Morte delle sorelle Agrati, in bilico l’esame del fratello accusato di duplice omicidio
Agrati, che da sempre si professa innocente, vorrebbe provare a scagionarsi davanti alla Corte d'Assise, ma la difesa non vorrebbe fargli rendere l'esame in aula
Torna in aula a colpi di perizie il processo che vede Giuseppe Agrati imputato per il duplice omicidio delle sorelle Carla e Maria, morte nell’incendio che avvolse l’abitazione di famiglia nella notte tra il 12 e il 13 aprile 2015. Sul banco dei testimoni, come alla scorsa udienza, i consulenti scelti dalla Procura generale di Milano e dalla difesa dell’unico sopravvissuto al rogo per ricostruire passo dopo passo la sequenza degli eventi che portarono alla morte delle due donne.
In un’udienza carica di tensione tra la pubblica accusa e la difesa, tanto che il presidente della Corte d’Assise Daniela Frattini ha dovuto ad un certo spunto sospendere il dibattimento, è toccato a Pierangelo Adinolfi, uno dei due consulenti ingaggiati dai legali di Agrati, spiegare in aula cosa non torna nella ricostruzione che ha spinto la Procura a chiedere prima l’arresto e poi il rinvio a giudizio dell’uomo, sulle orme di quanto aveva già fatto all’udienza precedente l’altro esperto che ha lavorato insieme alla difesa, Arnaldo Bagnato. E anche Adinolfi, proprio come il collega, ha messo in luce le lacune delle indagini e la conseguente difficoltà nel definire l’«esatta sequenza temporale dell’incendio», che «dovrebbe essere ricostruita sulla base di dati certi mentre in questo caso gli unici dati certi sono le telefonate ai Vigili del Fuoco e il loro arrivo» in via Roma.
Sembra sfumare invece la possibilità che a dare la propria versione dei fatti in aula sia Giuseppe Agrati in persona, come era stato invece inizialmente annunciato. È stato proprio uno dei suoi legali, l’avvocato Giuseppe Lauria, a spiegare in aula che non intende far rendere l’esame all’imputato perché «non è sua convenienza processuale renderlo» e la difesa non vuole sottoporre l’uomo «alla gogna del pubblico ministero (che ha protestato per l’espressione scelta dal legale definendola un’«offesa personale», ndr)». La difesa, insomma, non vorrebbe correre un nuovo rischio dopo quello che gli stessi legali dell’uomo hanno definito l’«autogol» dell’esame davanti al GIP, reso in una «condizione psicologica compromessa», ma una decisione definitiva ancora non è stata presa anche perché l’imputato, che da sempre si professa innocente, vorrebbe invece provare a scagionarsi davanti alla Corte d’Assise.
Accedi o registrati per commentare questo articolo.
L'email è richiesta ma non verrà mostrata ai visitatori. Il contenuto di questo commento esprime il pensiero dell'autore e non rappresenta la linea editoriale di VareseNews.it, che rimane autonoma e indipendente. I messaggi inclusi nei commenti non sono testi giornalistici, ma post inviati dai singoli lettori che possono essere automaticamente pubblicati senza filtro preventivo. I commenti che includano uno o più link a siti esterni verranno rimossi in automatico dal sistema.