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Il giorno e la storia – Dante Baroffio, marinaio legnanese, deceduto sotto le bombe a Messina

Nell’attacco aereo persero la vita ventun uomini della Cicogna: quattro ufficiali, quattro sottufficiali e tredici tra sottocapi e marinai

Il giorno e la storia, mese di aprile

Aprile 1943 – Un legnanese a Messina
«Nell’aprile 1943 Messina fu colpita da più di cento bombardieri, tra britannici e statunitensi, ma il bilancio in termini di vite umane fu relativamente ridotto, forse per via dello sfollamento di massa dalle zone più a rischio: tre morti e dodici feriti; il 15 aprile USAAF e RAF si avvicendarono di nuovo sui cieli della città, mentre il 28 aprile 31 bombardieri statunitensi attaccarono le batterie contraeree, ma molte bombe finirono anche sulle abitazioni civili. Il 30 aprile fu la volta di 21 “Liberator”, che scatenarono vasti incendi sui monti Peloritani, causando sei vittime e dieci feriti; l’indomani toccò a 21 B-24; il 9 maggio si verificò il più pesante bombardamento che Messina avesse visto fino a quel momento, da parte di ben 120 quadrimotori “Liberator”, dei quali 40 colpirono la zona della stazione ferroviario e gli approdi dei traghetti, ed 80 colpirono il centro cittadino. La notte seguente, altre due formazioni di bombardieri colpirono città e porto. Aumentava il fenomeno dello sfollamento: i negozi di generi alimentari ancora aperti vendettero le ultime razioni di pane, 150 grammi al giorno, e poi chiusero i battenti.»

I bombardamenti continuarono: 13-22-maggio. «Il 7 giugno la RAF bombardò Messina per tutta la notte, lanciando anche volantini con cui si esortava la popolazione a premere per la fine della guerra».

13-17-18-21 giugno… «In uno scenario di rovina e desolazione, pattuglie di soldati passavano per le vie distribuendo magre razioni di minestra, pane ed acqua ai civili accampati davanti ai ricoveri; l’ammiraglio Pietro Barone, comandante della Piazza Militare Marittima di Messina, diede ordine di evacuare dalla città gli ultimi civili, ma quelli che ancora vivevano a Messina preferirono restare presso quel che rimaneva delle loro case, vivendo nei rifugi antiaerei in condizioni facilmente immaginabili.»

28-29 giugno, 5 luglio… «Tra il 12 giugno ed il 2 luglio, cioè in tre settimane, le forze aeree angloamericane sganciarono 830 tonnellate di bombe su Messina. Nella notte tra il 9 ed il 10 luglio, 160.000 soldati britannici, statunitensi e canadesi sbarcarono sulle spiagge della Sicilia sud-orientale, dando il via ad “Husky”. Messina era lontana dalle zone dello sbarco, ma l’inizio delle operazioni terrestri non fece che acuire il suo martirio: ora più che mai la “porta della Sicilia” diventava un obiettivo di primaria importanza, da bombardare senza sosta per impedire dapprima l’afflusso di rinforzi e rifornimenti per i difensori e successivamente, quando i comandi dell’Asse decisero di ritirarsi dalla Sicilia, per ostacolare l’evacuazione delle truppe italo-tedesche.»

Altri bombardamenti il 12-13-14 luglio« Nelle due sole giornate del 13 e 14 luglio furono sganciate circa ottocento tonnellate di bombe. Terminato questo bombardamento, la popolazione rimasta si diede al saccheggio dei magazzini militari, per poi vendere la refurtiva sul mercato nero. Il 17 ed il 19 luglio fu la volta di due bombardamenti navali da parte della Royal Navy.

E fu in quell’infernale estate messinese che ebbe fine anche la vita operativa della nave corvetta Cicogna.
Nel primo pomeriggio del 24 luglio 1943, cinque unità sottili si trovavano all’ancora nelle acque antistanti il sobborgo messinese di Pace: la Cicogna (al comando del tenente di vascello Giulio Riccardi), le gemelle Camoscio e Gabbiano e le torpediniere Pallade e Partenope. Non era, quello, un luogo tranquillo per ormeggiarsi: tutta la riviera nord di Messina, in quanto luogo di approdo delle motozattere che portavano rifornimenti dal continente, era continuamente soggetta ad attacchi aerei angloamericani. D’altra parte, quale luogo poteva considerarsi sicuro, a Messina, in quei terribili giorni?

La sorte della Cicogna si compì alle 13.45 (13.49 per altra fonte) di quel giorno, quando otto cacciabombardieri angloamericani piombarono sulla riviera nord bombardando e mitragliando ogni imbarcazione che incontrarono sul loro percorso (il diario di guerra della Divisione Operazioni dello Stato Maggiore della Kriegsmarine parla invece di un “pesante attacco aereo” che si sarebbe svolto a mezzogiorno). Delle cinque navi italiane all’ancora in quelle acque, soltanto Pallade e Gabbiano uscirono indenni dall’attacco: Camoscio e Partenope subirono entrambe gravi danni e perdite tra gli equipaggi (quattro morti e 25 feriti sulla Camoscio, dodici morti e numerosi feriti sulla Partenope, che dovette essere portata ad incagliare per evitarne l’affondamento), ma la sorte peggiore toccò proprio alla Cicogna.
All’ancora fra la rada di Paradiso e Ganzirri, la corvetta fu colpita da alcune bombe, che aprirono un grosso squarcio nello scafo e scatenarono un violento incendio (si parla addirittura di una “marea di fuoco”) che fece deflagrare parte delle munizioni presenti a bordo. L’equipaggio riuscì ad estinguere le fiamme, ma la nave dovette essere fatta incagliare sulla vicina spiaggia per scongiurarne l’affondamento. La vita operativa della Regia Nave Cicogna era durata poco più di sei mesi.
Nell’attacco aereo persero la vita ventun uomini della Cicogna: quattro ufficiali, quattro sottufficiali e tredici tra sottocapi e marinai».

Tra loro Dante Baroffio, marinaio torpediniere, da Legnano (deceduto).

Tratto da http://conlapelleappesaaunchiodo.blogspot.com/2020/02/cicogna.html

Redazione
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Pubblicato il 14 Aprile 2021
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