Valentina, missionaria di Busto Arsizio ad Haiti: “Il Paese è in ginocchio, servono aiuti”
La testimonianza di Valentina Cardia originaria di Busto Arsizio, che vive in missione ad Haiti insieme al marito Segulnord, ai figli e ai nipoti
«Il Paese, già crollato nel caos dopo l’assassinio del presidente Moïse, è in ginocchio: il terremoto, che la mattina del 15 agosto ha devastato il sud, è una tragedia nella tragedia».
Valentina Cardia originaria di Busto Arsizio, vive in missione ad Haiti insieme al marito Segulnord, ai figli, ai nipoti e ad un volontario, Stefano. Si trova nella capitale Port Au Prince, dove gestisce la casa famiglia “Fwaye Papa Nou” della comunità Papa Giovanni XXIII, vicino al centro comunitario dove nel pomeriggio si svolgono attività sportive insieme al Csi.
La mattina del terremoto dove vi trovavate?
Ci siamo svegliati alle 8, stavamo facendo colazione, tre dei 6 bambini che sono con noi stavano ancora dormendo, gli altri erano in veranda. Inizialmente pensavo di aver avuto un malore: mi tremavano le gambe e vedevo tutto attorno che si muoveva. Poi abbiamo realizzato che era la terra a tremare e siamo corsi in giardino: la scossa è stata molto forte. Subito dopo è arrivato mio marito, che ha preso anche i bimbi dalla camera e li ha portati all’aperto. Nel frattempo c’è stata una seconda scossa, meno forte. Siamo stati un quarto d’ora in giardino, molto spaventati perchè non sapevamo se si sarebbe ripetuta. Siamo poi rientrati in casa: non avevamo la connessione, non sapevamo nulla. Abbiamo acceso la radio e abbiamo capito che la situazione era grave. Alle 11 è tornata la rete e ho ricevuto una marea di messaggi e di chiamate. Fortunatamente la capitale non ha subito danni, ma il Sud del Paese è stato fortemente colpito. Le province più martoriate dal sisma sono quella di Nippes e Grand’Anse.
Il numero dei morti continua a salire…
Dopo il sisma è arrivata anche la tempesta Grace, che si è abbattuta con maggiore forza proprio nelle zone martoriate dal terremoto. Si sta scavando con la pioggia e il vento battente, in alcuni casi anche a mano. Le vittime sono più di mille e cinquecento. Sappiamo che ci sono organizzazioni che stanno portando aiuti, ma il grande problema sono le bande armate. L’unica strada che porta verso il Sud si trova in un’area controllata da tre mesi dalle bande armate che non permettono a nessuno di passare: chi passava di là veniva ferito o ucciso. Qualche giorno fa hanno dichiarato una sorta di tregua per permettere alle ambulanze e alle organizzazioni umanitarie di passare per portare soccorso e aiuti ma i camion con i beni di prima necessità vengono comunque saccheggiati e non tutti gli aiuti arrivano a destinazione.
Haiti è un Paese già molto povero. Quali possono essere le ulteriori conseguenze di questo disastro?
Tutti hanno bisogno, Haiti sta affrontando una crisi profondissima: le bande armate controllano sempre più zone, il tasso di povertà è aumentato esponenzialmente e dopo l’assassinio del presidente la situazione è ulteriormente peggiorata. Anche nella capitale non ci sono più luoghi protetti: il quartiere dove viviamo, che è sempre stato tranquillo, non lo è più. Nei giorni scorsi hanno sequestrato un prete, anche se è stato subito rilasciato, ma è il segnale che i banditi sono arrivati anche qui. Basta dire un no in più negli aiuti per finire in pericolo. In città c’è una calma apparente, le persone sono tornate per strada ma i rischi sono alti. Ogni giorno riceviamo messaggi di zone inaccessibili, ci sono pneumatici incendiati, sparatorie. Io e le mie figlie non usciamo di casa, vado solo a messa nella chiesa della missione perchè non è lontana da casa. Al centro comunitario vanno mio marito e i figli più grandi con il nostro volontario. Tanti progetti, come quello dei caschi bianchi, sono stati bloccati, compreso il centro estivo che si sarebbe dovuto svolgere durante i mesi estivi.
Come è la situazione sanitaria?
Ad Haiti è iniziata la campagna vaccinale ma nessuno si vaccina, se non qualche straniero e rimpatriato. La gente ha paura, crede sia un esperimento e non percepisce il problema del Covid.
Vedi una luce in fondo al tunnel?
Se non nutrissi la speranza di un miglioramento non sarei qui, ho sposato un haitiano e accolto bambini haitiani. Questo Paese lo sento anche mio. Sono arrivata qui dopo il terremoto del 2010 ma da allora le cose sono andate sempre peggio. Non ci sono stati progetti di ricostruzione e di adeguamento antisismico, la gente continua a vivere nella precarietà in case auto-costruite in cemento. Sono tornata in Italia un anno e mezzo e sono ritornata a inizio giugno e ho trovato un Paese peggiorato, sia dal punto di vista della povertà che della sicurezza. Temo altri scontri a settembre e in prossimità delle nuove elezioni ma la mia speranza è che con il nuovo Governo ci sia un cambio e che possa fare veramente fare qualcosa per gli haitiani.
Come è possibile aiutare Haiti?
E’ possibile sostenere la Caritas, che sta portando aiuti nelle zone più colpite. Sta seguendo da vicino la crisi e coordinando insieme alle altre Caritas nazionali, interventi per rispondere alle numerose emergenze in corso. A questo link sono presenti tutte le informazioni per eventuali donazioni. E’ inoltre attivo il progetto della comunità Papa Giovanni, un pasto al giorno , attraverso il quale viene preparato il posto a tavola per ogni persona che la comunità accoglie.
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