Beni confiscati alle mafie, ecco la mappa nei comuni del Legnanese
Ventisei anni dopo la legge per il riutilizzo pubblico e sociale dei beni confiscati alle mafie, il presidio locale di Libera fa il punto sulla situazione
Era il 7 marzo 1996 quando a Roma veniva approvata la legge per il riutilizzo pubblico e sociale dei beni confiscati alle mafie. A 26 anni da quel giorno, Libera ha realizzato il dossier “Fattiperbene” per censire le esperienze di riutilizzo sociale di quei beni e il presidio locale dell’associazione ha fatto il punto della situazione sui beni confiscati presenti nel Legnanese.
LA NORMATIVA PER I BENI CONFISCATI
Il percorso per arrivare alla disciplina attuale del riutilizzo sociale dei beni sequestrati e confiscati alle mafie parte nel 1982 con la legge Rognoni-La Torre, che ha introdotto nel codice penale il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso e i sequestri e le confische per i condannati: la legge fu approvata il 13 settembre 1982 dopo l’omicidio del segretario del PCI in Sicilia, Pio La Torre, e l’attentato al prefetto di Palermo, il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa.
L’idea di restituire alla comunità le ricchezze accumulate illecitamente dalle mafie arriva negli anni ’90 con una campagna avviata da Libera nell’anno di fondazione, ovvero il 1995, con l’obiettivo di raccogliere un milione di firme, che si aggiungeva alla proposta di legge promossa da alcuni deputati, tra cui l’attuale Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Così il 7 marzo 1996 la commissione giustizia ha dato il via libera alla legge 109, che proprio oggi compie il suo primo quarto di secolo. Quelle norme oggi fanno parte del codice antimafia, che nel 2011 ha riordinato le leggi in materia e ha definito meglio il ruolo dell’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei Beni Sequestrati e Confiscati alla criminalità organizzata, nata nel 2010 come ente pubblico autonomo vigilato dal Ministro dell’Interno. Le ultime modifiche sono arrivate con la legge di conversione del Decreto Sicurezza nel 2018.
LA PROCEDURA DI SEQUESTRO, CONFISCA E DESTINAZIONE DEI BENI
Il primo step dell’iter per arrivare al riutilizzo del bene è il sequestro, che viene disposto dal tribunale quando il valore dei beni risulta sproporzionato rispetto al reddito dichiarato o all’attività economica svolta o quando ci siano indizi sufficienti a far ritenere che i beni derivino da attività illecite o ne rappresentino il riutilizzo. Con il provvedimento di sequestro viene nominato anche un amministratore giudiziario, che dovrà custodire, conservare ed amministrare i beni e dare conto del suo operato e sarà assistito dall’Avvocatura generale dello Stato e dall’ANBSC.
La fase successiva è quella della confisca di primo grado, un provvedimento ancora una volta di natura temporanea che conferma il sequestro e avvia il procedimento che porterà alla confisca definitiva: la gestione del bene, dopo il provvedimento di confisca di primo grado, è affidato all’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei Beni Sequestrati e Confiscati alla criminalità organizzata.
Quando la confisca viene definitivamente confiscata dalla magistratura, i beni entrano a far parte del patrimonio dello Stato. I beni immobili possono poi essere trasferiti agli enti locali, che potranno gestirli direttamente o assegnarli in concessione, a titolo gratuito, ad associazioni del terzo settore. Le aziende rimangono invece nel patrimonio dello Stato: l’ANBSC le può destinare all’affitto, alla vendita e anche alla liquidazione, quando le altre due strade non siano praticabili.
BENI IN GESTIONE E BENI DESTINATI
I beni sottoposti a confisca vengono classificati in due categorie: beni in gestione e beni destinati. I beni in gestione, come spiega Libera «sono beni sottoposti a confisca anche non definitiva, quindi ancora in attesa di giudizio a seguito di impugnazione o ricorso: dalla confisca di secondo grado, i beni passano nella gestione diretta dell’Agenzia nazionale. Fino a quel momento, sono gestiti da un amministratore giudiziario nominato dal Tribunale». I beni destinati, invece, «sono giunti al termine dell’iter legislativo, dalla confisca fino appunto alla destinazione: fanno parte di questa categoria i beni trasferiti ad altre amministrazioni dello Stato, per finalità istituzionali o usi governativi, o ai comuni (o alle regioni, alle città metropolitane o alle province), per scopi sociali» anche se «la destinazione non implica automaticamente l’avvenuto riutilizzo sociale».
I BENI CONFISCATI NEL LEGNANESE
Negli undici comuni del legnanese, in base ai dati diffusi dal presidio locale di Libera, sono 65 i beni censiti oggetto di confisca: 59 immobili – dove però per immobile si fa riferimento alla singola particella catastale – e 6 aziende. Di questi 42 sono già destinati e 23 sono ancora in gestione all’ANBSC. Nell’ultimo anno sono inoltre aumentate le destinazioni per finalità pubbliche e sociali ai comuni: Legnano e Villa Cortese, in particolare, recentemente hanno dato parere positivo all’agenzia rispetto all’acquisizione nel loro patrimonio alcuni beni immobili confiscati in via definitiva.
In totale i beni censiti e già destinati sono 19 a Legnano, 10 a Rescaldina, 4 a Dairago e a Nerviano, 2 a Villa Cortese e a San Vittore e uno a Parabiago. Ancora da destinare 3 beni a Cerro Maggiore, 2 beni a Parabiago, 7 a Legnano e 11 a San Vittore Olona. Non risultano confische nei comuni di Busto Garolfo, Canegrate e San Giorgio su Legnano. Il quadro ha indotto il presidio di Libera del Legnanese a lanciare un appello alle amministrazione per «individuare le opportunità di finanziamento nazionali e regionali per la ristrutturazione e la gestione dei beni immobili ed allo stesso tempo a promuovere la partecipazione dei cittadini e delle realtà del terzo settore nei percorsi di progettazione a fini sociali dei beni confiscati ancora inutilizzati».
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