Morte delle sorelle Agrati, il fratello condannato per omicidio ha agito senza premeditazione
L'impossibilità di dimostrare con certezza la premeditazione di Agrati ha portato la Corte d'Assise d'Appello a ridurre la pena a 25 anni di reclusione
Impossibile dire con certezza che Giuseppe Agrati abbia agito con premeditazione quando nella notte tra il 12 e il 13 aprile 2015 appiccò il fuoco all’abitazione di famiglia al civico 33 di via Roma a Cerro Maggiore, causando l’incendio in cui morirono le sue sorelle, Carla e Maria. Lo ha stabilito la Corte d’Assise d’Appello di Milano, che su questo presupposto ha ridotto a 25 anni di reclusione la pena comminata all’uomo, unico superstite del rogo, che dalla sentenza di primo grado emessa a dicembre dello scorso anno dalla Corte d’Assise di Busto Arsizio era stato invece condannato all’eragastolo.
Per la Corte «non sembra di poter dire che i motivi a delinquere o, più specificamente, il movente – definito, con giusta prudenza, dal primo giudice “prevalentemente economico” – sia proprio quello temuto», ovvero l’interesse patrimoniale, anche per «l’intrinseca contraddittorietà» con la scelta di dare fuoco alla casa di famiglia dove lo stesso Agrati viveva, che rappresentava una parte non irrilevante di quell’eredità che avrebbe mirato a conseguire. «Tant’è – sottolinea la Corte d’Assise d’Appello di Milano – che per delinearlo non si sono portate prove ma solo congetture spintesi sino ad esplorare le presunte intenzioni delle sorelle Agrati», come la volontà di escludere il fratello da un eventuale testamento.
Rimane però vero per il giudice di secondo grado che «l’agito (criminoso) di Agrati, lo scopo perseguito e gli impulsi che lo hanno mosso – rimasti in realtà oscuri, sfuggenti ad ogni universo logico ed avvolti nell’irrazionalità – non possono essere disgiunti dalla sua personalità o meglio dalle connotazioni patologiche» di quest’ultima, «di certo non semplicisticamente relegabile negli angusti margini di un carattere singolare, pittoresco o “naif”». Tanto che gli stessi specialisti che hanno ritenuto il fratello superstite imputabile hanno ravvisato in lui uno «scollamento tra la realtà circostante e le proiezioni di sé» che spazia dagli studi di medicina rimasti incompiuti ai trascorsi da scrittore per arrivare fino alla figlia avuta da una compagna di liceo senza poter poi costruire una vita di coppia o una famiglia per una patologia cardiaca che non esiste, così come non esiste la prole. Senza contare i millantati figli avuto per inseminazione artificiale («appositamente scelto») dalla sorella di Jodie Foster, e le «mirabolanti invenzioni in materia di armi brevettate» negli USA che lo avrebbero reso ricco, i cui proventi sarebbero confluiti in conti correnti di cui la sorella Carla deteneva – «non è chiaro dove» – le password.
Ma per parlare di premeditazione vanno dimostrate la «fermezza» e l’«irrevocabilità» della decisione di Agrati di commettere il crimine del quale è stato chiamato a rispondere, che la sentenza di primo grado ha ricondotto ad elementi come la sussistenza di almeno due inneschi e l’uso di acceleranti, la mancata informazione ai vicini e ai Vigili del Fuoco della presenza in casa della sorelle, la dichiarazione ai vicini che qualcuno aveva “appiccato il fuoco», il tentativo di attirare l’attenzione sul portoncino di via Roma e la scelta della notte per appiccare il fuoco. Tutte circostanze «indubitabilmente provate» per la Corte d’Assise d’Appello, ma che «non depongono affatto a riscontro della premeditazione ma sono soltanto prova certa del dolo».
Insomma, non si può escludere che l’imputato, «in preda alle sue monomanie, alle sue frustranti ossessioni, abbia fatto ricorso a qualche prodotto casalingo, infiammabile, ed abbia agito scelleratamente, compulsivamente in una distorta e alterata visione del reale ma senza alcuna premeditazione». La sola aggravante rimasta a carico di Agrati, quindi, ovvero il mezzo insidioso, è stata quindi ritenuta dalla corte «più agevolmente bilanciabile» con le attenuanti generiche, visto anche che il comportamento di Agrati appare espressione più di «una sua instabilità ovvero squilibrio personologico» che non di pericolosità sociale». Messa poi sul piatto anche l’età dell’imputato, prossimo ai 71 anni, la Corte ha quindi deciso di ridurre la pena a 25 anni di reclusione.
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