Dantedì: Riflessioni di una novantenne dopo la rilettura della Divina Commedia
La riflessione numero 27 è firmata dalla prof.ssa Teresa Zanré Negri
Riflessioni di una novantenne dopo la rilettura della Divina Commedia
In anni lontani ho letto più volte per intero la Divina Commedia, per dovere di studente e di insegnante; in seguito riandavo spesso col pensiero agli episodi che avevo studiato o che mi erano stati chiesti agli esami. Ma soprattutto ho sempre consultato la Divina Commedia come un libro sacro, per trovarvi suggerimenti di rettitudine e saggezza. In questo anno commemorativo ho “onorato l’altissimo poeta” e, rileggendo e meditando con la saggezza della vecchiaia , ho imparato molto e ho anche approfondito la conoscenza di Dante: i suoi affetti, le sue passioni, la sua integrità
morale, il suo modo di essere cittadino e credente.
Ho fatto anche un’ altra riflessione: la Divina Commedia è stata, lungo i secoli, una lettura popolare, che oserei avvicinare alla Sacra Scrittura per tutte le espressioni che sono entrate nel linguaggio comune che molti usano senza conoscerne la fonte. Fra gli esempi più noti: “Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza.”
“Il perder tempo a chi più sa, più spiace.” “andiam, che la via lunga ne sospigne.” “Come sa di sale lo pane altrui.” “L’ aiuola che ci fa tanto feroci.” “ Rade volte discende per li rami…mi fa tremar le vene e i polsi.” “terzo fra cotanto senno.” “….l’ ora che volge il disio…” Come tutti i capolavori, la Divina Commedia è un’opera senza tempo: la vita,
l’ambiente, le persone con le loro passioni , buone e cattive, sono di tutte le epoche e luoghi della terra: cambiano gli “accidenti”, ma l’uomo non cambia mai.
La Firenze di Cacciaguida ci suscita un desiderio di concordia e di pace; le lotte politiche, le rivalità fra famiglie sono fatti, ahimè, frequenti; molti pastori della Chiesa, che è composta di uomini – non si dimentichi – non sono spesso all’altezza del loro compito. Dante rimprovera gli uni e gli altri con giusta, inflessibile severità. Le sue parole coraggiose ci stupiscono, ma ricordiamo che egli ha pagato di persona la sua rettitudine e il suo coraggio: possa essere di esempio a molti. Dante sa leggere il cielo stellato, è esperto di filosofia e di teologia. In tutta la sua opera si trovano spunti di meditazione e insegnamenti che aiutano a vivere secondo le leggi umane e divine. Queste sono le parti che preferisco rileggere e ricordare. Se quando insegnavo avessi avuto il senno dell’ età matura, ne avrei
sottolineato meglio l’ importanza. Nei primi canti del Purgatorio le vicende di Manfredi e di Buonconte manifestano le “gran braccia” della bontà di Dio, che perdona chi si pente, anche all’ultimo istante della sua vita. Tutte le anime che Dante incontra in questo “secondo regno” gli chiedono una cosa sola: che i vivi preghino per loro, abbreviando così il periodo della loro penitenza: “chè qui per quei di là molto s’avanza.” Il giudice Nino Visconti chiede: “di’ a Giovanna mia che per me chiami / là, ove agli innocenti si risponde”.
La domanda più umile e delicata è quella di Pia De’ Tolomei, che, con sensibilità femminile, pensa alla fatica del viaggio di Dante e chiede: “…quando tu sarai tornato al mondo e riposato dalla lunga via….ricorditi di me…” Credo che nessuno, meglio di Dante, abbia espresso la fiducia nella misericordia di Dio, disposto a perdonare sempre: questo sentimento è ancor oggi vivo e confortante tra i cristiani . La superbia è un peccato contro il quale Dante non risparmia rimproveri. Egli mette in guardia dalla superbia intellettuale, ci esorta a non voler spingere la nostra intelligenza fin dove non può arrivare, come a spiegare il mistero trinitario: “Matto è chi spera che nostra ragione / possa trascorrer l’infinita via / che tiene una sustanza in tre persone. State contenti, umana gente, al quia, / chè, se potuto aveste veder tutto, / mestier non era parturir Maria.” Accontentiamoci di ciò che vediamo e capiamo. Se fossimo stati onniscienti, non ci sarebbe stato il peccato di Adamo e di conseguenza l’ Incarnazione del Verbo. Fede e ragione possono accordarsi bene l’una all’altra, con la consapevolezza del nostro limite. La pena che sopportano i superbi, piegati sotto gravi pesi, induce Dante a un severo rimprovero a tutti coloro i quali ,nella loro vanagloria, non pensano che sono “vermi, nati a formar l’angelica farfalla”: l’anima, che dovrà presentarsi al giudizio di Dio. Anche la superbia per i propri meriti va considerata un sentimento vano e nocivo. Dante incontra Oderisi , eccellente miniatore di Gubbio, e lo definisce “onor d’Agobio”. Ma egli, che non è più offuscato dalle passioni terrene e vede le cose come le vede Dio e come le vedremo noi nell’Aldilà, ridimensiona l’importanza della sua opera, destinata a passare, come tutte le cose mortali. In tutti i campi si susseguono artisti, il cui valore sarà presto offuscato dalla maggiore abilità di altri, che fioriranno dopo di loro… “o vana gloria delle umane posse…”, “Non è il mondan rumore altro che un fiato di vento…” Forse tra tanti anni nessuno più si ricorderà di noi.
Al centro del Purgatorio, poi, per bocca di marco Lombardo, Dante ci guida a una profonda riflessione sul libero arbitrio, forse il dono più grande e impegnativo che abbiamo ricevuto dal Creatore. Esso può indicare la retta direzione della vita, sia dei singoli, sia della società, ma è difficile saperlo usare sempre bene. Gli uomini ritengono
responsabili gli astri celesti – cioè un destino immutabile – di tutto ciò che accade, sia in bene, sia in male: dimenticano così uno dei più bei doni della natura umana, il libero arbitrio, che li rende responsabili delle loro azioni. Un tempo si consideravano come cause dei periodi di crisi e delle catastrofi esclusivamente la natura e le congiunzioni astrali; ora cerchiamo di giustificare i nostri sbagli trovando altre cause più plausibili per limitare le nostre responsabilità. Con chiara semplicità Dante dice che l’anima esce dalle mani di Dio come una fanciulla
innocente e, per sua natura, aspira al Sommo Bene. “a maggior forza ed a miglior natura liberi soggiacete…” L’anima correrebbe però il rischio di sviarsi, seguendo falsi beni, se non ci fossero le leggi, per frenarla e indirizzarla.
Riferendosi al suo tempo, il poeta vede che le leggi, anche buone, non sono applicate , cosa che trascina nell’errore i singoli e le comunità. Ciò può accadere in tutti i periodi della storia ed anche la nostra epoca ne subisce i danni. Questa riflessione, alla quale ripenso spesso, mi sembra molto adatta a tutti, singoli e collettività, e molto pertinente ai nostri giorni. Finisco con qualche pensiero sul Paradiso. Gli studenti e molti lettori lo ritengono la cantica più difficile. E’ vero; l’Inferno e il Purgatorio hanno una concretezza di episodi e personaggi che è meno presente nella terza cantica. Qui Dante ha dovuto rappresentare un mondo nuovo ed ha saputo raffigurare in modo altamente poetico astronomia, filosofia, teologia, fisica, ma ha anche raggiunto momenti di altissimo misticismo, riuscendo quasi, se così si può dire, a svelare il mistero.
Tra gli spiriti eletti vi sono figure altissime, alla cui fama immortale ha forse contribuito anche la poesia dantesca: S. Francesco, S. Domenico, S. Bernardo, S. Benedetto, Cacciaguida. Beatrice percorre tutta la Cantica, creatura non più terrestre, ma angelica. Ma quello che più colpisce è il mondo di luce, dove risplendono i beati e nel quale anche noi ci troviamo inconsapevolmente immersi. In esso Dante giunge “al fine di tutti i disii” ed ha la percezione della Trinità e dell’Incarnazione del Verbo. La sua descrizione è come una preghiera, che aiuta tutti, credenti e non credenti, ad avvicinarsi al Mistero. La visione è di breve durata, ma lascia una ineffabile dolcezza nel cuore del poeta. Forse chi non crede troverà astratti ed incomprensibili alcuni canti del Paradiso. Per me, la rilettura fatta col senno della vecchiaia è stata una meditazione e un aiuto alla preghiera, di cui ringrazio Dante. Dante ci offre due preghiere che tutti, studenti e lettori, dovrebbero imparare: il Padre nostro, che i superbi recitano nel Purgatorio: la parafrasi dantesca della preghiera insegnataci da Gesù ci aiuta a gustarla e pregarla con consapevolezza.
La preghiera di S. Bernardo alla Vergine, che precede la divina visione, è un inno nel quale la poesia illumina la teologia. Dante assegna a Maria la posizione centrale nella storia della salvezza, e fa di questa preghiera un atto di fede vera e di affetto filiale, rendendo la nostra Fede solida, razionale, non solo sentimentale. Sono lieta che anche i miei nipoti abbiano imparato, a scuola, questa preghiera …
Grazie, Dante, nostro “maestro e autore” !
Prof.ssa Teresa Zanré Negri
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