quanto emerso fino a quel momento dalle indagini. Sottoposto ad una serie di contestazioni, Fontana aveva finito per confessare l’omicidio e l’occultamento del cadavere, prima conservato in un congelatore appositamente acquistato e poi, una volta fatto a pezzi, gettato in un dirupo di montagna in Valcamonica dopo un primo tentativo di bruciarlo in un barbecue.
A fine ottobre, poi, era iniziato il processo a suo carico e la Corte d’Assise, dopo aver ascoltato i testimoni, i consulenti e lo stesso imputato, aveva deciso di accogliere la richiesta di perizia psichiatrica che i legali dell’uomo avevano avanzato fin dall’apertura del dibattimento nonostante l’opposizione della Procura e delle parti civili.
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